cap 2. Il sogno di Lilith.




                        Il sogno di Lilith 


Cincischio col cazzo duro tra le sue cosce indeciso in quale buco ficcarlo per primo, le addento un capezzolo e succhio, il latte è leggermente acido, pannoso, definizione d’annata, sapore scontato, reprimo la brama di staccarglielo con un morso per provare se il sangue è più gustoso e le dico: “Siamo due morti che amoreggiano abbracciati dentro una tomba, chissà da quanto va avanti questa tresca, che ne dici di stapparci?”

Lei mi rificca il capezzolo in bocca e si strizza il seno facendo sprizzare un candido getto simile alla spuma su un’onda di passione…glielo ciuccio per un po’, il gusto è migliorato ma il sangue è più buono…reprimo ancora la brama e continuo: “L’autore non sapeva che tu fossi così importante, adesso si trova tra le mani un’altra mummia imbalsamata da sfasciare e la cosa lo annoia a morte, bisognerebbe ravvivare l’ambiente, la storia che segue, la medium ti ha chiamata Lilith, la demonessa, lei sì che mi piacerebbe, tu sai dov’è finita?”

Lilli mi si struscia addosso, si infila il cazzo nella vagina e per un po’si agita mugolando senza ritegno poi dice: “Una favola… altre parole.”

“Amore per corrispondenza, la tua figura pubblica stona, perfino un idiota capirebbe che la tua immagine è una montatura, una menzogna. Chi sei veramente?”

“Sei così intelligente… dimmelo tu.”

“Un sacco pieno d’abitudine, se ti aprissi si capirebbe meglio, l’autore deve essere impazzito per occuparsi così di te, ti sta pubblicizzando, forse non vuole che si apra la Shell, preferisce godersi la vacanza.”

“Altre parole, mai nessuno mi ha parlato così, la tua lingua è superba.”

“Adulazione calcolata, la Beatrice di Dante potrebbe rivelarsi una Dulcinea del Toboso, l’immacolata concezione una cagata a culo stretto mentre Lilith potrebbe essere un personaggio vero, una forza della natura, un uragano, tutto il contrario dell’immagine di piccola borghese cretina che esprimi. La figura dev’essere sepolta nella lingua tedesca, l’autore la conosce poco ma conosce molto bene la letteratura, una lingua all’apparenza rude ma trova interessante l’analogia tra i termini composti e gli accordi musicali, ci deve essere un collegamento.  Tu conosci la storia del dottor Faust di Goethe?”

“Si, nella scuole tedesche è materia di studio come in Italia la divina commedia.”

Continuando a stantuffare dolcemente nel suo interno dico: “Goethe doveva essere un cabalista esoterico come Dante, ci deve essere un collegamento tra Lilith e Margherita, una storia letta al contrario che si riconduce alla genesi biblica ed a Adamo ed Eva. Lilith in certe varianti del mito è considerata la prima moglie di Adamo, queste varianti sono comuni nel mito greco e solitamente avvenivano quando due popoli si fondevano trascinando ognuno le proprie storie. Probabilmente Lilith viene identificata con Eva, nella bibbia il serpente tenta la donna mentre nel Faust di Goethe ad essere tentato  è l’uomo, c’è un’inversione di significati che danno forma alla figura del dottore pentito che si nasconde nel linguaggio, l’inversione si innesta automaticamente sovrapponendo le due storie che diventano una ed il Faust diventa Eva Lilith, una donna o meglio un ermafrodito. È la logica del nominalismo, se il nome è forma Adamo è Eva e se è Eva non è Adamo. Questo può avvenire solo nell’oggettività del pensiero…res rebus non est, forse ho capito.”

“Parole,  che importa? Adesso ti faccio provare le mie labbra di gomma e non solo…”

Si cala tra le gambe e me lo ingoia, una presa avvolgente, escalation di fuoco…

Rimango qualche secondo in silenzio godendomi le circuizioni della sua lingua sulla cappella e continuo: “Importa, eccome se importa…potresti essere tu, qualcosa che sostituisce il rimosso, la vergogna che hai coperto con la gelosia, sei stata strumentalizzata, hai subito un’inversione,  l’ermafrodito potresti essere tu.”

Lilli senza mollare la presa, mugugnando a bocca piena, dice: “Parole, altre parole.”

“Solo parole, proprio di parole si tratta, questo ermafrodito me lo stai trasmettendo con il cancro, forse è proprio lui il cancro, la sua incarnazione, il dottore pentito, deve essere qualche cosa del genere…”

Lilli ha accelerato i movimenti delle labbra, un vortice, una furia della natura, le stringo la testa spingendoglielo fin dove va e vengo, un’esplosione senza fine… rimane attaccata leccando ogni goccia poi risale, mi mordicchia un orecchio e chiede: “Ti è piaciuto?”

In bocca il gusto di me, dolce salato, la nebbia si dissolve e nella nuova luce la visuale ha allargato l’orizzonte.  

“Una metafora, l’identità tra nome e forma, l’ermafrodita è la maschera, il tuo essere è sepolto sotto, forse Lilith, l’uragano, sta cercando di comunicare e mi ha appena dato un segno della sua presenza. Se vuoi potrei provare a psicoanalizzarti per vedere cosa c’è sotto la maschera.”

“Altre parole?”

“Un’operazione indolore, un sogno compresso da liberare, un gioco.”

“Proviamo.”

              die   Übermenschstamme.


                                                     (le tribù dei padreterni)
 

Psicoanalisi televisiva, forum d’intrattenimento per maiali castrati prima dello sgozzo, poi vengono i salami ma a quel punto non si sente più dolore.

Lilli mi abbraccia stretto e dice: “Sono già stata in psicoanalisi, c’è stato un periodo che era una moda, l’avevo fatto così per provare, m’annoiavo, il dottore mi faceva parlare, sembrava di essere con un prete nel confessionale, gli dicevo tutto ma poi mi sono stufata e non ci sono più andata...”

“Gli dicevi proprio tutto?”

“Insomma, forse, tu cosa ne sai?”

“Simenon, quello di Maigret, diceva che gli scrittori sono i migliori psicologi, quando si imposta un personaggio lo si deve far muovere e parlare e questa è psicologia. L’autore applica un metodo, il comportamento e la mentalità sono fenomeni scontati che si ripetono in ogni individuo, impostata la causa l’effetto è conseguenza, come una macchina.”

“Lilli mi morde la lingua e mormora: “Tu non sei l’autore, perché parli come lui?”

“Stai facendo progressi, parlo così per esigenze di copione, logica l’autore non è il personaggio, la forma dell’autore è il personaggio. Anche tu sei un personaggio e non sei l’autore, questa è filosofia, la vedi la tua forma? Siamo noi che potremmo essere invertiti, per questo non ci dobbiamo assolutamente identificare.”

“Ho capito.”

“L’autore non sa nulla di te ma la regola è universale, il comportamento conseguenza quindi è come se leggesse un libro aperto, un comportamento scontato che si ripete nella fascia statistica che rappresenti. I particolari non hanno importanza.”

Lilli rimane un attimo silenziosa, aumenta la stretta e dice: “Tu non lo sai, quando ti ho visto la prima volta è stato un colpo di fulmine e poi…adesso non so cosa fare, tutti questi anni…”

“Sciocchezze, il tuo comportamento è conseguenza della gelosia, ora siamo giunti al punto e possiamo cominciare l’analisi, prima ti voglio avvertire che l’autore ti squarterà come un maiale senza pietà, non sei obbligata a farlo ma come alternativa puoi sempre morire di cancro.”

“Insieme a te la morte sembrerà più dolce, non so come hai fatto ma mi hai incatenata.”

“A me pare di aver sollevato una coperta dove eri già incatenata.  Prima di iniziare bisogna capire una cosa. Ci sono fatti della nostra vita che possono apparire come male e vanno invece calcolati come mali minori perché altrimenti sarebbe stato peggio. Facciamo che sia stato un film con recita a soggetto, così è perché così deve essere senza discussione di bene e di male.

Tu eri stata preparata a ricevere il transfert, questo era previsto e quindi senza saperlo devo aver preso delle contromisure che ne hanno neutralizzato gli effetti negativi. Quel che è successo dopo non ha importanza, torniamo indietro a quel punto, tu mi hai visto, qualcosa in te è esploso ma lo hai trattenuto perché ti vergognavi, questo significa che eri già stata sfigata, avevi una menomazione che ti condizionava il comportamento. Anche questo non ha importanza,  atteniamoci ai fatti, la gelosia è venuta dopo per giustificare la tua rinuncia, a quel punto sei diventata un'altra, un automa ed il tuo comportamento si è adeguato alle occasioni che ti si sono presentate.”

Lilli si fa attenta e dice: “Vuoi dire che sono sempre stata un burattino, sia da una parte che dall’altra.”

“Esatto, questa è politica, nulla di nuovo.”

Lilli si alza a sedere e sbotta: “Eh no! Checcazzo, è stata la mia vita, un inferno.”

La tiro giù abbracciandola, la bacio dolcemente e dico: “Poteva andare peggio, ci sono altre che non sono state fortunate come te ed in ogni caso anche l’autore non si è divertito quindi non ti deve nulla. Fuori dal bene e dal male, un colpo di spugna che cancella tutto, dobbiamo tornare al punto che mi vedi e hai la reazione che provoca il transfert, ci sei?”

“Eccome, è sempre stato adesso.”

“Allora possiamo scendere ulteriormente al momento che vieni sfigata. L’autore ha i suoi metodi, ti vuole stappare per far uscire il marcio che contieni, sei pronta?”

“Che cosa intendi fare?”

“Una recita, come a teatro, prima di Adamo ed Eva e di qualsiasi cosa si tratti, torniamo indietro nel tempo alla società preumana, non si parla, solo grugniti e versacci, come nel programma che conduci.”

Scendo lentamente baciandole prima i seni, poi l’ombelico, gli incavi delle cosce, mi metto le sue gambe aperte sulle spalle e inizio a leccargliela, tra le palate di lingua dico: “Questa non è la figa vecchia e rugosa che hai adesso, questa e la fighetta giovane e fresca che avevi al momento del transfert e che si è mantenuta tale dentro di me in tutti questi anni…”

Le apro bene la vagina con la lingua, gliela ficco dentro fin dove arriva, aspetto che i suoi mugolii maturino al punto giusto e poi le stacco il clitoride con un morso.

Dalla ferita aperta esce uno zampillo di sangue, subito dopo un urlo lancinante che si condensa nell’aria in una nube di gas maleodorante nel cui interno, in una sequenza da incubo, si libera il sogno.   
    

Qualcosa da ciucciare, il problema sembra restringersi a questo, cioè, chissenefrega purchè abbia qualcosa da ciucciare, può essere, sembra come sull’altalena dentro la gabbia di un canarino, la proiezione è il canarino chiuso in gabbia, nessuna possibilità di uscita,  al di là, oltre le sbarre l’al di là, cioè perifrasi, il mondo dei morti, c’è bisogno di spiegare? Parlo a me stesso, chi altro mi credo di essere? Il ciuccio domina impietoso primo e ultimo desiderio, qualcosa che manca, non c’è nessun desiderio, segno poi si apre il codice, altri segni e altri codici, all’infinito, sembra un’escalation di fuochi artificiali che esplodono liberando altri fuochi artificiali che esplodono liberando altri…la notte un’esplosione di fuochi, dove lo spazio non basta s’allunga il tempo spernacchiando sempre per via del ciuccio, climax per pochi, iperbole a spirale fuori dal cesto di un incantatore di serpenti che suona il ciuccio, cioè volevo dire un piffero ma che importanza ha?

Male e bene non è, anzi male è bene, un lungo viaggio per centrare l’obiettivo, in vista sulla coffa della Nina: “America America!” un altro grida: “Terra terra!” le caravelle sono in vista del continente, chi guarda e chi ascolta e chi ciuccia, l’idea si esprime meglio su un’astronave in orbita ogni giro si fa più vicina e centrato il ciuccio, cioè l’idea, sfonda l’atmosfera, venendo giù prende fuoco, perché giù, potrebbe essere il canarino che ha trovato una crepa nelle sbarre ed è uscito, guardalo là come vola, altro che canarino, un’aquila, di più, cosa c’è di più?

“Non vuole più il ciuccio!”

“Meglio, ce n’è rimasto poco, così avanza per noi.”

Chi parla e chi ascolta mentre si scrive? Pennellate buttate così come viene su una tela di niente, comunque qualcosa è, sembra uno spettacolo televisivo, Lilith, la diavolessa, la vedono tutti ma lei dorme e tutti dormono, c’è una grande invidia che langue sopita come un fuoco  fatuo su una tomba, la tomba, eccola lì, la gabbia del canarino ma lui è volato via e chi lo prende più, avanti comunque si va anche oggi, i morti son rimasti fuori dalle sbarre a guardare la gabbia vuota, si vede un cancello ed oltre una strada che sale una cima, al cancello, seduta per terra cenciosa con Carlo in braccio c’è Elisabetta seconda che chiede l’elemosina, inizio e fine del sogno, in mezzo il tempo scorre come la barra di un video di You Tube, la si può agganciare col mouse e spostare dove si vuole comunque si vede sempre la stessa cosa per chi intende la sostanza, per chi si limita all’apparenza lo spettacolo offre tinte shocking, cioè roba da ciucciare, proprio così, da ciucciare, lo spettacolo è solo per morti, l’al di là, Cicicov sulla troika in un universale di muzic in continuo spostamento, sono anime morte quindi non possono morire e avanzano a testa alta, entra il Barone e butta una manciata di monete, Elisabetta ringrazia leccando per terra, la banca prende forma, aiuto! Cioè, sono impazzito? Logica assoluta, ecco, per chi capisce lo humour è fatta, per chi non capisce non c’è niente da fare, non è come sentirsi italiano o tedesco o inglese o russo ecc. ma come sentirsi soli su un pianeta di morti, tutto il pianeta una gabbia ed il canarino è volato via…meteora nell’universo seguita dalla luce, una coda che non finisce più, più in là ancora il ciuccio e qui come si fa? Continuo a ripetere è il sistema è il sistema perfezione assoluta funziona così e non può funzionare altrimenti e allora lasciamolo andare come va, a noi che importa? è veramente così, cos’è la coscienza bambino sull’inginocchiatoio del chierichetto a guardare il prete sollevare l’ostia verso il crocifisso, ecco il punto, ah, sospiro di beatitudine, la creatività, il genio, come buttare la palla e fare sempre strike qualunque cosa si scriva, però senza humour non si può capire, la banca, un fascio di carte false sul tavolo televisivo, la domanda è: “Sono le caravelle che vedono l’America o e l’America che vede arrivare le caravelle? Di qui e di là del video televisivo, chi trasmette e chi guarda, sul tavolo del programma c’è un narghilè fumante con sopra un crocefisso che pare vivo, dentro il narghilè, tabacco d’eccezione, ci sono sopra un cumulo di cenere di cui si è persa la memoria, suddivisi a scomparti per gusto di trincia, gli ebrei morti nell’ultimo olocausto, i soldati morti nel Vietnam, il genocidio dei nativi americani, i morti di Hiroshima e Nagasaki…l’elenco continua ma comunque tutti fumano, brace nella pipa, ne è rimasto proprio poco, che sta fumando il barone, sul cappello a stella e strisce troneggia il Dio Dollaro ormai vecchio e morente, Lilith sotto gli occhi di milioni di spettatori si avvicina al narghilè, allunga una mano sotto la fascia che copre i genitali del crocefisso e gli tira fuori il cazzo, cioè il bocchino del narghilè, un lungo cazzo con la cappella tronca ancora sanguinante, continua ad allungarlo a tubo verso la telecamera che riprende, verso l’al di là, la teoria di anime morte che segue la troika di Cicicov… “Toh, ciucciate!...”

Si sente una voce, non si capisce da dove viene comunque grida: “Lui ha smesso di ciucciare!” ed un’altra ancora più anonima che ribatte: “Meglio, c’è ne rimasto poco, così avanza per noi…”

Aspetto che il sogno esca tutto  svaporandosi nel nulla e poi riappiccico il clitoride alla figa di Lilli, con baci e leccatine glielo risaldo come se non fosse mai avvenuto nulla e applaudo.

Lei apre gli occhi e dice: “Sei proprio un bastardo!” mi abbraccia, mi stringe e poi fino al mattino Sturm und drang.
 

            der Hermannphroditgestalt


                                                 (la figura dell’ermafrodita) 

Al mattino di buon ora si vedono il signor Ermanno e la signorina Frida camminare a braccetto su un marciapiede che costeggia il labirinto di vicoli ed edifici del Cottolengo di Torino. Il cielo sopra lo smog è grigio ceruleo con ammassi di nubi che stanno scavalcando in massa le Alpi, le strade sono ancora bagnate e ricoperte di pozzanghere per il temporale della notte, a parte lo scalpiccio dei loro passi si sente il brusio di un cantiere poco lontano dove stanno iniziando i lavori ed il brontolare di un camion della nettezza urbana che sta raccogliendo i rifiuti.

Arrivano ad un portone, suonano, vengono fatti entrare in un cortile dove una guardia armata li conduce all’interno lungo un corridoio grigio fino alla porta di un ascensore. La guardia comunica con un citofono e dopo pochi secondi la porta si apre, i tre entrano e l’ascensore inizia a scendere, quanti piani non si capisce, infine si ferma e la scena si apre su un’aula magna simile ad un’arena, i palchi sono occupati solo nelle parti basse da personaggi anonimi, nel centro seduti sul lato di un lungo tavolo c’è una suora anziana con la tonaca nera e l’aria arcigna e tre uomini anch’essi anziani in clergyman.

La guardia li fa entrare poi chiude l’ascensore e risale.

Il signor Ermanno e la signorina Frida raggiungono il tavolo, salutano ed all’invito della suora si siedono sul lato di fronte a lei.

Frida si rannicchia su se stessa fissando lo sguardo coperto dagli occhiali scuri al suo grembo dove cincischia tra le dita una piccola pietra azzurrina. Ermanno la guarda poi si rivolge agli uditori e dice: “Sono venuti, come avevate previsto lei lo ha portato.”

“Come è andata?” chiede la suora.

Ermanno guarda Frida che assente col capo senza muovere lo sguardo dalla pietra e con voce incerta risponde: “Non è andata, all’inizio il santo lo ha ricusato e  la signorina non è sicura, in quel momento era disattenta, lei crede che sia stato lui, deve avere poteri molto forti.”

La suora, con voce acida, ribatte: “Disattenta…vorrà dire che era ubriaca!”

Ermanno continua: “Non dica così, la signorina non è mai ubriaca, il vino la aiuta a comunicare con l’aldilà, lei non conosce la pena che si prova, senza non le sarebbe possibile.”

La suora si consulta con i tre preti per qualche secondo e poi dice: “Sentiamo i fatti.”

Ermanno, dopo un nuovo cenno di Frida risponde: “La signorina non è sicura, lui è andato a sedersi tra le donne e le deve avere confuse, ci sono state delle interferenze inattese, la signorina crede che ci sia un pericolo e forse sarebbe meglio rinunciare.”

“Quale pericolo?” sbotta la suora.

Ermanno risponde: “La signorina prima vorrebbe sapere se in questo periodo avete sepolta una suora dell’ospedale per punizione.”

“La suora si fa attenta e dice: “Queste non sono cose che la riguardano.”

Ermanno guarda Frida che assente e continua: “La signorina crede di sì, sarebbe meglio se vi accertate che sia ancora viva, se volete il suo aiuto deve sapere tutto altrimenti dovete cercarvi un’altra medium.”

“Che cosa è successo?”

Ermanno tace, la religiosa si consulta con i preti e poi dice: “Va bene, è vero, ultimamente una suora tra le novizie è stata scoperta in fragrante mentre amoreggiava con un medico dell’ospedale ed è stata rinchiusa nella cella di punizione come prescrive la nostra regola.”

Frida solleva la testa e si toglie gli occhiali per guardarla, poi accosta la testa vicino a quella di Ermanno e gli parla concitatamente all’orecchio. 

Ermanno si solleva e dice: “La signorina crede che lui la abbia sentita e che sia venuto apposta per allacciare il contatto, c’è stato un momento che il piattino le ha preso la mano e fatto dire cose che non si erano mai sentite in bocca al santo, inoltre è intervenuta un’entità mai apparsa prima, la signorina non si è accorta di nulla, probabilmente ha avuto una trance e crede che lui abbia fatto il ponte e che l’abbia usata per evocarla. L’entità ha detto di essere una Cristina, che ce n’erano altre e tra loro una sepolta viva.”

“I religiosi rimangono qualche secondo in silenzio a meditare, si guardano con aria preoccupata poi il più anziano dei preti prende la parola e con tono pacato dice: “Tra noi non è il caso di farci prendere da sciocche superstizioni, la signorina doveva aver bevuto troppo vino e quelle Cristine saranno state nell’immaginario della giornalista, forse qualche favola che deve aver letto da bambina. Come vi siete accordati?”

Ermanno risponde:  “Abbiamo preso appuntamento per domani sera ma la signorina preferirebbe rinunciare, i suoi poteri non sono abbastanza forti per contrastarlo, inoltre sulle donne alla preghiera non si può più fare affidamento, lui le deve avere incantate e c’è il pericolo che prenda nuovamente il controllo della seduta.”

“Il demonio!” esclama sbavando la suora battendo un pugno sul tavolo.

Il prete anziano, senza perdere la calma dice: “Al punto in cui siamo non possiamo tirarci indietro, siamo sicuri che se la signorina farà più attenzione e si limiterà nel bere saprà certamente controllare la situazione…magari con una aggiunta al compenso sarà più facile.”

 Frida parla concitatamente nell’orecchio di Ermanno che la guarda assentendo e poi dice: “L’aggiunta può essere utile ma la signorina vorrebbe anche un aiuto, se alla seduta partecipassero altri medium si potrebbe tentare di fare il cerchio ed in tal caso annullargli ogni potere.”

Il prete medita le parole e ribatte: “Sì, la signorina ha ragione, questo si può fare…la seduta è per domani sera, medium capaci e fidati ce ne sono pochi, bisognerà farli arrivare da ogni parte del mondo, non abbiamo un minuto da perdere.”

Rimangono ancora a parlare per discutere i dettagli ma questi ormai seguono le probabilità e non hanno più importanza.  

 

Al mattino mi sveglio con l’eco di una voce appena udita nel sogno:

“Voglio il ciuccio!”

“No, non te lo do!”

Sono le dieci passate,  il letto un campo di battaglia disfatto, coperta e lenzuola a terra, i pezzi di Lilli sparsi qua e là si stanno ricomponendo al risveglio…le persiane che chiudono la finestra fanno filtrare fasci di luce solare nel cui interno si agitano turbinii di polvere impalpabile, l’aria profuma del suo corpo, sono tutto leccato e morsicato, dal cortile si sente il rumore di una macchina che procede lentamente sulla ghiaia poi si ferma e spegne il motore e subito dopo si mette a chiocciare una gallina.

Mi alzo e vado in bagno, piscio poi mi metto davanti allo specchio, faccio scorrere l’acqua e ci ficco la testa sotto, prendo il rasoio e mi insapono la faccia per farmi la barba. Entra Lilli barcollando, mormora un buongiorno e si siede sul water per pisciare. Mentre orina dice: “Mi sento come se fossi stata calpestata da una mandria di tori, sono tutta un bruciore.”

Continuando a insaponarmi rispondo: “Parole, solo parole, forse un desiderio latente imprigionato nella Shell, l’attrazione c’è, un vero peccato questo dovere, sono sicuro che nel piacere che seguirà avrai una parte molto importante.”

Lilli distende le gambe rilassandosi, aggiusta la posizione allargando le natiche sopra l’asse del water e continua: “Sogno o son desta?…a proposito di sogni, l’autore ha un modo tutto suo per scavare nelle trippe dei suoi personaggi, un sogno così non ricordo d’averlo mai fatto…” si zittisce concentrandosi sul corpo teso per cagare, fa uno sforzo compensato da una flebile scoreggia ma lo stronzo non esce, sospira e si rilassa nuovamente in attesa dicendo: “Sei tu che hai parlato di psicoanalisi, come lo spieghi?”

Adesso la faccia ce l’ho bella insaponata, nella schiuma ridono gli occhi, prendo il rasoio ed inizio a grattare sotto il mento, ne raschio una metà e mentre sciacquo la lametta dico: “A me sembra chiaro, l’argomento è trito, se non capisci è solo affar tuo.”

Lilli si raccoglie sul water, riprova ancora a spingere inutilmente, sospira e dice: “Adesso fai il misterioso, con i sogni di suor Teresa eri più loquace, il mio non è abbastanza importante?”

Finisco di radere l’altra parte del sotto mento e rispondo: “Eccome se lo è, la diretta conseguenza del contrasto tra Eva e Lilith che si risolve nell’ermafrodita, cioè nella castrazione del me, la figura è  manipolata in modo perfetto, la psicologia, il comportamento che segue, effetto, il male, se di male si intende, sta nella causa ma la causa ha la forma di un effetto la cui causa è precedente nel tempo, la cosa non è facile da accettare ma non può essere diversa da com’è.”

“Parli difficile…”

“Allora te la faccio semplice, il problema è che non è facile gestire l’umanità, o si fa così o si fa cosà, in questo caso e cosà e vale a confronto per il così. Sono sicuro che capisci e anche suor Teresa.”

Lilli si solleva poggiando le mani sull’asse del water, si dondola sopra, si risiede, spinge concentrandosi sull’atto, scoreggia un paio di volte una breve soffiata ed una lunga spernacchiata,  allunga le gambe aprendole, si gratta la vagina e dice: “Va bene, sono sempre stata burattinata, la mia vita, un burattino, sarà sempre così?”

Ravvivo il sapone sul viso, rado il mento e rispondo: “Dipende dai punti di vista, il problema adesso è che ci sono cose che vanno intese a feeling, non si possono spiegare perché allora sarebbe inutile qualsiasi sforzo.”

Alla parola Lilli si tende, spinge, scoreggia ancora e poi con un’imprecazione silenziosa tra le labbra torna a rilassarsi: “Ho capito, ci vuole pazienza con te, non sei un tipo facile.”

Inizio a radermi una guancia, pareggio la basetta, sciacquo il rasoio e mentre lo strizzo dico: “Il canone ha sviluppato la figura, l’interpretazione non è una regola fissa, è un significato che cresce e può cambiare in base alle situazioni ed alle figure con cui viene confrontato. All’apparenza sembra enigmistica, l’enigmistica come qualsiasi altra espressione che si basi sull’interpretazione di figure come l’i King cinese è una derivazione del canone, un rapporto tra chi propone l’enigma ed il solutore, tra i due si viene a creare un feeling, ci sono solutori abilissimi nel risolvere i quesiti degli autori a cui sono abituati che si perdono nel risolvere quelli a cui non lo sono, comunque si tratta sempre di una domanda e di una risposta. Il canone invece non fa domande, butta un embrione che poi  si guarda crescere fino alla sua realizzazione, la chiave per capirlo sta nello humour, una forma di ironia che è l’anima dell’enigmistica colta, questo humour lo possono cogliere solo pochi ed in questo consiste il nostro feeling, se non riesci a capirlo vuol dire che non ci sei.”

Lilli si tende sul water drizzando la schiena, spinge, riesce a far uscire uno stronzetto a wurstel che cade nella tazza con un debole splash, spinge ancora per far uscire il grosso, scoreggia una serie a ripetizione, si rilassa e dice: “Sono un po’ stitica stamattina…fammi capire, Elisabetta con Carlo che chiede l’elemosina, sono la famiglia più ricca del mondo, tu lo chiami humour ma altri potrebbero intenderlo per invidia.”

Inizio a radere l’altra guancia, i peli vengono via che è un piacere, pareggio anche la basetta e rispondo: “Ognuno la può intendere come gli pare, a me non importa. L’argomento è già stato trattato. La base della società sono gli zingari, l’unica realtà, tutto il resto, fino ai nobili, è una loro proiezione, cioè una loro forma. Zingaro è una parola la cui probabile origine è dal greco zoion, le bestie nere che venivano sacrificate ai morti per farli parlare come fa Ulisse quando scende nell’Ade. Gli zingari sono stati creati apposta per rivestire quel nome di una forma, probabilmente sono i discendenti degli schiavi presi da Attila che si fusero con gli Unni, un popolo artificiale creato a tavolino, la luce senza origine con cui dio dà inizio alla creazione, una trascendenza della realtà, una non esistenza. La scala sociale è come un’ottava musicale da zero al do successivo, la cosa avviene così, tu vedi uno zingaro e automaticamente ti credi superiore, il credersi superiore ad una cosa che non esiste ti trasporta dalla realtà dove sei nella scala trascendente che inizia da loro. In questa scala le note sono nominate a priori come non essere zingari e si trasmettono ereditariamente così Elisabetta è regina non perché è nobile ma perché non è una zingara. Nella logica il nome non è forma, la zingara non è Elisabetta, la forma della zingara è Elisabetta ed ecco risolta la figura. In ogni caso che Elisabetta sia la regina più ricca del mondo è solo un giudizio giornalistico, se si calcola il debito pubblico dell’Inghilterra tutti gli inglesi a cominciare da lei dovrebbero andare a chiedere l’elemosina per strada e non solo gli Inglesi, la forma degli zingari è universale su tutto il pianeta, in questo mondo gli zingari sono l’unica realtà esistente e sul loro sistema di vita si fonda qualsiasi classe sociale.”

Lilli si drizza sulla schiena, respira e con un gemito di piacere fa scendere una lunga salsiccia di merda, scrolla il sedere, butta giù ancora un paio di scorreggine soffiate e dice: “Anch’io quindi, sono giornalista solo di nome mentre nei fatti…come l’autore, è un povero scemo solo di nome, mentre nei fatti…”

Son rimasti i baffi, ci passo sopra un po’ di sapone fresco, li rado e concludo: “Questo non ha importanza, bisogna calcolare quel che sarebbe altrimenti, questo sistema non può funzionare diversamente, ora quello che dobbiamo fare per guarire dal cancro è uscire dalla trascendenza, per cominciare  evita di confrontarti e di confrontarmi più o meno con chicchessia, ognuno è quello che è capace di fare senza giudizi e  naturalmente la cosa vale anche per me.”

Sciacquo la faccia, l’asciugo e poi, mentre Lilli tira l’acqua, faccio una pernacchia allo specchio.

                            Il castrum.


Non è facile staccare le parole dai fatti, dopo la doccia infilo un paio di braghette ed una canottiera e mentre Lilli si trucca scendo al bar dell’albergo.

Dietro al banco c’è Tommy, bambolone di carne in divisa dorata, sorride mormorando un “all right” soddisfatto, fa l’occhiolino e chiede cosa desidero. Ordino un caffè, mentre lo prepara  vedo dalla finestra aperta un gran movimento di persone nel cortile.

“Che sta succedendo?” chiedo.

Tommy segue lo sguardo e risponde: “C’è stata una frana giù al lago vicino all’accampamento di inglesi, stato temporale di stanotte, non capito bene ma avere scoperto qualcosa, ci sono protezione civile e carabinieri a vedere, inglesi venuti tutti qui ad aspettare.”

Prendo il caffè e mi affaccio alla finestra per berlo. Il cielo è sereno, l’aria profuma di fiori d’acacia, leggeri spruzzi di vento animano le foglie sugli alberi dove si sente cinguettare qualche merlo. Nel giardino, sotto la volta di una grande quercia, c’è un tipo alto e dinoccolato ritto sopra una sedia che gesticola lentamente imitato in ogni movimento da una ventina di  ragazzi e ragazze che gli fanno cerchio intorno, altri siedono per terra a gruppetti a guardarli, la maggior parte con la schiena appoggiata ad un albero. Sono vestiti con tute leggere dai colori più o meno sbiaditi.

“Gli inglesi sono tutti matti.” dice una voce con accento tedesco alle mie spalle.

Riconosco uno dei cantori alla cena, tende la mano, ce la stringiamo e continua: “Si ricorda di me? Ieri sera, tra un bicchiere e l’altro abbiamo accennato un discorso sul mito senza concluderlo, mi chiamo Hans Peperone, sono professore di filosofia in pensione, mi sono informato con Circe, lei è uno scrittore molto famoso in Germania, i suoi metodi non si possono definire ortodossi ma vanno sempre a segno, ho imparato più dai suoi libri che in quarant’anni di carriera, la sua rivisitazione di Hegel ha fatto furore aprendo gli occhi a molti intellettuali su una materia che era ormai data per morta.”

“Non dica così che mi confonde, il merito va all’autore, è lui che ha scritto i libri, noi siamo solo personaggi e non esistiamo al di fuori delle parole che ci danno forma. Che stanno facendo?” chiedo indicando gli inglesi.

“Chi lo sa? Training spirituale lo chiamano, a me sembrano scimmie, un’usanza che si sta diffondendo in molte parti del mondo, forse è il ritorno alla natura auspicato da Darwin. Ha tempo? Perché non ci sediamo, avrei piacere di continuare il discorso di ieri.”

“Quale discorso? Non ricordo assolutamente.”

“Lei sostiene che gli intellettuali tedeschi sono dei presuntuosi.”

“Lo è?”

“Vuole che lo ammetta? A che serve?”

Ci sediamo ad un tavolo vicino alla finestra, dopo pochi secondi arriva Circe coi capelli pettinati a velo da sposa in un grembiulino sottoveste rosso fuoco aderente come una seconda pelle. Con voce civettuola ed ammiccante dice: “Si è alzato tardi stamattina, la devo sgridare, questa notte non mi ha fatto chiudere occhio, tutta la stanza tremava, cosa avete fatto? la sua compagna è ancora viva che non la vedo?”

“Sta benissimo, si sta facendo bella.”

Circe ammicca e continua: “Capisco, alla sua età…desidera qualcosa di speciale? Mi ha fatto venire… qualsiasi cosa, a sua disposizione.”

Guardo il professore che dice: “Mi fido di lei, ordini anche per me.”

“Allora controlli se nella cantina di suo padre c’è un Arneis al fresco e porti qualcosa da stuzzicare.”  

“Beh…” mormora Circe arrossendo,  “se vuole stuzzicare ce n’è quanto ne vuole.”

Si allontana sculettando, la guardiamo incantati e quando sparisce dentro la cucina Hans dice: “Circe, il nome un programma, sono cinque anni che veniamo in vacanza qui, ci sentiamo tutti maiali ai suoi piedi e lei si diverte, sembra che la voglia dare a tutti ma non è affatto una ragazza facile, in compenso la sa vendere alla perfezione…torniamo a noi, ieri a proposito del mito ha detto che in Germania non esiste mito, mi piacerebbe seguire la ragione del suo enunciato.”

“Vuole dire le probabilità, il canone non è ragione, la figura è quel che si vede, parole scritte su libri insegnate a bambini ingenui e creduloni, miti stabiliti a tavolino da un potere che non lascia nulla al caso per condizionare il comportamento al ripetersi della storia. La caduta dell’impero romano, la saga dell’Edda, Odino e il Walhalla, il cristianesimo, favole montate per farvi credere d’essere un popolo di eroi, in realtà siete il popolo più imbrogliato e massacrato della storia e tutto per la boria che vi ottenebra la mente.”

Hans mi guarda sollevando un sopracciglio, si dondola sulla sedia pesando le parole e infine dice: “Lei ha i suoi sistemi, provoca per ottenere reazioni e condurre il ragionamento dove più le aggrada, può essere che quel che dice sia vero però in un  suo libro ho letto che ogni verità va presa con un cinquanta per cento di incertezza e mi voglio attenere a questo.”

“Parole sagge, ” ribatto,  “solo parole comunque, i fatti sono l’altra parte del cinquanta per cento ed ogni analisi statistica prevede campioni di riferimento dal cui esempio si può risalire alla regola. Le voglio dare un consiglio, anche se è un professore di filosofia non si azzardi a sfidare un filosofo sul suo campo, le mancherebbero le armi per combatterlo e ne uscirebbe irrimediabilmente sconfitto.”

Hans rimane un attimo silenzioso ad osservare le parole che ho detto e risponde: “Un livello superiore, la politica, la logica del porcile tra i maiali ed il porcaro che li amministra.”

“Esatto.”

“Come funziona veramente?”

La risposta viene interrotta da Circe che posa in tavolo un vassoio colmo di delizie ed una bottiglia appannata dal fresco di cantina. Porgendomi un cavatappi dice: “So che gli intenditori le bottiglie preferiscono aprirle di persona, badi bene a stuzzicare, oltre ai salumi ho messo manicaretti fatti da me e cose così non le trova da nessun’altra parte…” sorride ammiccante e si allontana saltellando sulle punte.

Stappo la bottiglia, assaporo il profumo del vino, riempio i bicchieri, facciamo un brindisi e poi, arrotolando una  salsina colma di frutti di mare ad un grissino dico: “Capire il sistema non ha importanza, ogni popolo ha i suoi miti, all’apparenza sembrano uno diverso dall’altro ma nella sostanza riconducono tutti alla stessa storia, la vera storia del doctor Faust, questa:”

Addento il grissino spezzando la punta guarnita ed esclamo: “Mmm…che buono!”  

 

 Arriva Lilli, ballerine rosse ai piedi, gonna bianca plissettata lunga al ginocchio, camicetta rosa a righine con una spilla a petali d’oro intorno ad un piccolo smeraldo all’altezza del cuore. Si ferma al bar a parlare con Tommy che le indica il tavolo dove siamo seduti, si fa servire un succo di frutta e poi ci raggiunge. Ha gli occhi marcati dal rimmel che splendono, le labbra accese di rossetto, i capelli fulvi e rasi la fan sembrare una maschietta molto sexy. Hans si alza e galantemente scosta una sedia per offrirgliela.

“Guten morgen.” Le dice.

“Guten morgen.” Ricambia Lilli sedendosi.

Hans, tornato al suo posto continua: “Si ricorda di me? Ieri sera abbiamo fatto un giro di valzer insieme, lei assomiglia moltissimo ad una giornalista che ho visto molte volte in tv in Germania, aspetti, il nome…mi pare Lilli…”

“Sono io.” Risponde lei in modo brusco,  “ma ora sono in vacanza e non mi va di parlare di lavoro.”

Mi guarda poi guarda verso le cucine e torna a guardarmi mordendosi le labbra.

Hans, senza badare al tono continua: “Pettinata così sembra un'altra, i capelli corti le stanno proprio bene, la fan sembrare un…” non trova la parola ed in quel momento nel bar entrano le due bionde che ieri ballavano il valzer insieme, il fisarmonicista ed altri cantori interrompendolo, ci raggiungono al tavolo e siedono, presentazioni, parlano tutti in tedesco ma comunque son le parole che si dicono di solito e si capiscono lo stesso, i minuti scorrono, la sala si anima, viene l’ora di pranzo, i tavoli si apparecchiano, brusii di voci, rumore di posate, di mandibole che masticano, insomma…al momento del dessert giungono le prime notizie portate da un gruppo della protezione civile che sono venuti per il pranzo, sembra che la frana abbia scoperto l’ingresso di un antico castrum romano che era sepolto sotto la collina, da Torino stanno arrivando esperti per fare indagini più approfondite. Il gruppo di inglesi hanno tutti abbandonato i tavoli per accalcarsi intorno a due di loro arrivati dalla frana portando notizie fresche. Il tam tam continua, sulla porta del castrum c’è una lapide con una iscrizione in latino, le lettere sono semi cancellate dal tempo e solo alcune sono leggibili, tra gli inglesi si sentono mormorare i nomi Camelot, Artù e Merlino…

Lilli sembra assente, guarda e non guarda, parla e non parla, ad un certo punto le chiedo: “Che cos’hai?”

Lei mi guarda con cipiglio e risponde: “Non ce la faccio, sono malata, sto male!”

“Figuracce di cui ti vergogni, ho capito, ce n’hai un baule pieno e non riesci a liberartene.”

“Allora? È la mia vita, tu che centri?”

“Tua per modo di dire, il baule me lo stai scaricando addosso.”

“Allora? È così, non ci posso fare niente, dimmelo tu cosa fare.”

“Nulla, la tua psicologia è di una banalità sconcertante sostenuta da una grande superbia. Gelosia da quattro soldi, zavorra inutile, non ci pensare, cose passate, che ti frega? Qualsiasi cosa è stata prevista, sarebbe troppo lungo da spiegare ma è probabile che tu sia perfetta così come sei, adesso siamo solo parole, liberi come farfalle di svolazzare sui fiori che ci pare, nulla è mai esistito…godiamoci la storia, mi piacerebbe andare a vedere quel che è successo alla frana prima che chiudano tutto, potrebbe essere interessante.”

Lilli mi dà un calcio sotto il tavolo e dice: “Va bene, può essere come dici, sono impulsi che non riesco a dominare, farò del mio meglio per liberarmene ma tu mi devi aiutare. Andiamo a vedere quella frana, sono curiosa anch’io.”

“Allora approfittiamo della tua popolarità, vai da quei tipi della protezione civile e digli chi sei, si metteranno a leccare per terra e ci porteranno subito sul posto con la loro camionetta.”

Un quarto d’ora dopo siamo a destinazione. Il sentiero arriva fino ad un lago ovale lungo un centinaio di metri cintato da un folto canneto a parte su un vertice dove è spianato e sabbioso. Si vede un’anitra selvatica seguita da una decina di paperotti nuotare lungo un margine ed un paio di grossi aironi alzarsi in volo dalle canne e allontanarsi verso il bosco sopra il lago. L’aria ridonda del gracidare delle rane, al nostro arrivo zittiscono tutte di colpo poi dopo qualche minuto, a seguito una dopo l’altra, riprendono a cantare.

Scendiamo dalla jeep, i tre tipi della protezione civile che ci hanno portato, ossequiosi verso Lilli, ci fanno strada. Iniziamo a salire un sentiero che si inerpica verso l’alto tra gli alberi del bosco, dopo una cinquantina di metri arriviamo al campo degli inglesi, una radura dove sono piantate una ventina di canadesi intorno ad una cucina da campo, si vedono numerose amache tese e capanne improvvisate sugli alberi più grandi. L’accampamento è deserto, proseguiamo sempre salendo ed arriviamo ad una zona sgombra da alberi, un punto dove il sentiero si avvalla in un largo canalone quasi in piano che termina contro uno strapiombo a cupola sopra il quale  il bosco riprende a salire verso la cima del colle.

Proseguiamo lungo il canalone costeggiando un rio d’acqua gorgogliante fino allo strapiombo. Sul posto ci sono quattro carabinieri in divisa ed altri due della protezione civile, subito dopo si vede un ammasso di fango precipitato dalla parete e nel vuoto lasciato i ruderi in pietra di una porta rettangolare. Oltre il sentiero continua all’interno in un buio impenetrabile da dove si sente provenire l’eco d’una cascata che precipita dalla roccia simile al flebile cigolare di una carrucola,  sopra la porta c’è una grossa lapide di granito con dei caratteri quasi indecifrabili scolpiti, certe lettere erose dai secoli sono indecifrabili, di quel che resta si legge:

                                                     CA…T..UM    ..UT    MER…

Uno della protezione civile dice di aver già visto un’iscrizione simile in un'altra occasione e che ritrovamenti di resti di antichi insediamenti romani sono frequenti sulle Langhe,  il Catum intende Castrum, il resto deve essere il nome dell’accampamento, poi ridendo aggiunge che gli Inglesi nel Catum hanno letto Camelot ed in Ut e Mer Artù e Merlino.

Mi affaccio alla porta, il buio è impenetrabile, provo a muovere un passo all’interno ma un carabiniere mi blocca dicendo che la frana è ancora in movimento ed hanno avuto l’ordine di non far passare nessuno.

Per il momento altro da vedere non c’è,  curiosiamo un po’ intorno e poi scendiamo con i due della protezione per il loro turno del pranzo.

 

                  Singhiozzo d’autore. 

“Il fuoco si sta spegnendo.”

“Lo sento. Meglio stringere i tempi, potrebbe capitare un ritorno di fiamma, intanto che facciamo?” Chiede Lilli annusando l’aria.

 “Possiamo seguire le probabilità ed andare ad Alba a spedire l’offerta per il Cottolengo.”

Lilli arriccia il naso: “L’autore non vede niente di meglio?”

“Per il momento no, l’indagine ha già toccato i punti essenziali.”

“Però non siamo usciti dalla trascendenza e siamo ancora malati.”

“È vero ma questo non lo dobbiamo fare a parole e nei fatti per noi non c’è nessuna storia.”

“Questo lo dici tu.”

“No, è l’autore che l’ha scritto, lui vede le probabilità, quel che succederebbe se…e non ha nessuna intenzione di morire di fame solo per farsi qualche scopata con una vecchia troia in disarmo, il problema è grave, gestirlo richiede perfezione assoluta.”

“Allora andiamo ad Alba a fare l’offerta.”

“Andiamo ma per continuare la storia bisogna apportare qualche modifica al tuo personaggio e dare un taglio alla zavorra che ti tiene legata all’accattonaggio sociale a cui fornisci la Shell.”

“Dove sono le forbici? Oppure un coltello ben affilato, non chiedo di meglio.”

“Procediamo per gradi, senza fretta.”   

 

Pomeriggio assolato, sembra già estate, salite e poi discese sulle colline delle Langhe verso Alba, distese di vigne argentate a perdita d’occhio, qua e là dei rettangoli incolti stonanti come denti mancanti nel sorriso di un attore americano, paesini col campanile a missile ed i tetti rossi, cascine isolate, borgate, piccole cappelle e chabot sulle cime dei colli, lungo la strada si susseguono villette per la maggior parte a schiera di recente costruzione, alberghi, ristoranti,  discoteche, distributori di benzina.

La macchina con la capote scoperta, Lilli guida a piedi nudi, foulard rosso sventolante alla testa ed occhialoni scuri, si è tirata su la gonna a metà coscia ed ogni tanto mi sbircia di sottecchi con aria preoccupata.

“Che ti succede?” chiede,  “cos’è quel muso, non ti piaccio più?”

Le do un bacio smaccoso con carezza di lingua sul collo, le accarezzo l’incavo dietro un ginocchio e rispondo: “Non te la prendere con me, è l’autore, ha visto le probabilità che seguono e gli si è mosciato l’estro.”

“Al diavolo!” esclama lei,  “mandiamo tutti al diavolo, potremmo rifugiarci in un una baita sperduta tra le dolomiti e poi non fare altro che amoreggiare, folleggiare e sbocconcellare…”

“La tua è un’idea banale, piccolo borghese, ci stuferemmo dopo un paio di giorni, perché invece non cercare un pianeta intero inesplorato e disabitato pieno di foreste vergini, oceani, vulcani…”

“Come ci andiamo?”

“Dove, sulle dolomiti? Ti sei dimenticata il cancro e ed in ogni caso non ce lo permetterebbero, la tua idea è ancora più strampalata. Il nostro destino è già stato previsto, inutile fare progetti, l’unica cosa è vivere giorno per giorno quello che la fortuna ci manda.”
 
 

                        Lo zio Sam 


Superato il cartello di Alba, prima di entrare in città, il traffico è dirottato su una sola corsia per lavori  sulla strada, la fila dove siamo è ferma in attesa che passi l’altra, fa caldo, c’è polvere e l’aria odora di catrame.

Dalla testa della fila si vede un nugolo di questuanti risalire lentamente bussando ai finestrini di ogni macchina, si avvicinano, ci sono molte donne col bambino in braccio, storpi con parti del corpo mancanti o piaghe purulente che saltellano su stampelle di fortuna, barboni scalzi e sudici vestiti in vecchi cappotti o sacchi laceri e unti con un’immagine di cristo legata al petto, nel sottofondo del ronzare dei motori delle auto ferme si alzano gemiti e invocazioni querule come i belati d’un gregge di pecore su un pascolo di fame: “Carità, un soldino per mangiare,  pietà, un’elemosina per i bambini…”

Lilli vedendoli avvicinare schiaccia il bottone per sollevare la capote, non abbastanza in fretta, molte mani si insinuano dagli spazi ancora aperti,  “Carità, un soldino, ho fame…” qualcuna la tocca, la accarezza, il foulard le cade dalla testa, con gesti frettolosi raccoglie una manciata di monete da una sacca nel cruscotto e le mette dove capita…davanti la fila inizia a muoversi, dietro un clacson suona impietoso, Lilli con un gesto automatico ingrana la prima e spinge l’acceleratore, ci muoviamo, passiamo l’asfaltatrice in un fragore di ferraglia e fumo nero e ci avviciniamo alla città, sulla porta il semaforo è rosso e la fila nuovamente ferma, dalla scarpata un nuovo nugolo invade la corsia, lavavetri, altre donne col bambino, barboni, avanzando si spintonano per contendersi i posti migliori, i gemiti e le invocazioni aumentano di tono, molti bussano sui finestrini chiusi o battono manate sulle lamiere maledicendo quelli che non pagano.

Lilli ha serrato la macchina, lo stormo passa oscurando la luce, colpi sulle lamiere, insulti, lei mi guarda e con voce adirata strilla: “Perché fai quella faccia? Sembra che ti diverti!”

“Parole, se non ti piaci non ci posso fare niente.”

“Come sarebbe? Questa è miseria, una violenza!”

“Ti sei appena chiamata per nome e naturalmente neghi la forma.”

“Ti sembra il momento di fare il filosofo? Parla chiaro!”

“Queste cose le devi capire da te altrimenti è inutile, per l’autore non è facile prenderti così come sei, l’apparenza di una storia di ciechi non lo distoglie dalla realtà che lo sta assediando, quale storia vuoi impostare su un simile campo d’azione?”

“Non sono io!”

“Adesso neghi il nome, l’analisi è spietata, ti avevo avvertita, siamo solo all’inizio, guarda, il semaforo è verde, andiamo avanti.”

Entriamo in città, poche centinaia di metri e siamo nuovamente fermi ad un semaforo rosso. La strada si riempie di questuanti, lavavetri, donne che gemono, bambini che piangono, barboni,  passandoci accanto Lilli si irrigidisce chiude gli occhi e si tappa le orecchie con le mani  poi, al suonare furioso del clacson dietro per il verde al semaforo li riapre e la marcia prosegue.

“Guida in silenzio per un po’ poi come vede un semaforo davanti diventare rosso accosta in uno spazio libero sul lato della strada e si ferma. Davanti si vede la fila di macchine ferma assalita nuovamente dai questuanti, sempre più numerosi.”

“Non sono io!” esclama.

L’abbraccio, le do un lungo bacio profondo palpandole le tette, aspetto che si sciolga sotto le carezze e dico: “Se vogliamo capire la filosofia è necessaria, la causa non è effetto, quello che si vede è effetto della mentalità che rappresenti che naturalmente, essendo causa, non è l’effetto che si vede. L’autore non ti sta accusando di nulla, la causa ha la forma di un effetto la cui causa è precedente nel tempo quindi il tuo comportamento essendo quell’effetto non è più causa. La causa precedente ti è estranea ma questo non deve essere una scusa per te altrimenti si torna al dottore pentito che scarica la colpa su altri come fa Adamo con Eva. Lasciamo scorrere le immagini.”

Scendiamo dalla macchina, Lilli sembra una bambina di dieci anni tutta da scoprire, mi stringe una mano nella sua e proseguiamo a piedi.

Le probabilità seguono un andamento esponenziale, qualcosa di simile alla fisica nucleare quando si osserva la proliferazione atomica diretta alla trascendenza, il campo d’azione è sempre oggi e oggi non è domani e neppure ieri.

All’entrata di un giardinetto pubblico c’è un grande cartellone pubblicitario piantato su pali con esposta l’immagine di alcuni calciatori famosi in divisa di cui uno tiene in braccio un bambino africano denutrito, in alto lo slogan: “No al razzismo negli stadi.” sotto, a caratteri cubitali: “Giornata del fanciullo, contro la fame, fate la carità.”

Proseguiamo camminando sul marciapiede, seduti sull’entrata di ogni negozio ci sono zingare col bambino o mendicanti con la mano tesa, nei punti di maggior passaggio si aggiungono cinici col cane inginocchiati davanti al cartello: “Ho fame.” Davanti ad ogni supermercato il numero dei questuanti aumenta ma a questo punto saliamo su un autobus diretto al centro.

Appiccicati ai finestrini, sulle pareti e penzolanti lungo il mancorrente ci sono locandine dai svariati colori con contenuti tipo: “Un soldino contro la fame nel mondo, oppure un soldino per la ricerca sul cancro, per la leucemia e tutta una serie di malattie che sarebbe troppo lungo elencare, si vedono figure di bambini gonfi e tumefatti ricoperti di piaghe serviti in tutte le salse alternati all’immagine del papa benedicente tra missionari barbuti in mezzo ad altri stuoli di bambini malnutriti e medici illustri, alla prima fermata salgano dieci mendicanti tra cui quattro zingare col bambino e sei barboni di estrazione varia, spintonandosi nella calca fanno la questua aggrappandosi agli abiti dei passeggeri, molti bambini piangono sguaiatamente, qualcuno protesta, spintoni, parolacce, maledizioni, alla seconda fermata scendiamo mentre altri mendicanti salgono aggiungendosi ai precedenti. Siamo in prossimità del centro, procedendo con cautela per non calpestare le gambe tese e le ciotole dei numerosi mendicanti coi cani seduti sui marciapiedi arriviamo in vista della piazza principale, al centro di questa, su un grande tabellone piantato su una rotonda, c’è l’immagine di Elisabetta seconda con al fianco Carlo e davanti William e Cate con il bambino in braccio, ai fianchi, disposti leggermente più in basso, ci sono le famiglie reali del Giappone,  di Spagna,  del Belgio, di Svezia ed altre, sotto, sempre a caratteri cubitali lo slogan: “Aiutiamo l’UNICEF, contro la fame nel mondo, fate la carità…”

Entriamo sotto i portici, ci dirigiamo verso l’insegna di una banca procedendo a fatica nell’intrigo di mendicanti vari, zingari, cinici col cane che si contendono i pochi passanti. Su ogni vetrina sono esposte locandine con immagini di attori, cantanti, artisti vari, tutti sorridenti con le facce gonfie di grasso sottocutaneo e lo slogan: “No al razzismo!” e poi: “Aiutiamo i bambini del terzo mondo, date un soldino.”

Vicino alla banca vediamo un ragazzino cencioso rubare la ciotola delle elemosine a un barbone e poi darsela a gambe tra le urla di questo, più avanti si vede un tabaccaio uscire dal negozio gridando al ladro verso un paio di giovani che scappano, la calca ondeggia per qualche secondo come percorsa da un flusso di corrente elettrica poi ritorna la normalità ed ai soliti brusii, intervallati come il frinire di cicale, le invocazioni: “Un soldino, ho fame, carità…”

“Sono stanca.” Dice Lilli.

“È quasi finito, tra un po’ cambiamo scena, fermiamoci per un caffè.”

Al lato della banca c’è un bar, il barista è appena uscito gridando per cacciare dei mendicanti accalcati davanti alla porta, aspettiamo che il passaggio si liberi ed entriamo. Nella  sala c’è un televisore acceso sullo sfondo che trasmette un programma musicale dove si vedono scimmie urlatrici salire e scendere dagli alberi e pochi clienti coi gomiti appoggiati al bancone che guardano senza interesse.

Ci sediamo ad un tavolo in disparte, mentre attendiamo che ci servano Lilli dice: “Sono stordita, non riesco a pensare, non so più cosa voglio.”

“Vuol dire che la cura funziona.”

“Se lo dici tu…questa storia…quanto devo mandare al Cottolengo?”

“Sono affari tuoi, a questo punto non ti dico più nulla, sei responsabile dei tuoi atti.”

“Insomma, te ne lavi le mani!”

“Sei un robot che agisce a comando o sai camminare da sola?”

“Non lo so, dimmelo tu.”

“Fuori dal pensiero, spontaneità e fiducia in se stessi, esiste solo oggi.”

Improvvisamente nell’aria si sente una sensazione di vuoto, fuori dalle vetrine del bar i movimenti sotto i portici sembrano procedere al rallentatore e l’aria si è oscurata, un colpo di vento chiude la porta facendo tremare tutti i vetri proprio mentre il barista ci serve il caffè, mentre lo beviamo il televisore si mette a ronzare trasmettendo degli spot pubblicitari, le immagini si vedono disturbate percorse da linee scoppiettanti con interferenze di altri programmi che si accavallano una sopra l’altra.

Gli avventori al bancone si mettono a protestare, il barista prende il telecomando e cambia canale, si vede una corsa di moto rombanti su un circuito assolato prossimi all’arrivo, lo speaker segue l’andamento con parole accalorate, Lilli incurante posa la tazzina e dice: “Adesso andiamo in banca e facciamo questo versamento così non ci pensiamo più.”

“Aspetta, la scena non è finita.”

“Cosa c’è ancora?”

 L’atmosfera è diventata opprimente, la sensazione che si prova di notte ad entrare in un cimitero abbandonato dopo aver visto un film di fantasmi, sembra di essere sul palcoscenico di un teatro, il nostro tavolino sotto il riflettore, tutto intorno il buio dove sono nascosti miliardi di spettatori a guardare col fiato sospeso e di fronte il televisore che ha ripreso a scoppiettare di interferenze.

Poco prima del traguardo la corsa si interrompe per degli spot pubblicitari, si vede una favela brasiliana con uno stuolo di bambini cenciosi che giocano a pallone tra le immondizie, poi il cortile di una missione in Africa con altri bambini seminudi ed emaciati che guardano verso il pubblico con occhioni imploranti, segue la voce di Lilli alla televisione dire: “I bambini poveri hanno bisogno di medicine, che cosa aspetti a mandare soldi?”…c’è una pausa ronzante di interferenze e la voce di Lilli, rivolta alla Lilli seduta al tavolino, con tono doppio mezzo uomo e mezza donna riprende: “Che ci fai con quel pezzente?...torna da me!…”

 Le interferenze aumentano ed il buio e la solitudine si sono infittiti, adesso sullo schermo si vedono solo righe zigzaganti sfrigolanti di elettricità, le interferenze si dispongono su più piani ed iniziano a formare delle figure tridimensionali, accenni di figure che si rincorrono da un lato all’altro e poi tornano indietro come se rimbalzassero su pareti invisibili, le immagini rallentano e si concentrano al centro, si inizia a vedere una tomba, un sarcofago che si scoperchia lentamente, dentro c’è una montagnola di polvere che in un soffio si compone in uno scheletro, il cranio si solleva occupando tutto lo spazio del video, sopra la testa gli cresce un cappello a cilindro che le interferenze disegnano a stelle e strisce come la bandiera Usa e sulla sua fronte si stampa lampeggiante il simbolo del dollaro, sbatte le mandibole a vuoto e con una voce cavernosa e rimbombante che prende forma nel ronzare delle interferenze dice:

                                          “Io sono il Barone SAM… EDI… Rothschild…”

il nome rimbomba echeggiando a vuoto nel buio intorno al tavolino e oltre verso il pubblico sterminato poi torna indietro e nuovamente dal televisore dice, guardando verso me con le orbite vuote: “Come stai figliolo, sei contento di rivedere il tuo caro zietto?...l’appuntamento è per  domani sera alla seduta, non mancare, a presto…”

L’immagine si scompone, il palcoscenico scompare e torniamo nella sala del bar, gli avventori al bancone osservano tifando le moto che tagliano il traguardo, Lilli mi si è seduta in braccio, le gambe e le braccia arricciate dalla pelle d’oca.

“Cos’è stato?” chiede mal celando l’ansia nella voce.”

“Parole, solo parole…”

 

Parole, un universo fatto di lettere che si possono comporre a piacere, il canone sviluppa la figura dell’eco, il paese dei campanelli, un villaggio  inglese qualsiasi, le case, le strade, le macchine, le chiese col campanile, gli abitanti e tra  questi le comari pettegole che cicalecciano dalle finestre sollevando un atmosfera di frasi, periodi, discorsi che si muovono ridondando come campane seguendo la direzione dalla trasmittente alla ricevente e viceversa.

Il nome è uno, la forma universale, dalla figura si vede una trasmittente nome comunicare ad una ricevente forma suddivisa in fasce statistiche dopodiché la forma invertirsi in trasmittente e rispondere.

Nell’arena mondiale si sente una voce gridare: “Porco dio! Non parlate tutti insieme che non si capisce un cazzo!”

Di rimando la risposta: “Buuuu!...ih aahhhh…ed altri versacci innominabili.”

Il particolare non è l’universale, la forma del particolare è l’universale, si potrebbe nominare il villaggio inglese nell’empireo cielo a modello delle parti rimanenti, a questo punto l’osservatore della figura si pone la domanda: “Chi eleva l’ostia moneta nella messa?”

“Forse l’errore sta nel considerare l’oggettività un ente parlante.” Dico mentre guido la macchina fuori da Alba prendendo una strada a caso che sale tra le vigne.

Lilli allunga le gambe rilassandosi, respira dal vortice d’aria che entra dalla capotte aperta, si sbottona la camicetta scoprendo la riga dei seni e chiede: “Allora come lo spieghi?”

Il cielo è sgombro da nubi, fa caldo, i raggi del sole si riflettono sui tralci  e sulle foglie freschi di primavera che ricoprono i filari dorandoli in un’atmosfera di vapori iridati.

“Non lo spiego, nel microcosmo c’è una intenzione che dice: “Si mangia!” ad un apparato digerente che corre ad imbandire la tavola, forse l’oggettività può rispondere solo con i fatti e lo scambio   avviene sotto forma di energia in cambio di cibo come in una qualsiasi macchina.”

Lilli si solleva la gonna sulle cosce, le accarezza e dice: “Non c’ho capito un tubo.”

La guardo e ribatto: “Sei appetitosa, molto appetitosa…l’autore ti ha tratta da una fogna e mai si sarebbe immaginato che tu fossi così.”

Lei mi guarda con occhi accesi di desiderio: “Adulatore, le tue son solo parole e finora di te non ho conosciuto altro ma se sei bravo a leccarla nei fatti come a parlare…” rimane in silenzio qualche secondo, adombra lo sguardo e continua: “sono proprio stupida, adesso sono vecchia, un rottame, tutti questi anni…”

“Altre parole, noi non siamo l’autore che scrive e neppure la giornalista, perché farci vecchi? ci potremmo vedere diciottenni, belli freschi, un artista poeta e una ballerina, una poesia ed il suo movimento senza altro intorno che il proprio piacere, la natura selvaggia e la sua musica.”

“Un altro sogno.” mormora Lilli sospirando.

 “Una direzione, mentre ci andiamo continuiamo ad osservare la figura, tu parli e dialoghi con me, questo significa che l’oggettività ha una forma rappresentata che parla per tutti, l’oggettività è un fenomeno che cresce da zero a tot suddiviso in fasce statistiche anche queste fenomeni che crescono da zero a tot. La parte che rappresenti, la Shell che maschera il cancro, parla con la tua bocca, l’in sé dell’uno è l’universale, potremmo provare a cavarlo fuori e poi vediamo quel che succede.”

Lilli si sbottona un altro bottone della camicetta, adesso la sua pelle è fresca ed i suoi seni sono gonfi di latte: “Tu parli di natura selvaggia, da quando è iniziata questa storia non sento altro, dentro di me è un mare in tempesta, un fuoco, mi sento come una tigre affamata e ti mangerei, ti divorerei, ti farei…”

“Parole, altre parole, sulla tempesta posiamo una barchetta, spieghiamo la vela e poi saliamoci sopra, un volo sopra le onde impazzite senza neppure sfiorarle.”

“Amoreggiando, folleggiando, sbocconcellando…”

“Ci sei?”

“Si.”

Siamo arrivati in prossimità della cima, fermo la macchina e scendiamo. La zona è deserta, si sente cantare un gallo dall’aia di una fattoria lontana ed in risposta uno stormo di cornacchie si alza strepitando da un albero vicino, si esibisce in una performance  di acrobazie aeree e poi torna a posarsi sui rami. Ci incamminiamo lungo un sentiero che prosegue in salita tra le vigne ed arrivati sul poggio ci sediamo sull’erba vicino ad un pozzetto del verderame all’ombra di un grosso ciliegio. Tutt’intorno il panorama si estende sulle colline delle Langhe come un mare agitato di onde di terra ricoperte di viti spumeggianti.

 

 Sotto al palo tirante del primo filare, semi sommersa nella terra, c’è una conchiglia fossile pietrificata a forma di cuore. La raccolgo, la spolvero soffiandoci sopra e la mostro a Lilli: “Qui una volta c’era il mare, nelle vigne se ne trovano dappertutto, da bambino mi divertivo a raccoglierle, facevo la collezione.”

“Un cuore di pietra.” Dice Lilli, puntandolo contro il sole e poi osservandolo in controluce.

“Una figura interessante per iniziare la scena, il linguaggio assomiglia a queste vigne, tra le parole si nascondono fossili di tutti i tipi, anche di quelli ho fatto la collezione, hanno molte cose in comune.”

Lilli continua: “Una conchiglia pietrificata, una Shell fossile, chissà se anche questa dentro nasconde qualcosa, potrebbe essere un grande amore…” butta il fossile poi mi abbraccia riempendomi il viso di baci e tra i palpeggi di labbra mormora: “come il nostro che adesso è uscito fuori.”

“Aspetta a trarre conclusioni, dentro la Shell c’è il cancro.”

“Fine della poesia.” Dice Lilli, mordendomi a sangue un orecchio. “Sei tu che hai un cuore di pietra.”

“Parole, di quale amore stai parlando? Gelosia, egoismo, porcocomodo, tutto fuorchè la libertà, utopia, masturbazioni mentali, vite parallele tra il sogno e la realtà ed alla base la vergogna, veleno innestato nella Shell che lentamente ha dato forma alla perla cancerogena.”

La bacio scoprendole i seni poi mi attacco ad un capezzolo ciucciando il latte che zampilla effervescente: “Mmm…che buono.”

Lilli arrossisce diventando di fuoco: “Non lo sapevo che eri così…se devo essere sincera neanch’io sapevo di essere così…il tuo è un gioco pericoloso, dove stiamo andando?”

“Chi lo sa?  Nella Shell c’era un ermafrodito, adesso si è diviso e l’autore sta cercando di tracciare l’identikit della nuova figura che si è sdoppiata, lui è un esteta, vede l’idea, se gli piace la sviluppa altrimenti la scarta. La tua figura pubblica sembra fatta apposta per confonderlo, come in una partita a scacchi l’avversario aveva previsto la sua mossa, previsione prevista, l’apparenza l’ha scartata, tu, o meglio la giornalista, in questo è stata complice ma la sua mossa lui l’aveva prevista e forse pilotata fin dall’inizio.”

“Parli del burattino.” Commenta Lilli, con un filo d’ansia nella voce.

“Qualcosa del genere, in questo caso si tratta della tua gelosia, l’effetto è conseguenza, per difenderti dalla gelosia il tuo cuore si è pietrificato ed all’interno ti sei chiusa in un abbraccio mortale al me dei tuoi sogni diventando una cosa sola con lui. Uno schema che si ripete, come quando e dove tu ti possa essere attaccata così l’autore non lo sa ma senz’altro deve essere qualcosa di estremamente banale.”

“Ti piacerebbe saperlo?”

“Che importanza ha? la cosa era comunque prevista ed i fatti sono questi. Andiamo avanti, se continuiamo a cincischiarci non ci muoviamo più, stiamo girando intorno alla questione masticando sempre lo stesso boccone, riprendiamo la partita a scacchi.”

“Preferirei amoreggiare folleggiando e sbocconcellandoti un poco alla volta, ricordi quella canzone di Battisti: far l’amore nelle vigne?”

“Le vigne, quante volte…”

“La gelosia.”

“Uno o l’altra? C’è una poesia di Pavese, il dio caprone, un incesto tra le vigne sotto il sole infocato, il sudore della pelle, l’odore del corpo, un raptus di carne…canzoni, poesie e altre poesie e poi i falò sotto la luna che si modellano alle parole, dejà vu…adesso è tempo di tirare i remi in barca e poi lasciarci andare alla deriva verso il risultato. Gelosia, a me sembra pazzia, una malattia! Riprendiamo il filo della narrazione, il cancro è stato innestato, c’è un feto ancora in embrione, lo dobbiamo tirare fuori prima che venga partorito, bisogna fare un aborto.”

“Aiuto!” esclama Lilli fregandosi la pancia.

La bacio, ciuccio ancora qualche sorsata di latte dai suoi capezzoli turgidi d’eccitazione e dico:  “No, non sei tu, sono io che devo abortire, nella figura dell’ermafrodita il maschio e la femmina erano una cosa sola, il cancro adesso è dentro di me. È stato inserito per via orale quindi… aspetta, faccio in un attimo.”

Mi alzo, mi appoggio al pozzetto del verderame, ficco due dita in gola ed inizio a vomitare. Esce prima una colata di mestruo irrancidito sognato da Lilli e da una lunga serie di vecchie baldracche poi miliaia di libri, miliardi di miliardi di parole, lettere, ricordi, episodi indigeriti, come una diga che crepa e poi la crepa si allarga fino ad aprirsi completamente una inondazione di… nulla, per quanto vomiti tutto sparisce come viene fuori, infine esce un granchietto brutto ed insanguinato, lo raccolgo nel palmo della mano e torno a sedermi vicino a Lilli.

“Eccolo qua!”

“Non capisco…” dice Lilli arricciando il naso,  “quello che hai vomitato era il mio latte.”

“Parole, di quale latte stai parlando?” sollevo il palmo aperto verso la luce per osservare il granchietto. Si muove appena, ha allargato due minuscole chele e tiene l’addome sollevato mostrando un esile pungiglione inoffensivo  ancora in abbozzo.”

Lo annuso, odora di carne marcia, di mestruo muffito, il profumo della gelosia, della vergogna…le parole sembrano animarlo, si trascina sul palmo lasciando una flebile traccia di sangue dietro di sé poi si appallottola pulsando lentamente.

“Questa è la parola che dio trasmise ad Adamo dopo averlo plasmato dal fango.”

Lilli lo guarda, lo sfiora con la punta di un dito poi ritrae la mano scrollandola e dice: “A me sembra una schifezza!”

“Quel che sembra non ha importanza, la figura va interpretata con la filosofia, esiste solo il nome è la forma, se Adamo è nome dio è forma, in questo caso oggettività cioè l’umanità, questa parola è stata trasmessa all’uomo attraverso un transfert generazionale, una parola che si tramanda dal passato per via orale chissà da quanto tempo.”

“Un cancro.” mormora Lilli poco convinta.

“È quel che si vede, aspettiamo a trarre conclusioni, una parola è un segno la cui forma è un codice di lettere, ogni lettera nominata diventa segno la cui forma è un codice di altri segni che nominati si aprono ad altri codici e via da zero a tot, questa regola è universale, assoluta e si può confrontare con qualsiasi altro fenomeno, si vedrà sempre un embrione che cresce moltiplicandosi da segno a codice fino a dar forma ad un corpo.”

“Allora schiaccialo, è il cancro che ci stava uccidendo.”

“Perché…anche la tua figura è stata manomessa per non piacermi e farti scartare ma l’autore non l’ha fatto, anzi…non è mai stato così arrappato come da quando ti ha scoperta…questo granchiolino sembra brutto ma potrebbe diventare utile. Domani sera dobbiamo andare alla seduta, questa volta non si faranno fregare, chissà quel che devono avere escogitato, dobbiamo essere pronti a tutto.”

Lilli si abbottona la camicetta e brontola: “Mi hai fatto passare la voglia, ora che il cancro è fuori che ci andiamo a fare a quella seduta?”

“Il gusto dell’avventura, la sfida all’ignoto, potrai ricavarne uno scoop sensazionale.”

“Come vuoi, ormai siamo in ballo quindi balliamo.”

“Averlo tirato fuori a parole non significa che siamo guariti, adesso la figura si svilupperà e bisogna seguirne la crescita. L’autore ha un’idea,  dopo tutti i libri che sono stati scritti negli ultimi duemila anni la cosa più difficile è essere originali, qualsiasi cosa si inventi è già stata detta da qualcun altro, invece di andare nello spazio a cavallo di un cancro non l’ha mai scritto nessuno, almeno che sappia.” 

                       La scala muta.


 

Un picchio si posa su un ramo alto del ciliegio, martella ripetutamente il tronco col becco ridondando l’aria di tam tam e poi vola via planando verso le colline spumeggianti di viti, la terra si mette in movimento, le onde scorrono verso il tempo, una volta c’era il mare…

Il cielo è sereno, il sole brilla alto, fa caldo attenuato da un fresco venticello che gonfia la vela.

Lilli dice: “Il fuoco si è riacceso.”

“Lo sento, stiamo bruciando, m’è tornata la voglia del ciuccio, dentro la Shell, tutti questi anni, una lotta continua, la realtà, la forma del sapere è non sapere, le fantasie erotiche e gli anni passati ognuno per strade diverse, meglio così, dall’inizio, erotismo canonico, le figure del Kamasutra da interpretare.”

Il tam tam lasciato dal picchio continua a ridondare nell’aria, poso il cancro su una foglia poi abbranco Lilli e le strappo con violenza i vestiti di dosso, nuda, fresca, palpitante, il sangue che scorre, la carne che freme, il desiderio che arde, i sensi risvegliati, il falò s’alza crepitando e infiammando la pagina di parole di fuoco.

“Ehi, vacci piano, che ti prende?” mormora Lilli eccitata.

Le bocche si incollano, le lingue si intrecciano, i corpi si appiccicano scivolando sul sudore della pelle, Lilli strilla, ruggisce di furore poi a morsi mi strappa i vestiti di dosso, giravolte, la terra salata, rispondo ai morsi addentandole la carne, il gusto del sangue, tam tam tam batte incessante scandendo i secondi che scorrono all’apoteosi dei sensi, ci divoriamo l’un l’altro mentre la penetro fino in fondo, sento la punta del cazzo battere contro l’utero, sfondarlo, aprirsi alle ovaie e proseguire…”

“Calma, sono solo parole.” Le mormoro baciandole il collo.

“Una tortura!” strilla lei,  “tu non lo sai, sono pazza di te, questo muro che ci divide lo voglio sfondare!”

Ci baciamo ancora, le strappo la lingua a morsi e lei strappa la mia, ce la mastichiamo e riattacchiamo per ristaccarla e rimasticarla e riattaccarla chissà quante volte fin quando non si capisce più di chi è uno e di chi è l’altra.

“Altre parole, adesso apri bene le gambe, apriti tutta, te la voglio leccare.”

“Con quale lingua?”

“Che importanza ha?”

La giro, mentre lei mi divora il cazzo attorcigliandogli la lingua intorno e spingendoselo in gola con fame arretrata di secoli le ficco la lingua nella vagina allargandola allo spazio, ora aperto all’universo…

Le stringo la testa con le mani, la stacco dalla presa e dico: “Ora basta, torniamo in noi, la porta è aperta.”

Lei mugola dispiaciuta, sbatte la lingua all’aria e strilla: “Una tortura.”

“Avremo tutta l’eternità per farlo con i fatti, adesso pensiamo al dovere, la figura l’abbiamo  sviluppata, la porta è aperta, ora torniamo alla filosofia.”

“Di quale porta stai parlando? Quella è la mia figa!”

“Una parola, è una figa ideale, un concetto, tu ti sei trovata il destino di portarla, non ha niente a vedere con la tua figa nei fatti. Tu sei una donna, l’in sé dell’uno è universale, il mondo a cui la tua popolarità dà forma e giustificazione, andiamo a visitarlo.”

Lilli sospira, si china per succhiarmelo ancora un po’ poi si stacca e dice: “Tu mi stai distruggendo, quello che ero non sono più, adesso è nulla, una leggerezza così non l’avevo mai provata, siamo parole, è vero, come potrebbe essere altrimenti?...andiamo, sono pronta a tutto.”

Davanti a noi seduta su di una grossa pietra sospesa per aria  appare l’abito di una suora del cottolengo, solo l’abito, dentro non c’è nulla, solleva la testa e dal foro della faccia inizia a solfeggiare una scala musicale da zero al do successivo che si alza estendendosi nel vuoto. La suora è muta, all’interno dell’abito non c’è lingua e non ci sono corde vocali, le note non suonano, non si sentono, si possono solo guardare. 

  

“L’impotenza dell’autore.”

Siamo tutti e due nudi che più nudi non si può, si potrebbe vedere quel che c’è sotto la pelle fino alle ossa e poi continuare al nulla. Lilli è seduta di fronte sopra il cazzo duro, la schiena appoggiata alle ginocchia che tengo sollevate, dalle  labbra aperte della  figa esce un rivolo tiepido di liquido vaginale pulsante come una sorgente d’acqua viva.

“Cosa centra?” chiede muovendo lentamente il ventre al cullare delle onde.

“È lui che scrive, fin’ora abbiamo parlato di me e di te, lui sul foglio può scrivere quello che gli pare, la sua impotenza potremmo essere noi, la sua psicologia è un non essere che guarda e dall’osservazione trae l’essere che lo riguarda.”

“In ogni caso quello che scrive è interessante, attraente, la senti?”

“Intendi la giornalista? forse anche lei è impotente, un’impotenza mascherata, l’autore non sa e nel non sapere sta il suo essere, sgorga spontaneo come la tua acqua. Hai conosciuto delle suore nella tua vita?”

“Può essere, al catechismo, a scuola, per lavoro, è importante?”

“Ci deve essere una suora che si identifica in te, una suora impotente, comunque una pazza, una malata mentale, forse è lei che ci trasmette il cancro del falso dottore così come nei fatti l’autore sta scrivendo di noi e tu sei andata a cambiarti le mutande.”

“Intendi sempre la giornalista?”

“La suora che sta cantando sulla pietra…la figura appare strumentalizzata, uno strumento muto, l’orchestrazione che segue si può vedere solo con la filosofia, l’autore vuole fare un esperimento, il canone ha buttato il seme,  essendo pazzia per osservare la sua crescita bisogna negare la logica, come ha fatto Kant nella critica alla ragion pura ed usare il sillogismo nominalista.”

“Tu lo sai, il mio personaggio è manipolato, c’è bisogno che ti spieghi? Sono un’oca ma non sono scema, parla chiaro.”

“Il canone non si capisce, si guarda. L’assoluto dialettico si basa sul principio di contraddizione,  domanda e risposta, la risposta in sé è domanda e la domanda risposta, la figura di un pendolo, il moto perpetuo, come il bilanciere di un orologio, tic tac tic tac, lo vedi?”

“Come il sesso, su e giù, su e giù fino a…”

“Qualcosa del genere, da zero alla realizzazione dell’idea, poi c’è un cambio di stato, si può crescere oppure tornare a zero, comunque non è più come prima, è un dopo, un divenire, Eraclito, la tesi di Hegel.”

“Vuoi dire aspettare che si ricarichi e poi farne un’altra ancora più focosa oppure una sveltina senza sugo?”

“Lo potremmo fare nei fatti oppure farlo sulla pagina dell’immaginazione che è un’altra cosa, sulla pagina non è nei fatti ma funziona nello stesso modo, in dialettica il non è inverte e io potrei essere te, quello che immagini di me e tu essere me e fare la filosofa sulle mie parole.”

“Vuoi dire il tuo piacere mentre tu cerchi il mio mentre scopiamo come pazzi?”

“Esatto, dai fatti alla pagina l’inversione è relativa, uno specchio, lo specchio dell’impotenza,  funziona con la stessa logica della realtà ma i personaggi sono invertiti assumendo delle maschere che all’apparenza li fan sembrare diversi da quelli che sono e che solo con la logica si possono scoprire. Il sillogismo naturale dice il nome non è forma, tu non è me, la forma del tu è me. Uno è nome e l’altro forma, allo specchio immagine col nome invertito. Questo significa che nei fatti ci stiamo negando invertendoci allo specchio.”

“Allora? qui sono bella, ho diciotto anni e neppure una smagliatura e neppure…” 

“Fuori dal bene e dal male, la causa non è effetto, la causa si può impostare in tal caso appare l’in sé della causa, la sua forma, l’effetto e l’effetto non è la causa impostante. Causa e effetto sono nomi che vengono attribuiti dalla ragione nominante che sta all’esterno della causa e dell’effetto, una ragione che non è uno e neppure l’altra, sei uscita?”

“Il burattino.”

“È proprio dal burattino che devi uscire, da te stessa, cioè quello che credi di non essere che potrei essere io, non l’autore che scrive nei fatti ma un altro, una cosa puramente immaginaria, un fantasma.”

“Anch’io non sono la giornalista nei fatti, vuoi dire che siamo due fantasmi?...a me sembra che i fantasmi siano invece proprio l’autore e la giornalista, due carogne uno peggio dell’altra mentre noi…”

“Il feeling, una ragnatela informatica, il web psicologico, la nominazione della forma, il linguaggio suddiviso in fasce statistiche delle lingue parlate da ogni popolo, l’universale e le sue parti. Lo schema è assoluto, una matrice da cui si possono trarre copie sia nei fatti sia allo specchio, i fatti sono negati e lo specchio sta riflettendo la suora muta ed il suo canto. Il canto non si sente, le note non hanno forma, solo il nome, è la logica del nominalismo.”

“A letto come si traduce?”

“Facendosi seghe e ditalini.”

“Allora ho capito, quel che immagina, l’intenzione, non è uno e non è l’altra.”

“L’intenzione potrebbe essere addormentata e sognare oppure un’abitudine. Il sillogismo è un enunciato, una frase composta da un soggetto un predicato verbale che trasferisce l’azione ed un oggetto che stanno alla base del discorso dialettico. Matematica pura in questo caso musica perchè la suora canta. Il sillogismo, cioè lo strumento di logica del nominalismo dice che il nome è forma a cui segue se la forma è nome non è forma e quindi se non è forma è nome. L’enunciato base è falso, i due che seguono automatici sono veri e invertono la forma in nome.”

“Aspetta, fammi tradurre…vuol dire che quella che si fa i ditalini è falsa mentre i due che si immagina allo specchio sono veri?”

“Proprio così ma la nominazione di falsa è relativa al vero, per il nominalismo il falso è vero e se è vero non è falso, è la ragione nominante, l’intenzione, che nomina falso il vero perché nei fatti ad essere vera è quella che si fa i ditalini mentre i due sono puramente immaginati, non hanno forma e se non sono forma sono nomi. Un’inversione dialettica, quel che segue, il nominalismo si basa sull’inversione di un falso enunciato che viene negato a priori, quindi se non è forma è nome, quella suora ha negato il proprio corpo, il suo canto è puramente nominale, non si sente ma si può immaginare, le note non sono note perché sono note ma perché non sono il nome di una nota precedente e così non è do, se non è do è re. Il re è solo nominale, una conseguenza dialettica a cui segue non è re, se non è re è mi e così fino all’ultima nota della scala sociale, cioè non è zingaro, allora è un proletario, non è proletario, allora è borghese, non è borghese, allora è nobile, ecc, fino a dio. Nessuno è quel che è ma quel che non è, un mondo di nomi senza forma, di fantasmi. La logica del nominalismo è accomodante, si basa sulla nominazione di una forma negata che si può chiamare come si vuole,  ad esempio il nome è uno, il nome è forma, la forma è uno, se la forma è uno non è universale, se non è universale è uno, la forma diventa uno e l’uno universale cioè una stessa cosa viene chiamata con  nomi diversi. Esiste solo la prima nota, il do, quella degli zingari, le rimanenti re mi fa ecc. sono sempre do, cioè zingari chiamati con nomi diversi, proletari, borghesi nobili, dottori, preti,  giornalisti ecc.”

L’immagine si evolve, le note, cioè le no note della scala cantate dalla suora bucano l’aria come sassi che cadono nell’acqua formando dei cerchi concentrici che si allargano a macchia d’olio fino a completare l’ottava, quindi il cerchio centrale spinto dalla non voce inizia a ruotare trasmettendo la rotazione agli altri cerchi formando un vortice nell’aria che inizia a gonfiare, a farsi sempre più grande, i cerchi si sollevano a strati circolari uno sopra l’altro disegnando una figura come un’immensa cupola rotante che si modella nell’inconfondibile forma di una torta nuziale la cui cima è salita talmente che non si riesce a vedere.

La figura ribolle di vapori morganici e sulla sua superficie stanno iniziando a delinearsi delle immagini.

“Il regno dei morti.”

“Una torta nuziale, in cima ci devono essere gli sposi.” Dice Lilli.

“Oppure una croce, aspettiamo che finisca di formarsi e poi l’andiamo a visitare. Non è una figura facile da leggere, bisogna ragionarla al contrario, sembra lo schema del purgatorio di Dante, prima i cerchi erano in piano quindi era il paradiso, il nominalismo dice il nome è forma, se il nome è forma il sopra è sotto, quindi inferno, lo vediamo salire verso il cielo ma quanti morti sepolti sotto terra sono finiti in cielo, sottoterra è il cielo e se sottoterra è il cielo non è sottoterra,  in questa scala quello che più sembra alto più profondo è interrato e quello che più sembra interrato più alto sta nel cielo, l’inferno è paradiso e se è paradiso non è inferno,  l’immagine cresce ogni volta negando se stessa dall’idea del suo contrario.”


“Nome forma, sembra opinione.”

Il nominalismo è solo opinione e sono gli scrittori, gli uomini di penna a trasmetterla alle fasce statistiche, le parti dell’universale. 

 

La montagna di nomi è ancora allo stato informe, sulla sua superfice regna il caos primordiale,  turbini, cicloni, tempeste, terremoti, esplosioni, solo apparenze di sogno.

“Mi piacerebbe sapere chi sono gli sposi in cima alla torta.” Dice Lilli ondulando la figa sul cazzo sempre più duro inondandolo con la sua rugiada luccicante.

“Ti importa tanto?”

“Tu fino all’altro giorno non sapevi neanche che esistessi, non mi hai mai amata.”

“Tu sei una parola, l’autore è un professionista serio, non mescola il lavoro con i sentimenti.”

“E il burattino?”

“Intendi la giornalista? Forse, da giovani, se ci fosse stata l’occasione, a modo suo…nel nominalismo l’amore è odio, se l’odio è amore non è odio, se non è odio è amore, se ti accontenti di sicuro non ti ha mai odiata, lui non ha nessuna pietà di se stesso, il resto è conseguenza.”

“Non mi odi, non mi ami…insomma, immagina la sfuriata, lui…com’è l’amore senza gelosia? Non riesco a concepirlo.”

“Senza odio vuoi dire, non è quell’amore che intendi, è un'altra mentalità, bisogna iniziare da bambini altrimenti si innesta il meccanismo ed il comportamento diventa così perché così fanno tutti. Comunque son sempre parole, lui non si è mai potuto concedere il lusso di fare quello che gli pare e non ha potuto scegliere.”

“Chi c’è in cima alla torta, scommetto che lo sai già.”

“In cima a quella torta?...la probabilità è un modello esemplare del sistema nominalista, in ogni caso una coppia di zingari. Nella divina commedia ci sono Dante e Beatrice, un poeta ed una morta sepolta sottoterra e poi elevata al cielo, un amore platonico puramente immaginario dove prima c’erano Adamo ed Eva, la figura l’abbiamo studiata ed assimilata a scuola e poi modellata alla realtà, ci sono collegamenti col mito, Persefone ed i misteri eleusini, Orfeo ed Euridice ma il più importante è quello di Rea Silvia, la vestale madre di Romolo.  Ci sono altre versioni, ad esempio Bulgacov ci mette il maestro e Margherita e questo crea il collegamento con il dottor Faust e l’ermafrodito. La figura femminile potresti essere tu, quella maschile non la vedo, probabilmente è qualcosa che ti immagini ma bisogna calcolare anche il transfert con la suora.”

“Io?...l’ermafrodita ho capito, ti sembra? Non mi sono mai sentita così femmina come con te.”

“Nei fatti sarebbe ancora meglio, andiamo con logica. L’autore è un mago della pubblicità, conosce tutti i trucchi e ne inventa continuamente di nuovi, un dono naturale tra tanti altri, la tua figura è stata manipolata per non piacergli ed è proprio questa la causa che lo ha attirato a te. In questo momento si sta chiedendo se una donna sarebbe capace di odiare così tanto un uomo da uccidersi per rovinarlo.”

Lilli smette di dondolarsi, si irrigidisce e chiede: “È un’allusione?”

“Potrebbe essere un fantasma, gli ebrei li chiamano dibbuk, che si è impadronito del burattino trasmesso dalla suora e dalla lingua tedesca, perfezione assoluta.”

“Voglio guarire.”

“Tu sei già guarita, la cosa è solo nel linguaggio.”

Lilli riprende a dondolare avanti e indietro sbrodolando sopra il cazzo duro e dice: “Fammi capire.”

“Iniziamo dalla lingua tedesca. Nell’ultimo libro che l’autore ha scritto il canone ha sviluppato l’identità tra il dottor Faust e Cristo, un attore e una falsa crocifissione causa poi della guerra civile che spianò la strada ad Attila ed alla istituzione della scala sociale basata sugli zingari. Il canone quindi ha sviluppato la figura di un crocifisso castrato, ermafrodito e non a caso. I tedeschi sono geniali ad elaborare le idee ma incapaci di produrle. Le idee sono state innestate in Germania dall’esterno e poi elaborate, Il dottor Faust era figlio di Arminio, la strage di Teutoburgo, ne avrai sentito parlare.”

“In Germania è l’eroe nazionale.”

“Questo è il punto, Arminio era cittadino e ufficiale romano, un traditore, il traditore è eroe e se è eroe non è traditore. I popoli germani di allora dopo Teutoburgo per i romani erano come i pellerossa dopo Little Big Horn per l’esercito americano, la storia si ripete, la probabilità è che furono sterminati tutti e ricomposti sul modello del castrum, castrum castrato…I romani non vanno identificati con la città di Roma, erano un sistema sociale in espansione, gli eserciti provenivano da ogni parte dell’impero, la versione più autorevole di quel tradimento e della esistenza di Cristo è data da Tacito, non si può stabilire con certezza la versione di Tacito perché la cosa si è ripetuta più volte in Germania e fatti e personaggi si accavallano. Le figure del canone hanno espresso l’identità  tra Ermes ed Erminio, uno sviluppo del mito greco romano sviluppatosi in Germania,  Ermes aveva due figli, uno era Pan, il dio caprone psicopompo e l’altro era Ermafrodito. Il dottor Faust era figlio di Arminio, quindi di Ermes, quindi Ermafrodito. Doveva essere successo qualcosa che lo aveva castrato e la cosa era stata tenuta segreta e in questo qualcosa deve centrare la Cristina, il collegamento con la suora del cottolengo che sta cantando su quella pietra.”

“E tutto questo cosa centra con me…volevo dire con il burattino?”

Le stringo i fianchi con le mani assecondando i suoi dondolii, rimango qualche secondo a ciucciare le sue tette e rispondo: “Cioè con il cazzo dell’autore…che fretta hai e che ti importa di lei? Sei così piacevole…”

“Nei fatti sarei ancora meglio.”

“Non lo metto in dubbio, la tua figura è complessa, va liberata un pezzetto alla volta con molta pazienza, intanto  continuiamo a dondolare.”   

 

La figura è ancora informe, come potrebbe essere diversamente? Nel magma nominale non esistono forme, probabilità come invenzioni letterarie, il mondo che ci sta intorno, la mentalità che lo anima e lo specchio dove il rovescio è dritto e se è dritto non è rovescio. Parole che si muovono sulla pagina, la poesia verso l’idea da realizzare.

“Mi piacerebbe stare in braccio al poeta.” Dice Lilli sospirando.

“Ci sei già.”

Preme la figa contro il cazzo duro sgorgando uno spruzzo di liquido vaginale che si dora ad un raggio di sole penetrato furtivamente dalle foglie del ciliegio ancora risonante del tam tam. 

“Non così a parole, vorrei dire…”

“Come una morta sepolta e poi salita in cielo?”

“Assolutamente no, da viva, nei fatti!”

“Allora bisogna uscire dalla tomba dove ci siamo sepolti.”

Raccolgo una ditata d’acqua dalla sorgente che le sgorga dalla figa con sopra un ricciolo di schiuma effervescente dove al microscopio si vede un’intera popolazione batterica indaffarata alle occupazioni più disparate poi mi ficco il dito in bocca ciucciandolo.

Lilli guarda a bocca aperta, aumenta la pressione e lo sbrodolamento e chiede: “Insomma, mi gusti, mi mordi, mi mangi…che cos’è?”

“Sono figure da interpretare, l’uccello di fuoco, il cannibalismo preumano, allora il sesso si faceva così, mangiandosi, una chiave di lettura, dentro i nostri corpi quel mondo esiste ancora, gli enzimi della digestione, gli anticorpi del sistema immunitario, i globuli del sangue, tutti presenti e capiscono una cosa sola: mangiare.”

“Ho capito, sarebbe un suicidio e poi, comunque non sarebbe così, è vero, pazienza…un oggetto usa e getta, un personaggio come tanti, per l’autore sono solo questo.”

“Che ne sai di come ti vede l’autore? Lui non è nessuno dei pensieri che ha, è impenetrabile, una macchina logica perfetta. Quella torta informe è nulla, non è lassù che ci dobbiamo vedere.”

“Allora sentiamo signor mago, tu come li vedi?”

“Gli sposi in cima alla torta? Prima organizzerei una squadra affiatata di super puttane poi farei un grande bordello dove tutti scopano come pazzi e sopra ci metterei il nome e la forma cioè la legge universale del bordello personificata in un abile pubblicitario ed a fianco una super puttana da pubblicizzare quando ne vedo una che rende poco. Il nome non è forma, adesso ci sei tu e non sei l’autore. Nessuna gelosia, solo il proprio piacere. È un'altra mentalità, un altro mondo, la direzione e la strada per arrivarci è ancora lunga. Adesso siamo in quella montagna informe e la stiamo vedendo dall’esterno, il regno dei morti, sono parole quindi le forme non esistono, deve essere un grande cimitero.”

La suora sulla pietra continua a cantare senza voce ed il magma informe a girare, su ogni strato della torta è apparso un mulino con le pali rotanti collegati da tubi che salgono verso la cima invisibile per la distanza. A fianco di ogni mulino, su una grossa pietra, c’è l’abito di una suora che canta senza voce collegata alla voce muta della prima, non si sentono suoni, nessun rumore, ogni cosa evanescente come un sogno. Il cancro è sempre appallottolato sulla foglia, pulsa flebile emettendo pallide fosforescenze bianche.

Lilli guarda e dice: “Quello che hai detto mi piace e non mi piace, non lo so, sono confusa, anzi lo so, così dovrebbe essere ma… stare in braccio a te…guarda come sbrodolo, ho fatto un lago, m’è venuta una voglia, anzi, una fame… parole… è vero, un sogno, abbracciami, stringimi, prendimi!”

“Aspetta, l’autore ha un’idea, prima ci dobbiamo caricare bene, da fare un botto che non finisce più.”

“Sempre parole, una tortura.”

“Allora non sprechiamole, sono apparse altre suore ed i mulini, tempo e denaro, la figura va ragionata col nominalismo, ogni strato è lo strato successivo e tutti gli altri, sono le generazioni che si sono succedute nel tempo, ognuna ha lasciato un sedimento fossile di parole che si ammucchiano una sopra l’altra ancora tutte presenti nel linguaggio, in basso c’è l’inizio ma il basso è alto, la suora sotto si sta trasmettendo attraverso le altre alla morta che sta sulla cima che potresti essere tu.”

“Non mi piace, scartiamolo.”

“Sono d’accordo, continuiamo l’analisi, la psicologia delle donne è uno standard, da bambina nei tuoi sogni dovevi immaginarti una suora ed una ballerina, la ballerina è stata uccisa dal ménage di tutti i giorni e la suora si è modellata sulla tua impotenza alle storie che ascoltavi in lingua tedesca in un essere morale in contrasto di bene e di male con la tua natura di donna, un alter ego, Eva e Lilith, un senso di colpa ed un super io in continuo battibecco. Questo è il messaggio trasmesso dalla suora, la sua voce non si sente ma le parole sono nascoste negli strati del linguaggio e vengono recepite dall’intenzione che si sdoppia nel pensiero in modo automatico. L’intenzione, il tuo essere vero, è adesso, quello che sei mentre le due stanno una al passato e l’altra in un futuro ipotetico in cima alla torta dove il tuo super io, cioè la boria trasmessa dalla lingua tedesca, il popolo eletto degli ebrei, si crede di essere. La morta sepolta elevata al cielo.”

Lilli arriccia il naso, si piega per leccarmi il cazzo, lo succhia un po’ poi si rialza e sbrodolando dice: “Specchio specchio delle mie brame, chi è la più bella del reame?”

“Il cielo è sottoterra, dove ti credi di essere mentre dove sei adesso dorme.”

“Ti sembro addormentata? Non sono scema, il mio vero essere è adesso, questo momento ma in questo momento sono qui con te a sbrodolare, come lo spieghi?”

“Sei stata manipolata per ricevere il messaggio, il tuo corpo reale, la tua intenzione, potremmo essere uno di fronte all’altra, invisibili, sul tavolo dove l’autore scrive e poi ognuno nel suo corpo a farsi gli affari suoi mentre la storia continua senza identità, nulla.”

“E noi a scopare come pazzi, il poeta e la ballerina, l’idea da realizzare. Sembra facile a parole, dentro ho i serpi che rodono, la gelosia, la vergogna.”

“E i soldi da ammucchiare, la carota e l’asino, l’ansia di apparire in mezzo a tutti quei signoroni ben vestiti, di non sfigurare, la tua semplicità di montanara e la prima donna, un sistema che piano piano ti ha inghiottita modellandoti a sua immagine, i serpi stanno al passato, le suore sono tutte collegate, sei in ognuna di loro.”

“Adesso sono qui. L’autore scrive cose che…accarezza, lecca e poi accoltella, sembra che abbia già capito tutto, che cosa aspetta a concludere?”

“Che fretta hai?”

L’avvicino e succhio una tetta, dal capezzolo turgido esce una squisita crema dal gusto di panna con zabaione poi succhio l’altra, latte col cacao dolce amaro.”

Lilli ruggisce: “ Se ti piaccio così tanto…mangiami tutta!”

 

L’arte, il piacere di scrivere, l’idea, il punto zero del fenomeno che cresce alla realizzazione, adesso mentre le parole scorrono, pattinano, volano sulla pagina. Informe, un blocco di marmo da scolpire, lo scalpello e le dita che martellano i tasti con le lettere, li sfiorano, li accarezzano.

Lilli provocante, corpo immaginario, desiderio, l’anima della giovinezza immune dal tempo, statua di carne al ghiribizzo dell’estro, lettere spedite al destinatario che guarda titillandosi il grilletto senza pensare ad altro.

Allarga le gambe e con le mani mi solleva il cazzo duro gonfio come l’idrante di un pompiere che sta spegnendo un incendio, lo masturba un po’, se lo schiaccia sul ventre poi riprende a cavalcarci sopra sbrodolando a rottura di argine. Il suo succo effervescente cola giù dai miei fianchi allargandosi sul prato, dalla massa informe della torta inizia a scendere una fontana di rigoli di liquido vaginale che precipitano strato dopo strato gorgogliando di vapori senza suoni…

Lilli guarda e dice: “Fare il personaggio in questa storia sta cominciando a piacermi, è vero, pensare a nulla e guardare il fiume scorrere dalla riva.”

“Un’alternativa, un cazzo di parole che stantuffa nella figa dell’intenzione, son tutti buoni a scopare come fanno i cani, l’originalità ha le sue regole e l’autore non lo batte nessuno quando si tratta di infinocchiare vecchie tardone in disarmo.”

“Parole…” sussurra lei soffiandomi un bacio con le labbra a cuore,  “Adesso sono la tua idea di bellezza e non ho età, non sono neppure nata, come ti piace anzi, di più, voglio crescere sempre di più.”

“Sembra che di me non ti importi nulla, pensi solo all’autore, come il principe della sirenetta di Andersen, lui è dall’altra parte della pagina, inaccessibile.”

“Allora rompiamo lo specchio!”

“Così la storia finirebbe e l’autore non saprebbe più come passare il tempo. Noi siamo la sua noia, bellezza o no non ti montare la testa che sei già abbastanza montata, il principe non vuole scrofe intorno a sé.”

“Questo lo dici tu, saprei essere più maiala che più maiala non si può e ne inventerei sempre di nuove, anche nella sua poesia e sono certa che  non gli dispiacerebbe.”

Sulla torta informe la fontana continua a colare,  anche tutti gli abiti delle suore stanno sbrodolando  aggiungendo acqua all’acqua che scoscia giù, sostanza evanescente del sogno, intorno alla muta che canta alla base dove si sta formando un lago.

Mi chino per leccarle la figa, ciuccio un po’ il clitoride, le do qualche palata di lingua arricciandole le labbra, le mordicchio succhiandole poi mi alzo e mentre Lilli ha un sussulto d’orgasmo ed uno svuotamento idrico inondante dico:

“Torniamo alla filosofia, anzi, facciamo un salto qualitativo, alla pubblicità. Le pietre sotto alle suore e la tua immagine pubblica. Un esperto pubblicitario sa leggere tra le righe dei segnali trasmessi dai media, sia quelli diretti sia quelli subliminali. Le immagini hanno un significato che parla senza parole come quelle suore, la tua figura è stata impostata per elevare una particolare tipologia maschile, quella del piccolo borghese idiota alla Padre Pio, banale, calvo e privo di talento, un falso scrittore, una grande montatura che agisce sull’opinione pubblica  condizionandone il comportamento.”

“Lilli ribatte: “Parli del burattino…io passerei le giornate a succhiarti il cazzo…”

“Burattino o no poco importa, l’effetto non è causa e l’azione si svolge in modo automatico, intorno al burattino ha agito un potere occulto che sa come si fa e come l’autore non ha avuto possibilità di scelta così non l’hanno avuta loro. Una pedina importante, da trattare coi guanti, una preda ghiotta per la tigre…quelle pietre, il canone ha sviluppato la figura dei pasquini, i passa parola, i suonatori di tam tam della giungla preumana, i giornalisti che un tempo recavano le notizie alle piazze raccontandole dal di sopra di una pietra. La figura si è evoluta, la pietra è diventata televisione ma la sostanza è rimasta la stessa. Sulla torta sopra le pietre c’è l’abito di una suora muta, un’immagine che parla senza parole, il concetto, il messaggio subliminale trasmesso dai pasquini…la probabilità è che sei stata clonata insieme al me.”

“Il burattino…” sussurra Lilli sbrodolando sul cazzo.

“In ogni stato, per ogni lingua parlata ci sono delle giornaliste identiche a te che con la loro popolarità adescano i bischeri fornendo la Shell al sistema di potere. Sembra una ragnatela informatica, un web, siete tutte collegate, psicologicamente lo stesso comportamento, la stessa mentalità e le stesse scelte affettive rivolte a pubblicizzare tutte lo stesso tipo di imbroglione. Quella suora che sta  sepolta sotto la montagna, è lei che dà inizio al concerto e non è una giornalista, non ha corpo, è solo abito, un’idea, la torta si può vedere come una pianta, la suora invasata il seme, la sua voce muta il peduncolo sopra il quale si sviluppa l’albero, ogni fiore canta con la sua voce per attirare le api ed in cima ci sei tu, idealmente…qua qua qua, come un’oca in uno stagno starnazzante di oche e brutti anatroccoli.”

“Politica, nulla di nuovo.” commenta Lilli.

“È vero, se i bischeri hanno capito il problema è risolto. Un grande baraccone di attori, nulla di male nulla di bene, ognuno fa il suo mestiere. Per loro vale lo stesso schema degli intellettuali maggiori, i partecipanti al torneo di bridge.  L’autore ha visto la probabilità di un nero americano, di una storia all’Otello che sta per ripetersi proprio in cima alla torta ma non è certo che stia per capitare a te, potrebbe essere un collegamento con un tuo clone, una giornalista che lavora nella capitale del mondo, New York, il punto più alto è il più basso. Qualche anno fa in America un nero famoso venne assolto per aver ucciso la moglie per gelosia, le cause erano puramente inventate dai media ma intanto si creò un precedente giudiziario.”

“Ricordo, una bestialità ma l’America è così.”

“È vero, le parole dei benpensanti alla televisione e poi le immagini trasmesse che dicono tutt’altra cosa…”

“Da giovane ti sarebbe piaciuto fare il giornalista.”

“Un bravo scrittore…per fortuna ho mancato l’occasione…nulla di male, nella giungla i suonatori di tam tam erano una tipologia importante, il mestiere dev’essere naturale, una macchina pubblicitaria che come tutte le macchine ubbidisce a chi muove lo sterzo e mette la benzina. Andiamo avanti, il canone ha sviluppato la figura, il novello Otello geloso che sta per uccidere la giornalista a New York deve essere stato scelto e preparato con cura, deve essere collegato con Obama e con l’idea del Baron Samedi, lo spauracchio vudu. Il nero è bianco, l’immagine potrebbe invertirsi e la trappola è invitante. Il canone ha sviluppato l’identità tra il baron samedi, lo zio Sam e il capostipide dei Rothschild, il barone Mayer Amschel. Le lettere di Sam e Samedi sono nascoste nel suo nome e non solo quelle, c’è anche il nome dei Medici, i signori di Firenze che al tempo gestivano la banca più importante d’Europa con la sede principale a Londra. Un lavoro da enigmisti, medici,  medi, magi…l’origine. Bianco è nero, l’immagine è stata trasmessa ai neri dai bianchi durante la schiavitù e l’hanno elaborata a loro modo. È venuto fuori un nuovo personaggio, un mago.

Sul primo piano della torta si scoperchia una tomba e salta fuori un’ombra intonacata con un lungo cappello appuntito e poi rimane sospesa per aria volteggiando come un oscuro fuoco fatuo.

“La storia si fa interessante…morderà mica?” mormora Lilli pigiando e sbrodolando sul cazzo.

“È solo una parola, non ha denti per mordere, può solo spaventare i passeri. Il collegamento con lo zio Sam, il cappello a stelle e strisce dei maghi, l’aspirante stregone di Disney, l’uomo più ricco del mondo, la tuba di Paperon de Paperoni…L’immagine è trasmessa dalla suora invasata alla base, la sepolta viva, la figura si può trasferire in un monastero dove da secoli una suora è prescelta e sotterrata per trasmettere e rinnovare il messaggio. La probabilità, quell’ombra, è il mago Merlino e deve essere collegato al dottor Faust.”

“La storia di Merdino.”

“Si, la stiamo continuando. Merdino, dopo aver rotto la sfera dell’immaginario fa un salto a New York tra i peli della mona di una gatta e poi si trasferisce in un'altra dimensione, ma quel mago lì non è Merdino, dev’essere uno che si è appropriato del nome, probabilmente il nuovo aiutante del boia che raccolse la pietra caduta dal carro che portava il dottor Faust alla crocifissione. Qualcuno collegato alla Cristina che era stata sepolta viva nel manicomio, che poi liberò innalzandola al cielo con il suo segreto e divenne famoso e immensamente ricco sterminando e terrorizzando le popolazioni dell’intera Europa trasmettendo così in modo indelebile la sua immagine ai posteri. La storia si è ripetuta e  fatti e personaggi si accavallano ma la probabilità è che prima di diventare Attila sia stato in Umbria e abbia interpretato San Francesco iniziando a raccogliere le bande di catari disperse nella zona, in quel periodo vennero affrescate le chiese con la crocifissione del dottor Faust, lui aveva raccolta la pietra del Tempo che metteva in contatto con gli dei, l’idea della televisione, la pubblicità aveva fatto bum!  E poi le popolazioni vennero massacrate e ripopolate identificando il dottor Faust, il falso dottore con il Cristo di Israele sulle parole della divina commedia di Dante.”

“Una storia incredibile” dice Lilli assorta.

La afferro dondolandola sul cazzo fin quando riprende a buttare a fontana e continuo:

“Sì, tanto più che si tratta di storie create a tavolino ed interpretate da attori per dare vita a personaggi probabilmente vissuti in una altra esistenza di cui l’intenzione ha sepolto la memoria e che rivivono come alter ego negativo ricalcando al contrario la storia delle vite precedenti. Nella scala cromatica il diesis non è bemolle, sono solo nomi, parole. Papa Francesco sta raccogliendo molto credito in Brasile nelle favelas?”

“Dici a me o alla giornalista? Sì, in televisione se ne parla spesso, fa molte opere di carità, perché me lo chiedi?”

“Così…gestire un’esplosione demografica è affar serio, i collegamenti di Attila si dirigono alla tomba di Hitler nascosta a New York dove lo zombi del nome è continuamente mantenuto in vita dalla tua collega che sta per venire ammazzata da Otello e dal sistema a cui fornisce la Shell. Il bianco è nero, il collegamento è con Obama,  il baron Samedi nero, potrebbe diventarlo ma non lo è ancora. Inoltre Zio Sam anagramma con Zosima, il monaco dei fratelli Karamazov di Dostoevskij la cui vicenda è analoga a quella di San Francesco. Ce ne deve essere uno anche in Russia,  probabilmente Putin il cui nome suona con Puskin quindi il negro dello zar quindi di nuovo a Obama, lo zar nero, il probabile futuro Attila. Il  nome è collegato ai monumentali campi profughi gestiti dall’ONU che si sono creati in Afghanistan e nei paesi intorno, Samarcanda, che bel posto deve essere, potremmo andare a visitarlo insieme.”

“Perché no? Mi vestirò da odalisca e ti farò la danza del ventre direttamente sul posto.”

“Buona idea…ti regalerò un esercito di scopatori focosi mentre me lo farò succhiare da tutte le Afgane, anche quelle brutte.”

“Spiritoso, prima ci diamo fino a stufarci e poi, forse…”

Parole, Onu, uno, unno…intanto gli Unni venivano da lì, il nomadismo dei Tatari, la mentalità degli zingari che vinsero i romani cioè eserciti distrutti dalla guerra civile e popolazioni moribonde per la mancanza dell’oppio e delle medicine, un piano spettacolare, quello che avverrebbe in Russia se scoppiasse la guerra civile, l’autore vede le probabilità, sono grandiose e comprendono l’intero pianeta, gli sviluppi, il risultato…”

Sulla torta, su tutti i piani si stanno scoperchiando tombe da cui escono ombre avvampando come fuoco buio senza consistenza, intanto la fontana continua a colare…”

“Ed anche oggi siamo andati in bianco…” conclude Lilli dondolando sulle parole.

 

Il picchio è tornato a battere sul ciliegio rinnovando il tam tam, la trasmittente si irradia mentre Lilli dice: “Parole, parole, ci stiamo mosciando.”

Le afferro i fianchi spostandola in modo che la punta del cazzo le penetri la figa poi la muovo su e giù facendo gonfiare la cappella che ci stantuffa dentro, lei sta al gioco cercando di inghiottirlo tutto, la trattengo, aspetto che mi diventi più duro della clava di Ercole e lo sfilo rimettendola a cavalcarci sopra con le labbra aperte e gonfie, il clitoride strisciante ed una nuova inondazione che si vede scendere dalla torta gonfiata dai getti di tutte le suore mute. Le ombre apparse sulle tombe scoperchiate stanno lentamente svanendo, i mulini ruotano le pale e nell’aria si comincia a sentire l’impalpabile odore dei soldi, il valore nominale non canta come l’oro…

Lilli dice: “Tu…mi stai facendo impazzire, queste metafore sembrano magia, siamo parole ma cerca di capire anche chi sta nei fatti, io non so più chi sono, non so più che fare…”

“Quando non c’è più niente da fare la cosa migliore è fare nulla, anche l’autore non sa che fare, improvvisa ogni giorno, davanti i mulini da caricare come don Chisciotte cercando di farsi meno male che si può. Sulla torta tutte le clonate si son messe a sbrodolare, il collegamento è in atto, lui scrive osservando le figure e dalla causa trae l’effetto, non riesce a capacitarsi della realtà, la tua immagine rivela una stupidità disarmante e da questa si vedono le altre e tutte sono elevate a condizionare l’opinione pubblica.”

Lilli arrossisce e ribatte: “Ebbene? Vuoi delle spiegazioni? Hai capito! Una vita da suore, tutta scena per nascondere la vergogna, allora? Sarebbe impazzito chiunque, è solo la volontà che ci permette di sopravvivere e qualsiasi cosa è qualsiasi cosa ed è meglio di niente!”

Si interrompe per piangere, la prendo, la bacio, ci mangiamo un po’ la lingua sprizzando sangue tra fuoco e fiamme poi la rimetto a cavalcare sbrodolante e dico: “Hai parlato per tutte, la causa non è effetto,  l’esperienza insegna ed ai livelli superiori della pubblicità da ogni cosa si può trarre un utile. L’autore vuole tracciare l’identikit della giornalista di New York, ormai non probabilizza che venga ammazzata da Otello ma vuole mangiarsela lo stesso, per essere vittima della gelosia non deve essere tanto vecchia ma non si può mai dire. Il collegamento con la giornalista di New York parte dalla Russia, il modello prerivoluzionario, un amministratore tedesco ignorante ed estremamente fidato su un villaggio di muzic con in mezzo un ghetto ebreo, il modello si è trasferito a New York, lo zombie di Hitler, gli abitanti ed il ghetto di Wall Street, il sistema funziona, il valore nominale dei soldi si basa sul cambio, sulla domanda e offerta, i soldi sono pezzi di carta disegnati il cui valore non ha forma ma solo nome. Il sistema, come ogni fenomeno, funziona da zero a tot, quando si arriva a tot…”

Una pausa, Lilli si è spenta, sulla torta la fontana sta inaridendo, le suore continuano a ridondare il canto muto ma le loro ombre si son fatte cupe poi, dopo un’esitazione generale, sulle ombre iniziano a comparire desideri sopiti di ballerine volteggianti su una fontana  e subito dopo Lilli ha un orgasmo inondante e dice: “Ho capito, un colpo alla botte e un colpo al cerchio, siamo morte, degli zombie ma…” Si dondola sul cazzo schizzando goduta e continua: “Che ho a che fare con tutto ciò?”

“Il tuo me che si trasferì nell’autore, la ballerina, quel desiderio, l’autore non sa come la cosa possa essere stata ma forse ce l’abbiamo fatta ed è avvenuto il ricambio.”

I mulini si son messi a girare vorticosi, dagli abiti delle suore il flusso di liquido vaginale è aumentato, la fontana ormai scroscia a dirotto, l’acqua precipita alla base intorno alla suora invasata e sale, un lago ribollente di puzza di figa, dal flusso salgono bolle nauseabonde che volteggiano, scoppiano, si riformano e tornano a scoppiare per riformarsi…dalla poltiglia iniziano a crescere grattacieli come funghi.

“Il canone sta cambiando la figura, andando per logica adesso si dovrebbe vedere l’empireo del sistema nominalista, la circonferenza è centro e se è centro non è circonferenza, un centro circonferenza, un ghetto, un accampamento di zingari nella sua forma ideale.”

Il lago ha preso la forma di una baia e la figura si sta componendo in Manhattan, si vede un sotto coi grattacieli ed un sopra specchiato a cupola dove le immagini sono piatte  e vari tentacoli che si diradano ovunque come da un’immensa piovra, il tutto ancora in formazione, confuso nei vapori di puzza di figa.

Lilli guarda a bocca aperta sbrodolando sul cazzo, si agita un po’ avanti indietro facendomelo allungare di una spanna e dice: “Questo canone sembra magia, l’autore butta le cose così e poi…nei fatti…le  parole mi stantuffano dentro, mi sembra un cazzo che mi sta sfondando da tutte le parti, non ho più un buco libero.”

“All’autore è venuta un’idea, il falso scrittore:         

La faccia sua era faccia d’uom giusto
tanto benigna aveva di fuor la pelle
                    e d’un serpente tutto l’altro fusto.                      
                    

 e vuole metterla in culo a Dante Alighieri! L’empireo, il suo paradiso in culo a Dante, che idea! Non so se puoi capire che vuol dire l’idea per uno scrittore geniale e poi lo humour ed il canone da guardare.”

“Parole!” esclama Lilli,  “ho una voglia che…”

“Proprio così devi essere…”

Mentre da lontano si sente un suonatore di violino sviolinare un trillo del diavolo la stringo,  la bellezza, i suoi seni sodi di diciottenne pieni a premere sul petto, un abbraccio sempre più stretto, iniziano a sprizzare scintille che ci scivolano sulla pelle sfogandosi all’esterno poi con un rombo assordante scoppia il fulmine, un lampo accecante, lo afferro con la mano tenendolo stretto perché non voli via poi prendo il cancro, lo faccio srotolare, gli sollevo i tentacoli sulla coda e gli ficco il fulmine in culo svuotandoglielo dentro come un cristere. Butto la siringa vuota mentre il cancro gonfia tuonando dalla bocca e dalle orecchie, si stende, si allunga e si allarga prendendo la forma di un grosso scorpione con  il pungiglione spuntato, le chele  e la faccia di Dante come si vede sui libri, calvo con la corona d’alloro in testa ed il naso grifagno.

“Saltiamo in groppa, ti porto a fare un giro su New York!”

 

 

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