Cap 5. La supersfigata.



                                                  La super sfigata 

Intanto per dare l’idea dell’unità iniziamo col mettere uno stollo su un carro tirato da un grosso bue, intorno allo stollo un pagliaio di erba secca per la precisione cannabis o marjuana come la si vuol chiamare, un profumo…in cima al pagliaio con lo stollo che affiora al centro appuntito come un ago la superficie è concava a formare un comodo e morbido nido con piume variopinte intrecciate tra i rametti, le foglie ed i fiori secchi. Dentro il nido ci sono Edipo e la Sfinge.

Anche se l’idea è trita bisogna precisare i significati, Edipo non è la Sfinge quindi uno è nome e l’altra forma, il nome è uno e la forma universale, in questo caso la natura nella sua totalità che può essere di nomi oppure di corpi. Nella sfinge in questione cambia solo la faccia mentre il corpo rimane quello di una leonessa molto sexy pur lasciando sottintendere l’idea che potrebbe essere anche tigre o giaguaro o pantera ecc.

Dalla lettura della figura si vede che la Sfinge è la forma di Edipo.

In questo caso Edipo ha il corpo di un uomo atletico con un grosso cazzo e la faccia di un tigrotto, o meglio la maschera poi chissà cosa c’è sotto mentre la leonessa cambia faccia e per ragioni di copione si vede di nuovo Lilli ma a questo punto, essendo forma, che importanza ha il nome?

Il bue procede lentamente tirando il carro su un percorso di nuvole a pecorelle, un mare a perdita d’occhio di vapori con sbuffi svolazzanti iridati dai raggi di sole in cima alla scena a illuminare che formano ponti scintillanti tra una nube e l’altra. Sopra al nido c’è uno stormo d’uccelli rapaci che fanno da tettoia volando al passo col bue ed ai lati, davanti e dietro al carro ci sono branchi di iene che scortano facendo da pubblico, in questo momento scoppiano tutte in una fragorosa risata ed al sopire di questa Lilli dice: “Checcazzo! M’hai fatta venire il porco dio, in culo alla madonna… scoreggiona! si stan schiattando tutte d’invidia, io sono!...l’avevo sempre detto, tu, checcazzo… cos’è sta storia, che vuol dire una zingara incipriata alla Luigi XIV?”

Edipo sorride facendo brillare i lunghi canini acuminati e risponde: “Un’immagine televisiva, una ridondanza dal tempo, un’idea che vola sui secoli morendo e risorgendo dalle proprie ceneri,  sempre la stessa, là…sul piedistallo di miseria a farsi ritrarre muta come un sasso, solo scena, quello che si vede.  

Lilli sfodera gli artigli e sbotta: “In culo a stoccazzo! Per chi mi hai presa? Sai che mi fotte a me? Me lo dai tu il pane da mangiare? Così è altrimenti…io sono!...tutta scena, te l’avevo detto subito.”

Le iene sollevano un largo eco di risate e la Sfinge, sollevandosi eretta ad ali aperte, in tono teatralmente enfatico continua: “Va be’, checcazzo, hai detto suonata, a me sembra trombata, la tua lingua, come essere al telefono, alla faccia di quella madonna troia, tutto per…niente, così è… Quest’erba fa girare la testa, un’altra, vuoi dire tutti i libri scritti dall’autore…gli venisse…sempre fuso, musica a tutto volume, l’artista ed io a rompermi la testa per niente!  Un sogno, la sua lingua non la smette più di scavare nella figa, di frugare nell’utero, si solleticare le ovaie, un sogno, niente… adesso che ci facciamo qui?”

“Dobbiamo andare alla seduta spiritica a Bra.”

“Checcazzo! Ci andiamo su un carro pieno di erba tirato da un bue?”

 “Questione di humour, ” risponde Edipo,  “te l’avevo detto subito che non dobbiamo identificarci in quel che crediamo di essere, nella realtà al telefono ognuno al suo posto e qui non siamo noi quelli che vanno, una nostra idea e li possiamo guardare come in tv.”

Dagli sbuffi di nuvole prende forma una nuova figura. Qui bisogna fare una premessa che possono intendere solo i filosofi, cioè gli uccelli tigre: nel movimento dialettico la forma nominata nel momento che viene nominata non è più forma, è tornata al nome la cui nuova forma  si evolve dalla precedente. Si vede un televisore con ficcato nel buco del culo un cazzo a stollo la cui cappella esce dalla testa sborrando un getto di idee statico e rigido come un’antenna. Il cazzo ha la forma di una siringa di quelle che si usano per fare i cristeri, è quasi vuota segno che il sogno sta per finire. Dentro il televisore si vedono Pietro e Lilli che stanno entrando nella casa della medium. Anche qui vale lo stesso discorso, Pietro è il nome e Lilli la forma, il femminile di Pietro, una pietra o come si dice in piemontese una pera.

La leonessa si adagia comoda nel nido facendo del mio ventre cuscino, mi accarezza il cazzo con gli artigli sfrigolanti facendomelo venire duro come uno stollo e leccandolo distrattamente con la lingua rasposa inizia lo spettacolo.   

                           Toccata e fuga.


L’idea di due fili staccati che interrompono il corto circuito, la figura della massa a c2, il cerchio è  anello, lo zero un limite invalicabile, come battere una craniata contro un muro ai teorici trecentomila chilometri al secondo, si vedono stelle da tutte le parti, l’anello si apre, la catena si scioglie, tutto in un attimo perché subito si riforma il cerchio per una nuova craniata e via di seguito sempre così. Cerchio e linea, ad ogni craniata si accende una luce, sembra uno di quei fischietti arrotolati che si allungano al fischio oppure una ruota dentata, un mulino con le linee a pala, una dinamo o anche una bocca che si apre e si chiude velocemente ogni volta battendo i denti per tranciare un pezzo o ancora un faro intermittente diastole e sistole, un cuore pulsante con un cazzo a stollo piantato nel buco del culo che nella confusione nucleare sembra una bocca o forse una figa. Inizia ad uscire la storia, la figura della storia, un’infinità di maiali incolonnati e spinti al burrone dove precipitano trasformati in salsicce, salami, prosciutti, cotechini,  tranci di lardo ecc.

Il porcaro che li guida appare invisibile, forse ha l’anello del potere, quello che Frodo porta al vulcano, oppure l’anello di Gige, strano mito quello di Gige, forse spiava Candaule che si scopava la moglie protetto dall’anello che lo rendeva invisibile e poi la moglie lo scoprì, si era tolto l’anello apposta?...un anello che rende invisibili, la figura è tramandata da Gige a Frodo Baggins e, come diceva quel secchione di Marx, uno spettro si aggira per l’Europa.

La figura di un vampiro succhia sangue, va proprio interpretata con la logica del norcino riguardo il destino dei maiali senza giudizi a priori di parte perché nel porcile ogni maiale è maiale.

Si vede l’inflazione della Germania negli anni venti del novecento, il sangue energia trasferito dal marco al dollaro attraverso i cambi degli ebrei e dei borghesi tedeschi spaventati, una moneta vampiro dunque, il dollaro è lo zio Sam alias mago Merlino? Il valore nominale dei soldi è invisibile, un altro fantasma o sempre lo stesso che risorge ogni volta dalle proprie ceneri? La figura è utile per il confronto.

Mentre procediamo controcorrente il moto dei maiali al burrone come se risalissimo un fiume verso la sorgente Lilli chiede: “Vorresti dire che sono io?”

“Te o un'altra che importanza ha? L’immagine è solo televisiva, non esiste nella realtà.”

“Ho capito, sono i giornalisti che la tramandano grazie alla nostra copertura che li rende credibili. Bisogna proprio fregarsene di tutto, senza pensieri. La figura della lingua cazzo ha toccato le mie ovaie e la Sfinge ha sfondato il muro…tutto sommato l’idea di essere una donna qualsiasi non mi dispiace perché è quello che sono purchè prima o poi quella lingua me la ficchi davvero...a me piace essere sbattuta alla grande, da sentirmi tutte le ossa rotte, non so se puoi capire…”

Le ultime parole di Lilli echeggiano nell’aria ridondate in tonalità e sospiri sviolinanti in tutte le lingue, la figura sputa il cazzo e continuo: “Non può essere diversamente. L’impotenza nega il corpo spostando il fantasma del superscopatore nell’immaginario dove prende la forma di un crocefisso castrato, il collegamento è con le abitudini alimentari delle donne della specie preumana, la gelosia alimentare degli animali, i dominanti si nutrivano solo di sangue, il sangue è denaro e così il povero sogna di essere ricco identificandosi con immagini televisive prestampate. Questo vale per le bestie, all’autore invece piacerebbe cambiare continuamente perché non dovrebbe piacere anche a te?”

“Vuoi dire come il gallo in un pollaio, un tocco e via? Non so se mi piacerebbe.”

“Un'altra mentalità, che ne sai del tocco e via? La mentalità attuale è effetto dell’impotenza, hai solo quello da succhiare e allora sei gelosa che altre lo succhino e ti facciano morire di fame, è istinto di conservazione, se invece potessi scopare a piacere chi ti fermerebbe più? La figura si monta in modo automatico e non c’è soluzione se non uscire dalla bestia cioè dalla fame. Il fatto è che l’autore di soldi non ne ha quindi non è a lui che lo stai succhiando ma ad un altro che invece li ha e su cui sposti il significato identificandolo.”

“E chi sarebbe? ne conosco tanti...”

 “Parole, conosci solo parole, nomi di morti, il crocefisso a cui succhi il cazzo è il sistema che ti nutre, non i ricchi che conosci ma il cumulo di poveri ammucchiati intorno allo stollo della televisione, sono loro che pagano veramente versando il sangue, è su di loro che si trasferisce la mentalità dominante, lo stomaco affamato della massa che prende forma dalla tua gelosia alimentare diventando padrone assoluto. Questa è la figura che si vede, il sistema a cui fornisci la maschera, l’etat c’est moi, cioè la forma è nome, di Luigi XIV innalzato sulla negazione dell’autore.”

“Una storia venale, un travaso di sangue moneta, ebbene è così, non ci posso fare niente.”

“Niente c’è da fare, qualcosa del genere deve essere avvenuta anche allora, le pagine della memoria si accavallano una sull’altra ed ognuna copia dell’altra dall’inizio del sogno e sono tutte incise nel web del linguaggio, il comportamento è effetto e così è perché così deve essere, questo sistema non può funzionare diversamente.”

Le schiere di maiali si sono diradate, arriviamo al cancello sul vicolo cieco della medium, alla porta c’è il signor Ermanno che ci fa entrare, l’anticamera sagrestia è affollata. 

 

Al nostro ingresso il brusio di voci si interrompe. Sul lampadario tutte le lampadine sono accese, c’è un gruppetto con sei bigotte vicino al quadro del Cottolengo e tre donne dall’aspetto solenne, magre ed asciutte, la schiena dritta, il volto incipriato, i capelli acconciati e tinti, vestite in tailleur uniforme  giacca e gonna grigio scuro con un bocciolo di crisantemo all’occhiello delle giacche e la camicia aperta su un triangolo del petto dove pende un crocefisso. Le gambe sono senza calze ed ai piedi indossano sandali con la cinghia.

Dimostrano tutte di aver passato i cinquanta da un pezzo, una è alta, africana, bruna con la pelle scurissima, la bocca grande tutta dentiera e gli occhi tondi e bonari da vacca, la seconda è di statura media, i capelli rossi, la pelle chiara, gli occhi con una leggera inclinazione agli angoli come hanno gli aztechi messicani mescolati geneticamente agli spagnoli da lunga data e l’ultima è piccola,  biondiccia, tutta nervi, gli occhi fini a mandorla. Tra loro sembrano messe in scala.

Lilli indossa uno chemisier nero lungo sotto il ginocchio, una bustina in testa con una veletta traforata che le copre il viso e scarpe coi tacchetti aperte sul piede fino all’incavo delle dita,  anche queste nere.

Ermanno si avvicina alle bigotte, bisbiglia loro qualcosa sottovoce poi torna da noi e ci presenta le tre: “Queste signorine sono medium venute a trovare la signorina Frida per consultarsi e parteciperanno alla seduta.” tossisce per schiarirsi la voce e continua iniziando dall’africana: “Lei è la signorina Giovanna, è nata nel Congo ed attualmente risiede a lavora a Parigi, lei è la signorina Marina, è messicana ma abita ed esercita la sua professione da anni a Rio de Janeiro e lei è la signorina Germana, è venuta apposta da Saigon in Vietnam, è molto famosa in tutta l’Asia ed anche in America dove la chiamano spesso per consultare le care anime dei defunti.”

Dette queste parole in una stanza vicina si sente una porta cigolare e sbattere violentemente.

Segue una pausa dove si vede Ermanno guardare allarmato in direzione del rumore, le bigotte sussultare stringendosi tra loro, le braccia nude di Lilli incresparsi in un accenno di pelle d’oca e le tre, dopo essersi toccato il crocefisso alla gola e mormorato uno scongiuro porgerci la mano per salutare. Le stringiamo e terminati i convenevoli Ermanno dice: “La signorina si sta preparando e sarà pronta tra un attimo.” Si rivolge a Lilli e continua: “La signorina Frida è molto dispiaciuta per l’esito dell’ultima seduta, si è presa a cuore il suo caso e questa volta si augura che il santo non venga interrotto e tutto si possa risolvere nel migliore dei modi per la sua salute.”

“Ho fatto tutto come richiesto.” mormora Lilli da sotto la veletta.”

Interviene l’africana, mi batte una pacca a mano aperta sulla spalla e  dice: “Io la conosco, ho visto la sua foto su un libro, lei è…”

Tralascio il nome dato che non è forma, assento e Giovanna continua: “Ho letto tutti i suoi libri, so che lei è un esperto di spiritismo e che nonostante lo scetticismo ha lasciato intendere che qualcosa c’è…”

“Forse ha letto male, ” rispondo a lingua rasata,  “ho lasciato intendere che c’è molta superstizione e molti ci mangiano.”

Le tre si accalorano e la messicana dice: “La maggior parte della gente la pensa così e forse è vero che qualcuno ne approfitti ma non faccia di ogni erba un fascio, ci sono professionisti seri che esercitano lo spiritismo al solo fine della conoscenza. Comunicare con le anime dei morti aiuta a prepararci a quello che è il destino comune di tutti gli uomini, la morte ed a quel che c’è dopo. Anch’io ho letto tutti i suoi libri, lei è un filosofo e dovrebbe sapere che questo argomento è sempre stato l’incentivo di ogni filosofia. Platone era uno spiritista, il mito di er descritto nella Repubblica è la prova inconfutabile.”

“Lei ci crede?” le chiedo.

“Perché non dovrei? È scritto nero su bianco ed è stato tradotto in tutte le lingue.”

La vietnamita, dopo essersi inumidita le labbra con una lingua acuta e rossa accentuandone la sensualità ribatte: “Anche Shakespeare ne parla, l’Amleto, perché sopportare gli oltraggi dell’avversa fortuna quando con un colpo di lama si potrebbe por fine al dolore se non fosse per la paura di quel che c’è dopo.”

Mentalmente predo nota che se l’autore le sta mettendo in bocca quelle parole deve avere i suoi motivi intanto Lilli si solleva la veletta e dice: “per questo una risposta la dà Achille ad Ulisse nell’oltretomba di Omero, meglio un bifolco vivo che zappa sudando sotto il sole che un principe morto negli inferi.” 

L’africana assente pensosa guardando interrogativamente Lilli poi torna a rivolgersi a me e dice: “Versioni ce ne sono tante ma se nonostante il suo scetticismo è venuto qui  un motivo ci deve essere, il culto dei morti è alla base delle tradizioni di ogni popolo eppure molti considerano i medium solo dei ciarlatani, non le sembra un controsenso? Tutti hanno paura di quel che c’è dopo, il nostro lavoro è una missione che svolgiamo per amore della verità.”

In quel momento nella credenza contro il muro si apre un cassetto, si sente uno sbuffo come una scatola di cartone sfondata con una manata e subito dopo un flebile canto di grillo. Ermanno va a vedere, fa scorrere il cassetto avanti ed indietro, ci guarda dentro con aria preoccupata e lo richiude. La vietnamita, dopo aver toccato il crocifisso e scongiurato, con voce solenne dice: “Questa sera l’energia è alle stelle, ci devono essere potenze molto importanti che ci stanno ascoltando…” poi riprende con voce sciolta rivolta a me: “Lei ci sta guardando come se fossimo pazze ma noi non ci facciamo ingannare dalla sua espressione, in un suo libro ho letto che da giovane ha praticato lo spiritismo, sento che lei in realtà potrebbe essere un medium molto potente ed essere qui per sfidarci…”

Lilli, con voce acida, l’interrompe: “Non speri di cavarci qualcosa, lui è solo per sé.”

Germana la guarda interrogativamente e la messicana dice: “Comunque sia l’aria sta vibrando d’energia, prevedo una seduta interessante.”

In quel momento si sente suonare un campanello. Ermanno si scuote e dice: “La signorina ha chiamato, prego vogliate passare nella sala delle funzioni.

Mentre ci muoviamo pizzico ripetutamente il sedere a Lilli.

“Uffa…” sbuffa lei. “Preferivo quando mi trombavi anche se solo a parole, adesso mi sento come un maiale che sta per essere appeso al gancio.” 

 

Toccata e fuga, causa ed effetto, la causa è una e l’effetto uno sviluppo di linee melodiche contrappuntate, come mettere due dita in una presa di corrente per farsi venire tutti i capelli dritti.

Nella cappella nulla è cambiato, la lampadina illumina fioca il tavolo del piattino, le candele sono accese sopra le colonnine ai quattro angoli, nonostante non ci siano spifferi le fiammelle sono tremolanti come se invisibili bocche ci stessero alitando sopra proiettando sulle pareti ombre danzanti di anime morte. Mentre le bigotte si vanno a sistemare sulle panche con inginocchiatoio iniziando subito a biascicare un pater noster ci sediamo al tavolo.

Qui succede il primo incidente. Il piattino sul tavolo si mette a vibrare e la sedia di Ermanno si sposta da sola, almeno così sembra, facendolo cadere a terra. Giovanna e Marina l’aiutano a rialzarsi, Ermanno ringrazia fingendo noncuranza ma ha lo sguardo sconcertato e si siede questa volta tenendo salda la sedia con le mani.

Nell’aria musica invisibile suonata da mani invisibili ad un organo invisibile, pare di sentire echeggiare la toccata e fuga in re minore di Bach, riverberi che animano la danza delle ombre alle pareti facendole girare intorno mano nella mano come un anello di morti.

Su tutto la bacchetta dell’autore che dirige il concerto.

Il posto della medium è ancora vuoto,  Giovanna dopo essersi guardata intorno con occhi ansiosi e nello stesso tempo affascinati ne approfitta per dire, rivolta a Lilli: “Che atmosfera, dovrei essere abituata ma sento come se fosse la prima volta che mi siedo al tavolo di una seduta.” Le altre due assentono all’unisono e l’africana continua: “Non ci siamo mai trovate insieme ad operare, forse è per questo che l’aria è così piena di energia, lei è una giornalista molto famosa, quando abbiamo saputo che partecipava alla seduta abbiamo chiesto alla nostra collega di farci entrare nel numero, spero che non le spiaccia.”

Lilli risponde: “Che cosa vuole che  dica? Non so più che pensare, mi sento tirata a forza, quel che mi piace o no che importanza può avere?”

Marina dice: “Non dica così, chi ricorre alle nostre arti solitamente è perché non ha alcun altro a cui aggrapparsi, noi medium siamo l’ultima spiaggia dei casi disperati, insieme potremmo fornirle tutto l’aiuto che le occorre, non si disperi, forse troverà la risposta ai suoi problemi.” Mi guarda come per cercare conferma oppure per far capire a chi in realtà sta parlando e continua: “Lo spiritismo è un’arte antica, lei prima ha citato Omero, da sempre gli uomini interrogano gli spiriti per il loro destino, noi siamo come ponti per comunicare con chi può fornirci aiuto quando non rimangono alternative.”

Per quanto sia dell’idea che con i pazzi non si deve interferire chiedo: “Una storia che si tramanda, chi vi ha insegnato l’arte?”

“Una lunga storia!” risponde Germana,  “Abbiamo avuto i nostri maestri.”

“Ed i loro spiriti si sono trasmessi, in un certo senso anche gli scrittori sono così, è facile immedesimarsi con i personaggi a cui si dà vita appresi leggendo altre storie. Ai tempi di Omero gli spiriti dei morti per parlare dovevano bere sangue, un vivo doveva morire per trasmettergli la parola, questa è la figura che si legge, sembra un trapianto di cuore.”

La messicana, dopo aver fatto digrignare la dentiera, continua: “Lei sembra conoscere bene la nostra professione anche se non lo dà a intendere, in Brasile lo spirito del dottor Barnard viene sovente evocato dai malati terminali di cuore e ci sono stati casi di guarigione, io stessa ne sono stata testimone. Non le nascondo che molti vorrebbero farlo santo, perfino la chiesa si sta interessando. Può essere un caso o forse è destino che questa sera siamo riuniti allo stesso tavolo per…”

Le sue parole vengono interrotte dalle bigotte che iniziano ad intonare il salve regina, entra la signorina Frida vestita con una tonaca a tubino bianca che le fascia aderente il corpo anguilliforme, le gambe scoperte dal ginocchio in giù dalla pelle incartapecorita ed incipriata come il viso che ha una traccia di rossetto pallido sulle labbra, la corona del rosario le stringe la vita in modo insolitamente civettuolo ed ai piedi indossa scarpe coi tacchi alti che fa tamburellare sul pavimento mentre cammina. Ermanno la guarda stupito, si alza per porgerle la sedia e con un’occhiata le fa capire che stanno avvenendo cose insolite.

Frida si siede, si toglie gli occhiali mostrando occhi leggermente truccati intorno alle pupille bianche, ci guarda deglutendo compiaciuta, se li rimette e fa un cenno ad una bigotta che subito accorre portando un bicchiere di vino su un vassoio. Dopo averne osservato la corposità alla luce della lampada lo scola di un fiato, rutta e senza por tempo in mezzo posa un dito sul piattino invitandoci a fare altrettanto. Ermanno, con voce ispirata, dice: “Santo che stai nei cieli, degnati di venire tra noi.”

Il piattino inizia a girare lento e pesante al centro del tavolo poi si ferma.

Ermanno chiede: “C’è qualcosa che ti disturba, non siamo disposti nel modo giusto?”

Il piattino si dirige verso di me, a metà strada sembra ripensarci e torna indietro per ripartire e comporre le parole: “Sono il santo Cottolengo, sono contento di stare tra voi.”

Ermanno dice: “C’è la signora dell’altra volta, è ansiosa di sapere se hai buone notizie per la sua salute.”

Il piattino si mette a tremolare nicchiando poi parte veloce e compone: “Le anime buone si sono interessate… l’offerta alla Piccola Casa è stata generosa ma non come ci si aspettava e non l’hanno voluta bere, così poco considera la sua vita?”

Lilli ribatte risentita con voce leggermente fessa: “Ho spedito cinquemila euro, non mi sembra affatto poco!”

Il piattino si mette a comporre velocemente e dice: “Una miseria, cosa sono i soldi? Quando il cancro se la sarà mangiata crede di portarseli con lei nella tomba? Tutto avrebbe dovuto mandare, puttana! Pensa solo al cazzo ed ha passato la vita ad ingannare se stessa, chi si crede di essere?”

Frida con un grido strozzato solleva il dito dal piattino ma quello continua: “Le giornaliste sono grandi bugiarde, la danno a vendere a chiunque e le anime buone non sono disposte ad aiutare simili meretrici!”

Frida con uno schiaffo allontana le dita di tutti dal piattino, poi guarda le tre medium che rispondono negando leggermente col capo, si toglie gli occhiali per guardare me puntandomi occhi freddi carichi di sfida e se li rimette per bisbigliare qualcosa all’orecchio di Ermanno. Questo l’ascolta e poi mi dice: “La signorina crede che lei interferisce con le parole del santo. Se vuole può rimanere al tavolo ma le sarebbe grata che non ponesse il suo dito sul piattino.”

L’africana interviene: “Io non credo che sia così, forse c’è qualcun altro che parla al posto del santo, chiediamolo a lui senza interromperlo.”

Frida guarda Ermanno che poi dice: “Va bene, proviamo ma senza il suo.”

Rimettono le dita ed il piattino, ad una velocità sorprendente, compone: “La puttana negra ha parlato bene, qui le anime buone se lo farebbero succhiare tutte da lei.”

Germana, con voce professionale, chiede: “Chi sei anima tormentata?”

Il piattino risponde: “Io sono Satana, sono sempre stato io a parlare, cottolenghi siete voi, io sono Satana, il serpente che vi mangerà tutte!”

Le fiammelle sulle candele tintinnano come campanelli per qualche secondo, le bigotte si sono inginocchiate coprendosi gli occhi con le mani e con voce strozzata stanno intonando un eterno riposo, le medium e Lilli hanno sollevato le dita dal tavolo e si guardano tra loro smarrite.

 

Ermanno, con voce arcigna, si rivolge a Lilli e dice: “A quanto pare il santo non ne vuole sapere di lei, immagino che neppure questa volta si sia confessata e comunicata come le avevo detto, lei deve appartenere a Satana, non possiamo fare nulla per aiutarla, per il futuro le consiglio di rivolgersi a qualche stregone esperto di messe nere.”

Lilli lo guarda crucciata, poi guarda me sorridere indifferente e risponde: “Non ho peccati così gravi da dovermi confessare, lei sta solo cercando scuse. Ho capito che è stata una sciocchezza venire qui, se mi capiterà di doverne parlare nel mio programma saprò come regolarmi.”

L’africana interviene: “Non dica così, questa casa ha le sue regole ed il signor Ermanno evidentemente è ancora scosso dalla caduta dalla sedia.” Guarda Frida che assente con un cenno del capo e continua: “Facciamo una pausa, forse in questo momento il santo è occupato altrove e Satana ne ha approfittato.”

Ermanno fa per ribattere ma viene interrotto da una gomitata secca di Frida su un fianco, si guardano per qualche secondo e poi lui assente abbassando umile la testa.

Marina, accarezzando distrattamente il crocefisso al collo, si rivolge a me e chiede: “Lei prima ha paragonato gli spiritisti agli scrittori, mi ha fatta pensare, sarebbe come dire che gli spiriti che evochiamo sono come personaggi di una storia?”

Rispondo: “Esattamente come noi. Ai tempi che praticavo lo spiritismo Satana appariva spesso durante le sedute, sembrava che stessero in un grande salone, una specie di limbo con una cabina del telefono dove si davano il cambio a parlare. I primi tempi la cosa era inquietante ma in seguito si rivelò utile perché mi liberò da ogni superstizione.”

“Dunque non ci crede?” chiede la messicana.

“Credere che una cosa che non esiste non esista e come in matematica fare meno per meno, si ottiene più.”

Germana prende la parola al volo e con occhi aguzzi quanto la lingua dice: “Enigmatico come la sfinge, noi di matematica ci intendiamo poco ma il suo paragone ci ha incuriosite. Sarebbe come dire che in questo momento noi siamo spiriti evocati dall’autore che sta scrivendo?”

Lilli interviene: “A questo posso risponderle io, l’autore non fa una seduta spiritica, fa una figura da interpretare, non è letteratura, è un’altra cosa ma questo non l’ho ancora capito…forse perché lo si può solo intuire alla lontana.”

La vietnamita, acuendo la lingua, ribatte: “Comunque la figura che si legge è questa: una seduta spiritica dove si fa una seduta spiritica, un teatro nel teatro…quindi l’autore ci considera spiriti di morti e stiamo evocando…” si guarda intorno come se si sentisse cinta da una catena e Giovanna dice: “In ogni caso la figura di Satana rimane inquietante, certe volte ci prende la mano e non sappiamo come difenderci se non con la preghiera, lei come ha fatto a liberarsi?”

Le bigotte non si fanno pregare ed iniziano ad intonare un padre nostro, si sono strette tra loro in un unico gruppo scultoreo di cui solo le labbra si muovono biascicando l’orazione, la figura di un vaso…

Rispondo: “Nel mito Perseo mostra la paura a se stessa. Non ci si può liberare da una cosa che non esiste, sono superstizioni tramandate, personaggi di storie immaginarie ed ho fatto come quando smetto di scrivere un libro.”

Marina continua: “Se fosse così facile…Satana è ovunque, ha mille facce, lo si sente come una presenza maligna che incombe, soffoca…”

La interrompo: “Paura, timor panico…anche questo è tramandato. Propongo di continuare la seduta e riflettere lo specchio alla paura, lasciamo parlare Satana, sentiamo quello che dice.”

Ermanno solleva la testa e sbotta: “Io mi oppongo! Non intendo condurre la seduta a questi termini.”

“Ok, lasciamo che sia l’autore a specchiarsi.”

Le medium si guardano incerte poi Frida per prima mette il dito sul piattino e le altre la imitano.

Il piattino fa un paio di giri a vuoto e si dirige deciso verso le lettere a comporre: “Io sono il Satana cottolengo…sono contento di stare tra voi…io sono il cancro di Lilli, lei ce l’ha in testa che batte che batte ed è andato giù…lui è come un bambino…che vuole essere cullato…ma lei mi vuole abortire, mi odia e io la odio!”

Lilli mi guarda sbalordita, le pizzico il sedere per farle capire di non curarsi delle parole e chiedo allo spirito: “Da dove stai parlando?”

“Io sono…sulla luna…qui è come una grande sfera, dentro ci sono i cattivi, sulla superficie camminano i buoni e per aria ci sono gli angeli con le fiaccole ad illuminare.”

“Tu con chi stai?”

“Io sono…dappertutto, non lo vedi?”

“Allora sei Dio.”

Il piattino sembra nicchiare poi parte deciso e risponde: “Chi è dio? Qui non lo ha mai visto nessuno. Io sono Satana, tu non hai paura di me?”

“Perché dovrei, sei sulla luna…come passi il tempo?”

“Io…coccolo il mio bambino…lui tutti lo odiano ma io…”

“Sei uomo o donna?”

“Dipende…adesso sono il mio bambino e mi sto coccolando…lo vedi il serpe come si allunga? sono io che bisbiglio nell’orecchio…non senti la mia lingua fare il solletico?”

“Hai una lingua lunga se stai sulla luna.”

“Molto lunga…io l’ho faccio venir duro al mare, lui gonfia e me lo ficca tutto dentro.”

“Allora sei una figa!”

“Adesso sono il cazzo, lo vedi come sono lungo? Sono io che bisbiglio all’orecchio…”

Nella cappella sono tutti silenziosi, le medium attente, le bigotte col collo lungo a guardare sul tavolo, la musica invisibile intona un requiem all’organo ed il piattino compone:

“Io sono Satana, adesso sono vecchio, qui siamo tutti vecchi barbogi, abbi pietà di noi, molti sono già morti, altri stanno morendo e altri moriranno…”

“Credevo foste immortali.”

Il piattino gira a vuoto come indeciso poi parte a razzo e scrive: “Solo il mio bambino lo è, lui…vuole essere coccolato, io…qui gli angeli ci stanno mangiando uno ad uno, siamo noi che gli diamo il carburante per brillare.”

“Tu sei tutto, di cosa ti preoccupi.”

Il piattino si ferma poi riparte lentamente e compone: “Tu ti stai burlando di me…qui…facciamo seriamente…è appena arrivata una che da secoli aspetta di parlare con te, adesso te la passo, resta in linea.”

Per animare la scena esplode la lampada sopra il tavolo, i cocci di vetro si frantumano violentemente contro l’anello di ombre alle pareti sparpagliandole, si sente un lungo rombo come un’onda gigantesca che avanza, passa e subito dopo tutte le medium e Lilli cadono riverse con la testa sul tavolo in stato di trance.

Alle luci tremolanti delle candele che galleggiano nell’aria come se fossimo immersi in un altro mondo dalla bocca di Lilli esce una voce stridula e gracchiante che dice: “Io sono Diana, la Cristina del dottor Faust, sono stata io…”

 

 

 

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