cap. 1. Un'idea nel cassetto




             Un’idea nel cassetto.

 

“Senza ciuccio, fuori dall’oggettività, non so più chi sono, la certezza del non essere è sconvolgente tanto più perché allora chi era quell’altro con il ciuccio? L’ho sognato ma sto ancora sognando, sembra impossibile, faccio le stesse cose che facevo prima solo il ciuccio non c’è più, vuol dire che prima ero il ciuccio? Me lo portavo sempre dietro, dappertutto, non potevo vivere senza di lui, una tirata, una succhiata, merda ma a me piaceva, anche adesso, m’è appena venuta voglia ma ho resistito, ce l’ho fatta, l’altro vuole il ciuccio ma ho tenuto duro e non ce l’ho dato, no, assolutamente no, vuol dire che il ciuccio c’è ancora, siamo in due, è come abitare nella stessa casa, lui lo vuole e io no, oppure sono io che lo voglio e l’altro no? Chi ci capisce più niente, facciamo la volontà e vada come vada, pura, semplice, solo volontà, volere e basta, resisto, chiunque sia non gliela voglio dare vinta, niente ciuccio!”

Cos’ho scritto? Chissà perché devo averlo scritto proprio io e non l’altro, un bel problema, qualsiasi cosa non è, a questo punto meglio così, se sono un personaggio inventato che si muove sotto forma di parole sullo schermo di un computer qualsiasi altra cosa sarebbe puro giudizio, sta di fatto che mi sono messo in movimento, l’autore… che sia lui il ciuccio?... meglio non fare pronostici azzardati, lasciamo la cosa nel punto interrogativo e andiamo avanti, ha aperto il cassetto delle idee e dentro ci ha trovato un ciuccio, uno di quei ciucci che si danno ai neonati da ciucciare per farli stare tranquilli, infatti adesso che è senza…o sono io?... è agitato, forse no, in quanti siamo a parlare, ci deve essere anche l’altro con me ma non si vede, è… chi lo sa cos’è e che importa? che stavo dicendo, ecco, ho perso il filo, anzi no, eccolo lì, il filo, segue il collegamento ciuccio somaro con Merdino ma questa è un’altra storia, sempre la stessa ma un'altra, dopo il ciuccio nel cassetto ci voleva mettere una ballerina incontrata sul web, che bella, che talento naturale ma, come dire, l’immagine, ecco, proprio l’immagine, troppo banale, quel che si dice il pressapochismo della mutua che contraddistingue l’arte contemporanea, forse fatta da me, ecco, allora sì, saper cogliere quell’attimo in cui è tutto quello che ci può stare, come la perla nella conchiglia matura piano piano, questa è l’idea ma ancora in embrione, un feto! Perifrasi d’autore con piroetta sulle punte ma ci siamo arrivati, questo è il punto, il feto, proprio lui, un feto e ce ne devono essere due, un feto gemellare, uno che vuole il ciuccio e l’altro no, come si è detto ma uno non si sa chi è perché non si vede, è come un’ombra proiettata da qualcos’altro che è costretto ad adeguarsi in antitesi come di fronte ad uno specchio, forse d’abitudine. 

Personaggi e campo d’azione, dentro una placenta immersi nel liquido amniotico, abbracciato stretto all’ombra, un ciuccio collegato alla bocca da spartire con l’altro, una tirata di shit, merda, si vede lo slang di New York alla finestra dello studio dello scrittore, a questo punto suonano alla porta e vado a vedere chi c’è.

Nel corridoio, con aria visibilmente imbarazzata, c’è una giornalista della televisione e questo potrebbe essere un segno.  È vestita elegante in un tailleur  grigio perla con un ampio foulard di seta con fiorami dai colori vistosi che le copre il decolleté lasciando indovinare che sotto non indossa altro. La figura con il viso truccato, nonostante le labbra di gomma e l’età, appare ancora piacevole da guardare. Tossisce e con voce mielosa si presenta dicendo: “Buon giorno, ultimamente, in un suo libro, mi sono riconosciuta in una zingara che chiedeva soldi in televisione per i bambini affamati e la cosa mi ha incuriosita così sono venuta di persona perché intendo gonfiarle la faccia di schiaffi.”

La presentazione mi piace e rispondo: “Ha fatto bene a venire, la cosa ha incuriosito anche me perché non ho la più pallida idea di come abbia fatto ad entrare in questa storia.”

La giornalista sorride facendo brillare gli occhi, si lecca le labbra e continua: “Forse glielo dirò ma non ora, sono anni, non si stupisca se con lei mi sento di casa, è come se la conoscessi da sempre. Posso entrare?”

La faccio entrare ed accomodare su una poltroncina di fronte al computer dove scrivo. Si guarda intorno con aria di sufficienza, mi guarda centrandomi lo sguardo e continua: “È proprio come ho sempre immaginato, un vero peccato, mi piacerebbe davvero gonfiarle la faccia ma per il momento preferisco aspettare…insomma, non mi trovo a darle del lei, sono abituata…se non le spiace diamoci del tu…ho mentito…o quasi, non è per quello, è altro, adesso…non sapevo come fare per contattarti ed ho improvvisato, il vero motivo perché sono venuta è questo: Il direttore mi ha incaricata di fare un servizio sullo spiritismo, sai cosa intendo? I medium, le sedute spiritiche, quelle cose lì… ecco! da giovane ti sei interessato all’argomento ed allora… non sapevo a chi rivolgermi per cominciare, aspettavo da tempo l’occasione, prima di qualsiasi cosa volevo conoscere il tuo parere… forse lo conosco già… tu, ma questo non vuol dire, di persona è diverso, allora… a proposito, che fine hanno fatto suor Teresa e la russa? Mi sarebbe tanto piaciuto vedere il padrone del mondo…”

Un castello immaginario con tante stanze immaginarie dove in ognuna si vive una storia immaginaria, questo lo avevo già capito ma adesso vedo che la giornalista è in evidente imbarazzo falsato dalla sicurezza di chi sta mentendo spudoratamente.  Il motivo deve essere altro ma in questi casi è meglio procedere con cautela. Cerco di intonare una voce professionale senza pensare al ciuccio di cui sento una grande voglia e dico: “Devono essere da qualche parte qui intorno, non ha importanza, parliamo di noi. Quello che mi chiedi non è poco, ti voglio dire subito che ho da tempo abbandonato ogni interesse per le faccende di questo mondo e tornare sull’argomento dello spiritismo…a proposito, come fai a saperlo?”

Lei sorride sorniona leccandosi le labbra e risponde: “Io so tutto di te, è come se…non importa come, ho letto tutti i tuoi libri, mi piace la parte che dai alla logica ed alla filosofia, fai del giudizio un calcolo matematico così diverso dai soliti discorsi scontati che si sentono in giro, sono interessata a fare bella figura, so che anche alla Fininvest si stanno occupando della faccenda, credo ci sia di mezzo il Papa, in Brasile gli spiritisti sono una realtà presente in molti aspetti della società, soprattutto negli ospedali e tu… lo so già cosa dirai ma per me è molto importante, ti sarei davvero grata se mi aiutassi.”

Vedo il collegamento, il problema dev’essere grave, aggiungo cautela a cautela e dico: “A me non frega assolutamente nulla ne del papa ne dell’ignoranza e superstizione in cui versa il Brasile. L’argomento dello spiritismo non mi piace, non fu una bella esperienza, anzi…facevo l’autoscrittura, venivano gli spiriti, se smisi di scrivere a penna ed usai solo più la macchina da scrivere fu soprattutto per quello. Allora ero giovane e non sapevo nulla di psicologia e dei livelli temporali di coscienza, adesso potrei insegnarlo nelle università e vedo chiaramente che quel che mi successe fu solo suggestione. Nulla delle cose che scrissi con l’autoscrittura poteva non essere frutto della mia coscienza.”

Lei prende la palla al balzo e ribatte: “Però non puoi negare… se non usasti più la penna… qualcosa doveva esserci, forse… come fai a essere sicuro e cosa sono questi livelli di coscienza? Ho letto molti libri ma non ne ho mai sentito parlare.”

Come si fa a trattare con una bella donna che mentre  parla accavalla le gambe scoprendo ampie panoramiche sulle cosce vellutate dal nylon e dalle giarrettiere fino al fondo oscurato di morbidi pizzi… cerco di distogliere lo sguardo e continuo: “Niente da fare, l’argomento l’ho chiuso da tempo e non intendo tornarci sopra, sono certo che troverai altri che sapranno consigliarti con più autorevolezza di me.”

Lei stringe le gambe chiudendo la visuale e strilla con voce adirata: “Invece lo farai altrimenti ti gonfierò la faccia di…” si interrompe, rimane un attimo a pensare come se continuasse il discorso con qualcuno dentro di lei e dice con voce nuovamente calma: “Se è questione di soldi fai un prezzo.”

“I soldi non mi interessano.”

“Allora…” riapre le gambe leccandosi le labbra con occhi fiammanti e sussurra: “Potremmo…ti farei…”

“Non dire cazzate, siamo solo parole, che vuoi che mi importi?”

Lei diventa seria e con voce professionale dice: “Allora… so che stai radunando i me che hai dispersi per il mondo, io potrei averne uno molto importante, tu lo devi avere già capito, se mi aiuti potrei…”

La guardo, non sono sorpreso, so che tutto questo ha attinenza con il ciuccio, l’idea fetale e la sua ombra, collegamento scontato ma comunque interessante, potrebbe essere una trappola ma in tal caso è già stata prevista e saprò comunque cavarmela, ciuccio o non ciuccio.

Riprendo il discorso: “È vero, tu potresti averlo e in tal caso lo scambio potrebbe interessarmi però mi devi dire la verità perché fin’ora hai mentito su tutto.”

La giornalista rimane un attimo a guardarmi con occhi incerti poi si decide e con un gesto di sfida si toglie la parrucca dalla testa scoprendo un cranio completamente pelato, si mette a piangere e tra i singhiozzi dice: “Lo vedi come sono ridotta? Tutta scena…e la chemioterapia, sono malata di cancro, è un anno, ho visto morire uno che ce l’aveva come me… sono disperata… sono… la medicina non può far nulla… mi hanno consigliato gli spiritisti… si dice che qualcuno è guarito, io… non so più che fare, ho paura, aiutami…”

La notizia non mi sorprende, cerco di non farmi impietosire e rispondo: “Questa è la vita, son cose che capitano ma… sei sicura? Ci sono un sacco di medici in giro e tutti vogliono farsi la villa al mare e lasciare grosse eredità ai figli, un malato di cancro rende un sacco di soldi, ho visto come funziona questa cosa e non mi interessa, non sono affari miei, potresti essere vittima del sistema ed in realtà non avere assolutamente nulla.”

Lei smette di piangere e con voce imbronciata replica: “Sapevo che avresti detto così, è assurdo, non può essere, tu non sei pratico di malati, non ti sei mai interessato e non puoi essere certo.”

Il coltello agita la piaga mentre dico: “Può essere, tu mi hai chiesto aiuto e ti ho detto quello che ho visto, il corpo umano è una macchina perfetta, qualsiasi organismo estraneo si introduca al suo interno viene immediatamente attaccato e distrutto dagli anticorpi naturali prodotti dall’organismo. Se i tumori si sviluppano vuol dire che c’è qualcosa che impedisce al sistema immunitario di riconoscerli e attaccarli e questa cosa può essere solo le medicine che vengono prese per curare le malattie. Un sistema spietato e non ci voglio mettere lingua, è un porcile ed evidentemente tu tra i maiali destinati a diventar salami non fai eccezione. Non posso fare nulla per aiutarti se non dirti quello che farei se mi dicessero di avere un cancro… tirerei avanti senza medicine fin quando posso e poi… a terra la coppa.”

Lei si fa attenta, si asciuga le lacrime, si rimette la parrucca e dopo essersi leccata ben bene le labbra dice: “Intanto la gente muore e le sofferenze sono atroci, se fosse vero quello che dici sarebbe… però ci sono altre campane che la raccontano diverso, io non so che fare, in Brasile parlano di trasmissione del male da parte di spiriti malvagi, non sono superstiziosa e neppure ignorante, a queste cose non volevo credere ma… tu… ad esempio, da qualche mese non stai bene, hai problemi di stomaco, i polmoni, hai smesso di fumare… si, ho capito quello che faresti però…” mi guarda fisso e continua: “Sono gli stessi sintomi che sono venuti a me, cerca di capire, potrebbero…”

 La cosa sta nelle probabilità. Mi faccio attento e ribatto: “Vorresti dire il me dei tuoi sogni?”

“Esatto, tu non ci crederai ma io, una volta, tu… forse un giorno te lo racconto, la vita è davvero buffa ma adesso stai a sentire quello che ho pensato: se posso trasmetterti il male nello stesso modo qualcuno potrebbe trasmetterlo a me e se scoprissimo chi è sarebbe un bene per entrambi.”

“In tal caso che potrei fare? L’autoscrittura non mi fa più effetto e gli spiriti che venivano nelle sedute che facevo non erano altro che un riflesso di quello che avevo visto fare a chi mi aveva trasmesso la medianità.”

 “Va bene, questo lo so, però conosco una medium che potrebbe interrogare gli spiriti per noi, io mi intendo poco di spiriti e devo confessare che la cosa mi spaventa ma se a queste sedute venissi anche tu mi sentirei molto più sicura e forse tu potresti capire cose che per me sarebbe impossibile. Non dire che è ciarlataneria senza prima aver provato, sarebbe un pregiudizio, che ne dici?”

 

Il ciuccio! Lo so che mi ciuccerei, l’abbrancherei ben stretta coi denti e poi morderei a sangue… fantasie, dopo tanti libri, la forma di parole che si muovono su una pagina, allora sì, l’identità, in filosofia la formula è applicata all’identità di Fichte, gli opposti tesi e antitesi si identificano in mezzo annullandosi, come in algebra tra meno uno e più uno in mezzo c’è lo zero, sono sempre due ma lo zero li annulla, come se fossero la stessa cosa, come dire tra un gatto e un cane sono rimasti un gatto e un cane ma non hanno più nome, a questo punto interviene Kant e li rinomina con un giudizio a priori, la cosa è puramente nominale e funziona, il gatto è nominato cattivo e automaticamente il cane, senza nominazione, prende la forma di buono, la forma di Dio.

Senza ciuccio, andiamo avanti, questo Dio, l’ombra gemellare abbracciata nella placenta, nella realtà un bel ciuccio, possibile che tutto questo dibattito filosofico sia avvenuto esclusivamente in Germania? Un povero diavolo che conosce solo l’italiano e qualche parola d’inglese come fa ad accertare che abbiano detto proprio così? Vatti a fidare di Abbagnano e delle traduzioni, gli scrittori sono tutti pacchisti, scrivono quello che vogliono, sono loro che comandano, è con le parole che si detta legge, va be’, chissenefrega, il filosofo si deve limitare a capire il sillogismo, cioè lo strumento di logica, dopodiché non ha più alcuna importanza sapere quel che ha detto Caio o Tizio o Sempronio perché si può vedere la cosa com’è con i propri occhi. Nell’Identità di Fichte il nome è forma, la logica del nominalismo, il nichilismo da cui si sviluppa l’angoscia esistenziale di Kierkegaard e Schopenhauer ed il superuomo di  Nietzsche che sono alla base della mentalità contemporanea, esattamente la tesi che portammo quarant’anni fa all’esame di maturità.

L’equivoco nasce dalla interpretazione dottrinale che viene data alla metafisica di Aristotele intesa come una trascendenza della natura o della realtà, logica che rende probabili fenomeni come la magia, lo spiritismo e la religione. Applicando il sillogismo di Aristotele, il nome non è forma, si vede che la fisica non è metafisica, cioè la natura non sono i nomi o il linguaggio usati per classificarla.

Natura e linguaggio sono due cose distinte.

Per Hegel i due estremi sono la parte e l’universale, in mezzo c’è l’idea zero da realizzare, l’idea si specchia nell’universale, ogni parte che lo compone manda l’informazione ed il feto si plasma a sua immagine, a questo punto l’ombra gemellare abbracciata è tutto l’universale, una conchiglia che rinchiude la perla? L’abbraccio è stretto, soffocante, un’infinità di corpi che non lasciano spiraglio alcuno, il feto è negato a priori ed automaticamente l’ombra prende forma…un’ombra nominale, è solo nel linguaggio, i corpi si adeguano come fanno i computer al programma che gli viene inserito.

Questo il punto, una macchina! Qualsiasi giudizio sarebbe fuori luogo, si guarda e non si tocca, si vede un porcile, i maiali si assiepano a leccare le mani del porcaro che li nutre, non importa se molti finiscono appesi come salami, il porcile è l’universale, la specie e solo la specie conta, l’individuo e nulla, è negato a priori, tanto più che i parenti ereditano e sono anche contenti.

Un lungo cammino per imparare a non giudicare, a proposito, la giornalista si chiama Lilli, la sto aspettando, dovrebbe essere qui a minuti, mi passa a prendere con la macchina, dobbiamo andare a Bra, una cittadina vicino a Torino, da una medium di sua conoscenza. La cosa mi diverte, ecco, il campanello alla porta suona, è arrivata. 

 

Scendendo le scale penso sempre al ciuccio, probabile mania ereditata, forse ha a che fare con i sogni, qualcosa che si ciuccia e che fa sognare, una droga naturale prodotta dalla madre per tenere calmo il feto, il senso di claustrofobia, come stare pressato in un torchio spremendo arte come succo vitale, chi lo sa?

Un bel mattino di maggio, l’aria è tiepida, il sole acceso in un cielo intensamente azzurro spazzato dal vento, sulla strada le macchine vanno e vengono strombazzando ai commenti dei passanti sui marciapiedi, sul viale i platani dalle foglie argentate brulicano di passeri cinguettanti, più sotto scorre pigro il Po.

Lilli mi aspetta sulla macchina, una golf cabrio scappottata, come mi vede apre la portiera e mi fa salire. È vestita casual con un pullover giallo scollato senza camicia che le risalta i seni, scarpe nere dai tacchi alti e jeans aderenti forse anche troppo che paiono fatti stare a forza.

Un foulard rosso le copre la testa, gli occhi finemente truccati ed un rossetto acceso sulle labbra, sembra ringiovanita. Partiamo, dopo un po’ imbocchiamo l’autostrada e intanto parliamo.

“Perché proprio a Bra?” le chiedo:

“La medium abita lì.” Risponde lei dopo essersi leccata le labbra. “Me l’ha consigliata un esperto di spiritismo che ho conosciuto in televisione in questi giorni, dice che è molto potente e che vengono anche dall’estero per consultarla. Mi sono fatto dare una settimana di permesso, nessuno sa che sono qui, se sapessero…”

“Che ti frega?”

“Tu parli ma non sai, un malato di cancro è una cosa, tutti ti guardano in un modo che sembra che si debba morire da un momento all’altro, non è più come prima, nessuno dice niente ma si sente, è terribile. Se sapessero che mi sono rivolta ad una medium e poi proprio con te, alla televisione non fanno che sparlare di te, credo che mi caccerebbero via, ma forse non ce ne sarà bisogno perché me ne andrò da me, la situazione è diventata insopportabile, li prenderei tutti a schiaffi da tanto sono odiosi, fino all’altro giorno leccavano per terra ovunque passassi ed adesso mi guardano con pietà.”

“Malata non è ancora detto, se il male è trasmesso stai avvertendo solo gli effetti, la causa deve essere altrove.”

“Può essere, intanto non ho più fatto la chemioterapia, mi sentivo proprio ridicola, forse hai ragione tu, se si deve morire è meglio farlo in piedi che tagliati un pezzo alla volta sui tavoli operatori.”

In quel momento una macchina ci sorpassa strombazzando a tutta velocità seguita da una pantera della polizia che la tallona a sirene spiegate, li guardiamo fin quando scompaiono dietro ad una curva in lontananza e dico: “La vita, chi scappa e chi insegue, una giungla. I malati terminali sono guardati con pietà, chissà quanti moriranno oggi per i più svariati motivi che non sono malati, il potere delle parole, tu sei una giornalista, dovresti conoscerlo bene.”

“Giornalista, che credi che sia? In televisione la maggior parte di noi non fa altro che leggere notizie scritte da altri, dispacci d’agenzia, ghiribizzi del direttore… ecco, mi fai dire cose che… comunque non ci voglio pensare, non sei curioso di sapere il programma che ho preparato? Se devo essere sincera sono proprio contenta di passare un po’ di tempo con te. Ho prenotato in un agriturismo  sulle Langhe dove ho sentito che si mangia benissimo, un vecchio castello riattato ad  albergo ristorante ed ho in mente cose folli.”

“Stai correndo, non dimenticare che stiamo andando ad una seduta spiritica e non sai quello che succederà.”

“Che vuol dire?”

“Non è facile da spiegare, potresti deprimerti, o spaventarti, durante le sedute che facevo ricordo di persone possedute dagli spiriti che poi stavano giorni nell’abulia, può capitare di tutto, meglio non fare programmi…”

“E allora? Ci sei tu ad aiutarmi, non avrò paura di nulla.”

“Parole, è meglio che ti disilludi subito.”

“Che vuol dire?”

“Vuol dire che l’autore non è pagato a parola e ci tiene ad essere conciso ed a non farsi prendere dai capricci di un’oca.”

“Vuoi che ti gonfi la faccia? Guarda che lo faccio, parla chiaro.”

“L’autore non fa letteratura, le storie banali son capaci di scriverle tutti, questo è il Canone, la suprema forma della filosofia, le parole si sviluppano dalla causa all’effetto come note musicali su un pentagramma ideale seguendo le direzioni della ricerca, noi non siamo ne lo scrittore ne la giornalista, la nostra forma è data dalle parole che si evolvono sulla pagina e non dobbiamo assolutamente identificarci con loro. Professionalità assoluta… gli eventi maturano logicamente, senza pietà.”

Per circa un chilometro rimaniamo in silenzio, procediamo sui cento all’ora ovattati nella cupola del vento rimbalzata dai finestrini, il foulard rosso sventola intorno al suo viso come una bandiera di fuoco, gli occhi le si sono accesi ed ha imbronciato le labbra, è proprio carina, dopo la curva rallenta di colpo, sull’altra corsia la macchina inseguita è capovolta sulla strada in preda alle fiamme con una lunga colonna di fumo nero che si alza verso il cielo, prima di capovolgersi deve aver battuto contro il guard rail e poi contro un camion che procedeva in senso inverso, le lamiere sono accartocciate e dai finestrini sfondati si intravvedono corpi inerti e insanguinati tra le fiamme.

Il traffico sull’altra corsia è bloccato, l’auto della polizia è ferma poco distante, i poliziotti sono fuori insieme ad un capannello di gente che si sta radunando a guardare ma nessuno osa avvicinarsi, da lontano, confusi con il crepitare delle fiamme, si sentono sirene avvicinarsi a tutta velocità.

Lilli rallenta e accosta sulla corsia di emergenza per fermarsi proprio a lato della macchina incendiata.

“Che fai, accelera e andiamo via!” le dico di getto.

“Perché, fammi vedere, non dimenticare che sono una giornalista, potrebbe essere importante.”

“Storie, non sono affari nostri e c’è già abbastanza gente, andiamocene!”

Rimane un attimo esitante come a discutere dentro di lei poi pigia sull’acceleratore e riparte sussurrando un’imprecazione tra le labbra strette.

Pochi secondi dopo la macchina capovolta esplode ed una valanga di fuoco e lamiere arroventate investe il punto dove si voleva fermare, alcuni pezzi sembrano seguirci rotolandoci dietro fumanti sulla strada.

Senza guardare altro Lilli  spinge a tutto gas, passiamo una curva, la colonna d’auto ferma sull’altra corsia e dopo un’ennesima curva tutto torna alla normalità. Lilli si ferma su uno spiazzo e rimane qualche secondo in silenzio tremando a occhi sbarrati. Singhiozzando dice: “Dovrei essere abituata col mestiere che faccio ma…che può essere successo?”

“Chi lo sa? Forse sono gli spiriti che non vogliono che andiamo a disturbarli. Te l’avevo detto che le sedute spiritiche non sono uno scherzo.”

Lei medita un attimo sulle parole poi scende dalla macchina e dice: “Sono troppo agitata, guida tu!”

Riprendiamo il viaggio, Lilli dopo un attimo di esitazione mi stringe le braccia al collo e rimane così, in silenzio, fin quando arriviamo al casello di Bra.

 

Quasi mezzogiorno, il vento è aumentato, soffia forte facendo gemere gli alberi sul ciglio della strada sollevando qua e là polveroni di  nulla.  L’idea si sta aprendo e nella visuale ancora vaga si cominciano a vedere i primi collegamenti.

Pagato il pedaggio Lilli tira fuori una cartina dalla borsa e dice: “È quasi mezzogiorno,  l’appuntamento con la medium è per questa sera alle ventuno, adesso direi di andare all’albergo per sistemare le cose e pranzare.”  Senza aspettare risposta, leggendo la mappa, continua: “Dopo il casello bisogna prendere in direzione della Morra, salire e prima del paese deviare per un sentiero che porta al castello, ci sono le indicazioni sulla strada ben chiare. So che sei pratico di questi posti.”

“Sì, ” confermo,  “ci sono stato molte volte anche se sono passati anni. Dev’essere una Shell!”

“Che cosa stai dicendo?”

“Oh, nulla…parlavo tra me, credo di aver capito, la placenta che racchiude il feto, dev’essere una Shell, come nei computer, una maschera, la facciata con cui il sistema operativo si presenta sullo schermo, in questo caso si tratta di un vero e proprio guscio che isola il programma dal sistema creando una specie di lazzaretto, qualcosa del genere, come il cestino di Windows.”

“Non capisco!” sbotta Lilli irritata.

“Non importa.” Avvio la macchina, esco dall’autostrada e prendo in direzione della Morra.

Lilli schiaccia un bottone facendo alzare la capote e dice: “Che ventaccio…chiudo, non vorrei prendermi qualche malanno, sono già ben messa così…” mi guarda e continua: “Che cosa ti sta succedendo? Hai due occhi che…”

La guardo, mi avvicino e le schiocco un sonoro bacio su una guancia. “Ho capito tutto!” Esclamo.

Lei accarezza il bacio e dice: “Sapevo già che sei matto quindi non mi stupisco, che cosa hai capito?”

Sarebbe troppo lungo da raccontare ma credo che sia proprio quello che stiamo facendo, si tratta di avere pazienza.”

“Se lo dici tu, pazienza…”

“Sì, la pazienza è immobile, un punto fermo che guarda scorrere il fiume…adesso è tutto chiaro, il messaggio, l’informazione è nella filosofia, anche se provassi a spiegarti non capiresti, solo un filosofo, uno con una grande cultura lo può fare…il messaggio è tramandato nei secoli parallelamente alle varie correnti filosofiche che si sono succedute, le Omeomerie, gli Atomi, le Monadi e… i Quanti, i Bit…ma sono chiamate anche in altri modi, le idee di Platone, le intenzioni degli scolastici, i noumeni di Kant…ho appena aperto l’intuizione, per il momento è ancora tutto confuso, la materia è immensa ma comunque riuscirò a contenerla, ormai ce l’ho in pugno.”

“E questo cosa centra con noi?”

“Centra eccome! Il cancro potrebbe essere un’idea rinchiusa in una conchiglia che la isola dall’organismo, per questo non viene attaccata dagli anticorpi, ma il discorso vale anche per i pensieri, i ricordi, le intenzioni trattenute, in filosofia sono state scritte milioni di pagine sull’argomento, ricordi di morti che vivono nell’immaginario collettivo tramandati di generazione in generazione che si possono incarnare prendendo il controllo del comportamento delle persone che occupano, come i dibbuk degli ebrei, il cancro potrebbe essere qualcosa del genere, le malattie, il mito ne è pieno, i rimorsi i pentimenti…e ci deve essere un ciuccio…” Mi fermo, riprendo il controllo e continuo: “Comunque qualsiasi parola sarebbe inutile e non dimostrerebbe niente, lasciamo che sia la storia a farlo, quest’avventura sta diventando interessante, lo vedremo coi nostri occhi com’è.”

Lilli si stira allungandosi sul sedile, sbadiglia e dice: “In televisione di intellettuali ne ho conosciuti tanti ma tu li batti tutti, la filosofia l’ho studiata al liceo e non ricordo assolutamente nulla o quasi, comunque le tue chiacchiere mi han messo appetito e inoltre me la sto facendo addosso, sbrighiamoci ad arrivare.”

“Ci siamo quasi, se vuoi laggiù c’è un paese, ci possiamo fermare in un bar.”

“Perché no?”

Poco prima del paese il traffico è bloccato da una mandria di vacche che sta attraversando la strada. Si sentono clacson suonare, lo scalpiccio degli zoccoli sull’asfalto e muggiti sonori il tutto ovattato dai sibili del vento. Poco distante sulla destra in una radura cintata da radi alberi la maggior parte dei quali secchi e scheletrici c’è un accampamento di zingari con diverse roulotte posteggiate con nugoli di bambini scalzi e cenciosi che giocano schiamazzando tra le immondizie. Una zingara con un bambino in braccio sta facendo il giro delle macchine con la mano tesa, passando da noi Lilli prende una manciata di monete e gliele dà. La zingara la benedice con occhi spenti  poi  prosegue la sua questua.  

“Povera…” dice Lilli guardandola nello specchietto sulla portiera,  “tu…quando ho letto quel libro dove mi paragonavi ad una zingara che chiedeva l’elemosina in televisione…non so, è da allora che ho cominciato a sentirmi male, credevo…queste cose ci vengono imposte, credevo di fare una cosa ben fatta, umanitaria, tu invece, mi hai sconvolta, o forse svegliata…”

“Le tue sono scuse!”

“Se parli così vuol dire che non ti ho ancora preso a schiaffi!”

“Prova a farlo, ti faccio fare il giro del mondo a calci nel culo!”

“Spiritoso…”

“Sei un’oca, una bella oca grassa pronta per finire in pentola, quando sei venuta ho subito capito cosa volevi veramente, non so come hai fatto ad appiccicarti ma comunque adesso siamo in gioco e giochiamo.”

Le mucche finiscono di attraversare la strada ed il traffico riprende a scorrere. Entriamo nel paese, fermo la macchina nel piazzale della stazione e scendiamo. Sul percorso verso il bar passiamo vicino ad un’edicola, tra le locandine esposte ce n’è una bella grande raffigurante William e Cate con il bambino in braccio sullo sfondo di un castello. Davanti, in bella vista, un tavolo con sopra un piattino dorato colmo di monetine.

“Quelli si che se la fanno bene.” commenta Lilli guardandoli.

“Il potere delle immagini, non vedi la Shell?”

“Quale Shell?” chiede lei ridendo.

Entriamo nel bar, aspetto che finisca nel bagno, poi prendiamo l’aperitivo. Ad un lato del bancone c’è una cassetta per le offerte sul cancro con appiccicata un’immagine di padre Pio. Lilli la vede, si rabbuia e prima di uscire ci butta dentro una manciata di monete. Torniamo alla macchina per salire alla Morra. Poco prima del paese imbocchiamo la deviazione per l’agriturismo e finalmente arriviamo.   

                                Ingresso:     Al paradiso.

Una grande costruzione merlata in mattoni rossi scoperti, quadrata, al centro una torre con la guglia gotica. Vista nell’insieme la figura sembra quella di un missile in una rampa di lancio. Tra le mura ricoperte d’edera verde argentata si aprono grandi finestre dietro alle quali, nel riverbero dei vetri, si intravvedono saloni e camere addobbati in stile medievale. Il giardino tutto intorno è ricoperto di fiori ed alberi con un pergolato d’uva che fa da cinta. Una fontana sprizza allegra tra le folate di vento di fronte al portone centrale.

Al posteggio ci viene incontro una bella ragazza bionda, florida e giovane dal seno prosperoso vestita con un grembiule da cucina che sembra una sottoveste sexy ricoperta di pizzi,  accompagnata da un inserviente. Mentre questo prende le valige di Lilli dal cofano la ragazza, con una voce fluente e fresca come un torrente di montagna, dice: “Benvenuti, siete arrivati giusto in tempo, il pranzo è quasi pronto.” Si rivolge a Lilli e continua: “Le ho fatto preparare la camera come ha chiesto, non ho parlato con nessuno del suo arrivo, potrà stare in tutta tranquillità.” Si rivolge a me e chiede, con voce civettuola e ridente: “Lei è il marito? La facevo più vecchio, non credevo fosse così carino…”

Lilli la interrompe aspra: “Mio marito è morto, non ha letto i giornali! Lui è un amico! Si faccia gli affari suoi!”

“Ah! Morto? Va be’…” ribatte la bionda incredula, poi cambia tono e con voce professionale dice: “Venite, vi accompagno, è tutto pronto.”

Sulle scale che portano alla nostra camera seguendo gli sculettamenti provocanti della bionda Lilli dice: “Credo di aver capito i tuoi sistemi, quella ragazza è proprio odiosa, se continua così le…”

La interrompo: “Non mi dirai che sei gelosa come una qualsiasi portinaia di condominio?”            

 

 
Saliamo un piano dello scalone che porta alla torre poi percorriamo un breve corridoio spazioso addobbato con arazzi e stemmi araldici raffiguranti blasoni delle Langhe e armature complete di antichi cavalieri. Per curiosità busso con le nocche su una. Dentro risponde un cupo rumore di vuoto.

La bionda ci fa entrare da una porta di legno intarsiato a figure di grifoni in una suite composta da un salottino, una camera con letto matrimoniale ed un bagno. L’arredamento è caldo ed essenziale, sembra un nido per piccoli borghesi in viaggio di nozze.

Lilli con occhi infuriati prende una borsa da una valigia e si va a chiudere in bagno. La bionda  si mette di fronte ad una finestra del salotto e scosta le tende. La luce del giorno la avvolge accentuando le trasparenze del grembiule sottoveste che indossa mettendo in evidenza le nudità piccanti del suo corpo facendole apparire come aureolate. Dice: “Guardi il panorama com’è bello, da qui si può vedere fino ad Alba e nelle giornate più belle anche oltre. Questo è il posto ideale per un artista, se la prova non vorrà staccarsene più.”

La proposta è allettante, faccio per rispondere ma vengo anticipato da un rumore di vetri infranti che proviene dal bagno. La figura si evolve, la bionda scoppia a ridere mettendo in risalto il biancore dei suoi denti coi canini accentuati come una tigre e continua: “Fate con comodo, quando siete pronti potete scendere per  pranzare. Preferite farlo nella sala comune o in una stanza appartata?”

Incantato dal suo sguardo divorante rispondo: “Per il momento appartata, poi si vedrà.”

“Come desidera.” La bionda, con mosse feline, esce e chiude la porta.

Subito dopo si sente la voce di Lilli strillare: “Me ne voglio andare da qui, immediatamente!”

Provo ad aprire la porta del bagno ma è chiusa a chiave. Comportamento scontato. Medito la situazione calcolando l’esperienza e rispondo: “Va bene, come vuoi, chiamo per far portare giù le valigie.”

Dopo qualche secondo la porta si apre ed appare Lilli, pallida e stralunata. “Aspetta, ” dice,  “sto male, mi è prese un attacco, mi sento morire.”

La prendo in braccio e la corico sul letto: “Cosa ti senti?”

Lei piagnucolando come una bambina risponde. “Lo stomaco brucia e i polmoni, non riesco a respirare, sto morendo, lo so…”

“Aspetta, sono le stesse cose che vengono a me, cerca di rilassarti, non pensare alla gelosia.”

“Quale gelosia?” chiede lei acida.

Le sbottono i pantaloni e rispondo: “Se fossimo nella realtà potrei capire ma qui siamo solo parole che si evolvono su una pagina, il tuo comportamento è scontato, qualsiasi idiota potrebbe menarti dove vuole, dimostri un’assoluta mancanza di professionalità.”

Detto questo le sfilo i pantaloni poi le sollevo la maglia e le massaggio il ventre. Ha mutandine rosa trasparenti bordate di pizzo tese sulla vulva gonfia e depilata. Le gambe sono abbronzate solcate da cuscinetti e smagliature.”

Lei chiude gli occhi e dice: “Siamo solo parole, ho capito ma non ci posso fare niente, sono fatta così.”

Continuo con voce suadente come un serpe tentatore: “Il tuo è un caso banale comune a miliardi di donne, se vuoi essere unica ne devi venir fuori, la causa ha la forma di un effetto la cui causa è precedente nel tempo, concentrati sul male, il male è adesso, apri i polmoni e respira.”

Lei, ad occhi chiusi, inizia ad allungare la respirazione prima contratta, ne approfitto per sfilarle la maglia, poi il reggiseno e le mutandine. I seni sono mollicci un poco piagati coi capezzoli tesi per l’eccitazione, la vulva umida leggermente aperta, il ventre e l’apice delle cosce solcati da una finissima rete di rughe. Data l’età non si può pretendere, continuando a massaggiarle il ventre le bacio i capezzoli poi scendo piano piano facendo scorrere la lingua sulla pelle e le apro le labbra della vagina succhiando stretto il clitoride. Sento un acre sapore di orina poi un’ondata di gusto femmineo salato e piccante mi travolge. Per un attimo rimango concentrato sul ciuccio, faccio scorrere l’attimo fin quando sento la sua eccitazione avvolgerle il corpo di elettricità e mi fermo.

“Come prima seduta basta così, ” dico: “Ora analizziamo i fatti.”

“Quali fatti? Chissenefrega, viene qui, continua…” mugola lei stringendomi i capelli con una mano.”

“Siamo solo parole, non capisci? È un errore lasciarsi trasportare, torna in te.”

Lei rimane qualche secondo a  mugolare ad occhi chiusi poi li apre e dice: “Va bene, ho capito, mi fai sentire una scolaretta, non avrei mai immaginato che tu fossi così.”

“Immaginare chi?” le chiedo,  “nulla, qualsiasi idea toglila dalla testa, per continuare bisogna svuotare il cassetto ma…non sei obbligata, se preferisci puoi morire di cancro.”

“Spiritoso…andiamo avanti, preferisco farmela leccare da te.”

“Questo è comprensibile, allora, dall’inizio. Il canone sviluppa delle figure che poi vanno interpretate o meglio calcolate con le probabilità. La questione si può guardare su diversi livelli, aspetti ed angolazioni ma noi restiamo legati all’evidenza del racconto. Il problema da risolvere è il cancro, la figura da calcolare è la Shell, il guscio che lo maschera rendendolo irriconoscibile al sistema immunitario dell’organismo. Ora abbiamo abbastanza elementi per fare il confronto perché la Shell in questione sei tu.”

“Come sarebbe sono io? Ti sembro una conchiglia?”

“La figura è quella, nessun commento se vogliamo continuare. Il cancro è un fenomeno naturale, ogni fenomeno è una parte di universale che cresce da zero ad un limite finale tot che può variare secondo i casi. Per non essere riconosciuto dagli anticorpi si deve mascherare tale da apparire identico a loro. La probabilità è che un anticorpo “tradisca” e passi dalla parte del cancro fornendogli la copertura. A questo punto la malattia inizia a crescere e cresce fin quando la copertura non è più in grado di contenerlo, la Shell esplode come una bolla di sapone. A questo punto gli anticorpi lo vedono e lo attaccano ma ormai è troppo tardi, il malato in pratica viene mangiato vivo internamente dalle proprie difese immunitarie, il dolore dev’essere atroce.

Questo è quello che si vede dall’analisi della tua figura,  è probabile che il fenomeno lo si possa studiare anche seguendo i processi informatici ma questo non è il mio mestiere. È ovvio che se si potesse riconoscere per tempo il “traditore” e le cause che lo producono il cancro sarebbe debellato ma non credo che la cosa piaccia ai medici che ci lucrano sopra.”

Lilli si è fatta attenta, rimane qualche secondo ad osservare le tende alla finestra socchiusa muoversi per il vento e dice: “Ho capito ma c’è qualcosa in me che si rifiuta di capire, in questo caso…sarei io a tradire!”

 “Esatto, non ti formalizzare sulle parole, la causa ha la forma di un effetto la cui causa è precedente nel tempo quindi tu, come effetto, non sapevi di tradire. La causa del tradimento può essere apparente come la gelosia ma anche la gelosia è un effetto e la causa va ricercata indietro nel tempo, nell’intelligenza che la rende probabile. Hai detto di aver letto tutti i miei libri quindi non ti saranno sfuggite le panoramiche sulla società preumana.”

“Ho capito, forse è vero che sono oca ma non sono scema, continua.”

“Tutte le tipologie che formavano tale società, dai cercatori all’uccello arlecchino rivestivano il proprio corpo completamente con una maschera che forniva loro l’intelligenza della specie, diversamente venivano divorati vivi. La figura è canonica, l’espressione di un macrocosmo che rispecchiava il microcosmo dell’apparato digerente delle diverse tipologie. Da questo si può costruire la figura degli anticorpi che formano l’apparato immunitario cioè un nucleo di cibo rivestito da una Shell che gli dà l’intelligenza, cioè la regola di comportamento nell’ambito della specie. Nel macrocosmo preumano non esisteva nessuna forma di gelosia ma poteva avvenire che determinati elementi cambiassero il proprio stato come nel caso delle sfigate che finivano sottoterra ad occuparsi delle cantine. Può essere avvenuto qualcosa del genere, qualcosa che ti ha sfigata e fatta cambiare stato, una cosa di cui ti vergognavi e che hai coperto con la scusante della gelosia. La cosa non è successa solo a te, certe figure sono state preparate in anticipo per il transfert del me, c’è una logica evidente ma nel canone non esiste bene e male, ogni cosa è collocata con perfezione assoluta quindi qualsiasi cosa ti sia successa è successa perché così doveva essere. La questione alza il livello nel macrocosmo a cui la tua popolarità fornisce la copertura, cioè al mondo dei giornalisti, al sistema di potere che fornisce l’intelligenza al  cancro che sta divorando la società. Inoltre ci deve essere un collegamento con il bilinguismo dell’Alto Adige dove tu fai da trait d’union tra la lingua italiana e quella tedesca. Questo è da sviluppare e lo vedremo nell’evolversi della storia, nella figura sei una malata terminale, questo significa che la Shell sta per saltare e la conseguenza sarà la morte del corpo sociale, la questione va ponderata con molta cautela.”

“In cosa consiste il mio tradimento?”

“Questo non si può spiegare, tu non lo sai di tradire, lo devi capire da sola.  Adesso come ti senti?”

“Non lo so, Shell o non Shell, that’s the question.”

“Bella risposta, che ne dici di andare a pranzare?”

“Per vedere quella baldracca che te lo mena?”

“Siamo solo parole, qui non esiste gelosia, perfezione assoluta.”

“Proverò.  

 

Parole su e giù dalla scala, sembra una regola generale di cui il cancro è parte qualsiasi, sapere non sapere la differenza in mezzo a due ruote che girano una su una giù per stare sempre fermo. La placenta stringe, voglia di scoppiare ma intorno, nelle trasparenze dei veli si vedono mostri affamati in attesa, come un cancro proprio, uscire è il dilemma, per fortuna la natura non conosce indugi ed il suo corso scorre ignaro di questo e di quello. Lilli si mette un braccialetto alla caviglia, slip,  reggiseno, indossa un vestitino di cotone a fiori di cotone leggero attillato e un foulard argentato con striature di lamè sulla testa rasata poi infila un paio di sandali coi tacchetti ai piedi.”

“Non ti sei portato niente.” Dice,  “terrai sempre quel vestito?”

“Non porto mai nulla con me, di solito mi vesto per strada e non metto mai due volte le stesse cose. Approfittane. Oggi farò un salto in paese a comprare qualcosa.”

“Ti viene a costare un capitale…che vuol dire approfittane?”

“Nulla, sei pronta? Stiamo facendo troppe chiacchiere, scendiamo.”

In fondo allo scalone un cameriere negro, giovane col corpo atletico, alto, con pantaloni e camicia color écru aderenti sulla muscolatura possente, i capelli corti ed arricciati tinti di giallo, il viso sensuale con labbra pronunciate, occhi grandi e languidi e un vistoso pacco compresso tra le gambe ci viene incontro e ci accompagna in una saletta facendoci accomodare. Con voce morbida dall’inflessione inglese ci elenca il menù, scegliamo antipasto della casa, agnolotti con funghi e poi tutta una serie di pasticci di carne cucinati in svariati modi ed accompagnati con salse a base di funghi e tartufi. Se ne va con l’ordinazione e subito dopo arriva un bellimbusto vestito elegante con giacca e cravatta a chiedere per il vino. Per iniziare ci consiglia un barbaresco giovane e brioso, accettiamo e dopo pochi secondi  ce lo porta su un carrello. Con apparente mestiere stappa una bottiglia super etichettata e ci riempie i bicchieri.

Nell’aria si alza un profumo di tappo da far venire il voltastomaco.

“Porto il bicchiere alle narici e lo poso subito disgustato. “Questo vino sa di tappo!” gli dico,  “non lo sente?”

Il cameriere fa l’aria stupita e ribatte: “Come sarebbe sa di tappo?”

Si versa un goccio in un bicchiere nel carrello, lo annusa, inarca le sopracciglia, mi guarda e dice: “Non sento niente, è quello che bevono tutti, non capisco.”

“Sa di tappo, se non lo sente vuol dire che non capisce niente di vino.”

“Come si permette?” mio padre è il maggior produttore di vino della zona, questo vino è suo, lo esportiamo in tutto il mondo. Va bene, vado a prendere un'altra bottiglia.

Ritira i bicchieri ed esce borbottando col carrello.

Lilli dice: “A me sembrava buono, sei sicuro?”

“In fatto di vino ho un palato unico al mondo, ne so riconoscere moltissimi solo dal profumo… però, è vero, dimenticavo in che tempi viviamo, vediamo che cosa ci porta adesso.”

Il bellimbusto torna con un'altra bottiglia identica, la apre e avverto subito il tanfo di tappo. Lo lascio riempire i bicchieri senza dir nulla e lui chiede: “Allora?”

“Lei lo trova buono?”

“Insomma, fin’ora nessuno si è mai lamentato!”

Annuso il bicchiere, storco il naso e dico: “Va bene, lo lasci, se ne vada.”

“Eh no!” sbotta quello,  “non vorrà dire che anche questo sa di tappo?”

“Si sente lontano un chilometro, non avete un vino sciolto, che so? Un nebbiolo del Roero, anche un dolcetto va bene, purchè non sappia di tappo!”

Il cameriere diventa rosso, fa per ribattere, si trattiene, guarda Lilli poi esce a passi veloci bestemmiando in dialetto.

Lilli annusa il vino nel suo bicchiere, ne assaggia un goccio e dice: “Di vino ci capisco poco, di solito bevo prosecco delle mie parti e lo faccio raramente perché fa ingrassare, in effetti ha un gusto strano ma è la prima volta che assaggio il barbaresco e non saprei proprio giudicarlo.”

“Il gusto di tappo è inconfondibile, sono vini industriali, non lo bere, rischi di farti venire il mal di testa ed anche peggio.”

Entra la bionda trafelata con un bottiglione tra le mani appoggiato nell’incavo dei seni. Lo posa sul tavolo e dice: “Cos’è successo, mi avete spaventato il cameriere, se ne è andato sbattendo la porta, non l’ho mai visto così.”

“Mi dispiace.” Le dico,  “ma il vino sa di tappo, non ci posso fare niente.”

Lei fa l’aria seria e continua: “Io di vino non mi intendo molto, mio padre era un esperto ma  purtroppo è mancato due anni fa e anche lui diceva che il vino che fa il padre di quel ragazzo non era buono. All’inizio non lo volevo prendere ma il figlio mi stava sempre dietro ed il padre è il sindaco della Morra, una persona importante, mi sono fatta convincere più che altro per non avere guai. Qui da noi serviamo quasi esclusivamente turisti che vengono dalla Germania e dall’Inghilterra, quelli berrebbero qualsiasi cosa purchè faccia ubriacare e non si sono mai lamentati. Guardi, ha detto del Roero, per farmi perdonare sono andata subito in cantina ed ho preso questo dalla riserva che ha lasciato mio padre, forse il pintone non è raffinato ma provi ad assaggiarlo e mi dica com’è.

Mentre stappo il pintone la bionda cambia velocemente i bicchieri, ne verso un goccio, il liquido si sparge mussando brioso e vivace, lo assaggio e rimango deliziato. “Ottimo, ” dico,  “Questo va bene.”

“Allora è fatta!” esclama la bionda,  “Tra un attimo arriverà l’antipasto, in cucina comando io, vedrà, si leccherà le dita.”

“Chissà perché parla solo con te?” ringhia Lilli guardandola uscire.

“Non lo so, devo averla già conosciuta ma non riesco a ricordare dove.”

Riempio i bicchieri e facciamo un brindisi poi arrivano le portate ed iniziamo il pranzo.”

Al  dolce Lilli ha gli occhi lucidi e l’espressione sazia. Il cameriere nero l’attrae, ci scambia battute poi mi guarda di sottecchi sorridendo. Tra una parola e l’altra veniamo a sapere che si chiama Tommy, è di New York e lavora nel ristorante da due anni.

Finisco il budino di amaretti e sento il piede nudo di Lilli palparmi in mezzo alle gambe.

“Che ti prende?” le chiedo.

“Prima stavo morendo, adesso mi sento che sbranerei un leone, tu piuttosto, cos’è quel muso lungo, sei forse geloso?” Beve un sorso e ride.

“Sono in fase di pazienza, non hai letto il canone delle ultime righe? Ho aperto la Shell e dentro…”

Lilli continua: “Sapevo di tappo. Allora? Che cosa ti aspettavi, che cosa ti credevi?”

“Nulla, fammi digerire il me, una banalità simile, si vedono solo maiali, adesso si cambia musica, questa storia, mi sembra d’essere stato con te da una vita, che pizza.”

“Siamo solo parole hai detto, di cosa ti lamenti? Forse l’autore non la penserebbe come te se mi vedesse…”

“Non ti fare illusioni, lui capisce solo la sua libertà ed il modo in cui vive è l’unica libertà possibile data la situazione, in qualsiasi altro modo starebbe peggio, non ci sono alternative tra la vetta e l’abisso.”

“Però che storia…due personaggi di un libro che parlano dell’autore mentre lui scrive, dev’essere come in un teatrino di burattini, un attore che recita più parti, mi sembra che anche Pirandello abbia fatto qualcosa del genere.”

“Può essere, i sei personaggi in cerca di autore, libri ne sono stati scritti tanti ma noi non stiamo cercando l’autore e lui nemmeno sta cercando noi, non so cosa sia, forse è solo noia… si vede una banalità disanimata, un unico comportamento riflesso su miliaia di specchi, ci vuole pazienza, dammi il tempo di ambientarmi, fuori dal bozzolo apro le ali e…” 

 

Entra la bionda effervescente seguita da Tommy che spinge un carrello con sopra una frappose colma di ghiaccio dov’è immersa una bottiglia.

Dice: “Per farmi perdonare l’incidente del vino vorrei offrirvi questo spumante. Lo produceva mio padre mescolando uve delle Langhe ad altre che faceva arrivare da Treviso, ne restano ancora poche bottiglie ma lei dimostra di intendersene di vini e sono certa che non andrà sprecata.”

La estrae, svita la protezione e poi fa saltare il tappo nella stanza. “Evviva!” strilla, mi guarda negli occhi e continua: “Lo so che non è educato ma a me le bottiglie piace farle saltare e poi…” fa il gesto di leccare la spuma che esce, si trattiene ridendo e riempie i calici che nel frattempo Tommy ha posato sul tavolo.

Lilli la guarda con aria di sfida e dice: “Una bella ragazza come lei avrà senz’altro un marito, mi piacerebbe conoscerlo.”

La bionda risponde a getto: “Marito? Fossi matta! Perché avere un marito quando se ne possono avere tutti quelli che si vuole? Le sembro forse una che si sposa solo per il piacere di far cornuto il marito? Fossi matta!”

Lilli accusa il colpo, mi guarda, si trattiene dall’esplodere e dice: “Queste parole sembrano prese da un tuo libro, per caso vi siete messi d’accordo?”

La bionda risponde: “Non se la prenda, sono fatta così, dico sempre le cose senza pensare e poi… succede spesso che le donne sposate che vengono qui all’inizio ce l’abbiano con me ma finisce quasi sempre che diventiamo amiche e molte ritornano a trovarmi da sole. Adesso proporrei un brindisi e poi potremmo discutere il programma per rendere il più piacevole possibile il vostro soggiorno, che ne dite?” 

“Se ci terrà compagnia nel finire la bottiglia.” rispondo.

“Ma certo!” Mette altri due calici sul tavolo, li riempie,  ne passa uno a Tommy poi solleva il suo e strilla: “Questa alla vita, che sia sempre tutta bollicine!”

Facciamo scoccare i bicchieri e beviamo.

La bionda congeda il cameriere e si siede. “Non ci siamo ancora presentati, mi chiamo Circe.” Dice porgendoci la mano.”

La stringe prima a Lilli e poi a me. 

Rimaniamo qualche secondo in silenzio sorseggiando lo spumante e introduco il seguito: “Spero che l’incidente del vino non le procuri noie col sindaco.”

Circe risponde. “Oh, quello, non se ne curi, anche il figlio, se non vorrà più venire mi farà solo un piacere, si danno tante arie e poi…”  si rannuvola, guarda Lilli e continua: “Se non fosse per i programmi come quelli che fa lei, la gente non sa come comportarsi, nella nostra zona le cose sembrano andare ancora bene ma basta uscire da qui, verso Canelli o Nizza che tutto cambia, non c’è quasi più nessuno che fa il vino, i terreni sono incolti, ci sono solo disoccupati, è una tristezza, le persone come il sindaco si sono accaparrate tutta la produzione, son sempre in chiesa a cantare salmi, fanno lavorare romeni che tengono stipati come bestie dentro le roulotte, ne sono arrivati a miliaia, senza contare gli zingari, non fanno che arrivare carovane. Conosco qualche contadino della zona, vorrebbero protestare ma non sanno come fare…” riguarda Lilli e continua: “non fosse per i programmi come i suoi, lei piace alla gente ma…parlate di razzismo senza tener conto dei problemi e del sovraffollamento che si viene a creare e non sapete far altro che suscitare pena e chiedere elemosine come fanno gli zingari…lo so che i bambini fanno pena ma perché ci sono bambini che fanno pena?  a me sembra che il razzismo non centri niente, è la disoccupazione, la miseria…”

Lilli fa per ribattere ma l’interrompo con uno sguardo poi riempio nuovamente i calici e dico: “I problemi sono gravi ma lei non sembra tipo che si preoccupa del domani e oggi, adesso, facciamo un altro brindisi!”

“Oh sì, oggi è oggi, la penso proprio così, mi sembra una buona idea.”

Beviamo. Lilli ha lo sguardo ebbro, acceso, perso e rivolto all’interno dove sembra in discussione con qualcuno o qualcosa tipo un’arena gremita di voci confuse che si fanno sempre più fioche e lontane, Circe invece e lucida, appena un po’ la punta del naso rossa ma non le stona. Gonfia il petto e continua: “Allora, vi dico tutto. Qui da noi se volete si possono fare delle gite guidate per i paesi, ci sono molte cose da vedere, si possono visitare castelli ed altro con ristoranti ed enoteche attrezzati, a pochi chilometri c’è un maneggio ed a richiesta si possono far arrivare i cavalli, ci sono lunghe passeggiate da fare sia a piedi che a cavallo se la cosa vi piace…”

Continua ad elencare le probabilità e arriva al dunque: “In questo periodo abbiamo il tutto esaurito, c’è un gruppo di cantori tedeschi che partecipa ad un festival di canto corale che si sta tenendo ad Alba in questi giorni, nel tempo libero stanno sempre insieme in giro per i paesi a visitare cantine poi arrivano la sera e continuano a bere in giardino giocando a bocce e cantando fino a tardi, tra loro c’è un professore di filosofia in pensione dell’università di Berlino che fa da interprete, parla correttamente l’italiano e l’inglese e quando trova qualcuno con cui attaccare bottone è capace di parlare per giorni interi, poi ci sono gli inglesi, i cottolenghi, in paese li chiamano così per le cose che fanno ma a me sono molto simpatici, c’è un raduno, un meeting come dicono loro, la maggior parte è accampata in un bosco vicino al lago a poca distanza da qui,  solo i più anziani pernottano da me, sono tutti seguaci di una strana religione, dicono di vedere le fate, gli elfi, fanno recite in costume con le storie di re Artù, dicono che questo è un posto magico dove è sepolto il mago Merlino e stanno aspettando che si risvegli, sono quattro anni che vengono, il meeting dura una settimana ed è cominciato proprio oggi, mi hanno eletta la loro grande Madre e l’ultimo giorno mi portano in processione in spalla su un trono fatto di rami intrecciati con mirti e tanti fiori e ad ogni passo liberano colombi bianchi tra canti e danze, è uno spettacolo che sono certa vi piacerà se vorrete partecipare…”

Mentre saliamo la scala che porta alla nostra camera Lilli dice: “Sento come se ci fosse qualcosa che sta cercando di espellermi.”

“Da cosa?” le chiedo.

“Non lo so, non riesco a capire, forse da me stessa, quella ragazza sembra un vulcano, un’esplosione.”

“Siamo solo parole, anche lei…il canone letterario è un ambiente spietato, le figure sono spontanee, Circe potrebbe essere un tuo alter ego, qualcosa che hai sepolto all’interno del tuo essere più profondo ed in questa storia appare in contrasto. Le pagine di oggi servono come introduzione a quel che seguirà, prendi il tutto come uno spettacolo, qualcosa da guardare dal di fuori, senza immedesimarti in nulla.”

Poco prima della porta vengo attratto da uno stemma sopra un’armatura. Tra due torri collegate in alto da un ponte si vede una conchiglia aperta dentro alla quale, come una perla in un’ostrica, c’è una mazza ferrata simile a quei globi rotanti con le lettere sopra che si usavano un tempo nelle macchine da scrivere. Sopra il ponte il motto:

                                                       RES REBUS NON EST 

Lilli si avvicina e dice: “Che ti prende, sembri incantato.” 

“Il canone è un gioco che incanta, le immagini e le parole sono semi che si evolvono in significati sempre diversi che si possono combinare all’infinito.”

Lilli guarda lo stemma e legge a voce alta: “Res rebus non est, latino, i nobili usavano e usano decorare i loro blasoni con frasi così.”

“Frasi prese da tempi precedenti la loro comparsa, sei sicura che sia latino?”

“Almeno sembra, res è nominativo, rebus dativo plurale, non est… la cosa alle cose non è.”

“Questa e l’apparenza ma si può vedere in altri modi, res è soggetto mentre rebus inteso col significato di enigma illustrato è accusativo, complemento oggetto, oggetto, in tal caso si traduce soggetto non è oggetto, l’oggetto indica la forma quindi è oggettività, tutte le cose ma in questo caso non è più latino e l’oggettività appare come un enigma… le lettere si slegano dalle parole, res al contrario si può leggere ser e rebus sub re,  ser sub re potrebbe essere un lord inglese che sta sotto il re ma nel canone musicale sotto il re c’è il do diesis…deve avere a che fare con la Shell, quel globo, una volta avevo una macchina da scrivere che ce l’aveva, era divertente guardarlo smazzare il foglio…questa figura si evolverà, staremo a vedere quel che vien fuori.” 

“A me sembra che questo canone sia un rompicapo, forse a quello serve la mazza.”

“Può essere, non si può pretendere di cavare sangue dalle rape, ti assicuro che per i livelli superiori il canone è puro piacere intellettivo.”

“Va bene signor genio, mi limiterò a starnazzare nello stagno da brava ochetta. Adesso sono stanca, andiamo a riposare.”

“Buona idea, il letto mi sembra comodo, nello stagno potrebbe arrivare  il cigno a farti compagnia per un altro tipo di piacere…”

“Mmm…solo a parole?”

 

In macchina verso Bra. Le otto di sera, il vento è calato, il cielo si sta coprendo di fini nuvole bianche striate di grigio che sbucano fuori da sopra le colline verso Ceva, il sole al tramonto s’affaccia alle finestre sgombre tra le nubi illuminando la strada, il traffico è rado e veloce, ritardatari che corrono per la cena con il programma in televisione da vedere, non ci sono partite in vista ma sembrano tutti frettolosi lo stesso e pigiano l’acceleratore per giungere in tempo, l’in sé della macchina non è macchina ma ha in sé una macchina, la figura è sospetta, la causa della gelosia ha la forma di un effetto la cui causa è precedente nel tempo mentre l’effetto, la gelosia, è forma di una causa il cui effetto è  conseguente nel tempo, prima e poi, la figura ha un nucleo di vergogna avvolto da una scusante di gelosia, una Shell che determina il comportamento e quel che si vede è un robot di carne che agisce di conseguenza in modo del tutto naturale.

Siamo fermi ad un passaggio a livello con le sbarre abbassate in attesa che passi il treno, Lilli si è vestita come per andare in chiesa, tossisce per la polvere che entra dal finestrino, lo solleva, accende lo stereo  cercando di sintonizzare un canale, trova un concertino jazz con una tromba squillante che zigzaga sul ritmo di tamburi, piatti e contrabbasso, regola il volume e dice: “Non sono più tanto convinta di voler andare a quella seduta. Adesso mi sembra ridicolo, una presa in giro.”

“L’autore sono mesi che lavora a questa storia e non credo che voglia rinunciare, facciamolo per curiosità, senza impegno e se non ci piace smettiamo subito.”

“Lei  mi appoggia la testa sulla spalla, allunga la mano per accarezzarmi fra le gambe e dice: “Avrei preferito rimanere a letto, è stato un pomeriggio indimenticabile.”

“Parole.”

“È vero ma non ha importanza, forse perché adesso non sento male…e poi, se devo essere sincera, questa storia degli spiriti mi fa paura.”

“Gli spiriti non centrano. L’intuito mi consiglia di non approfondire troppo la questione, facciamo come se fossimo seduti comodi sulla poltrona di un cinema e guardiamo lo spettacolo.”

Lilli stringe nella mano il pacco che si sta gonfiando e continua: “Amoreggiando,  folleggiando,  sbocconcellando….”

“Qualcosa del genere.”

Passa il treno con un rombo di ferraglia, le sbarre si sollevano scampanando e ci rimettiamo in marcia.  

Sorpasso un trattore che trascina un carico di letame seminando sulla strada una scia di frammenti di paglia misti a merda e rientrato in corsia dico: “Comunque questa sera non credo che assisteremo a scene particolarmente eclatanti, se la medium è del mestiere cercherà di tirarla per le lunghe per spremerti tutto quello che può, è probabile che ci sia un complotto contro di te  ed in qualche modo lei ne deve essere coinvolta. Devono aver già programmato ogni cosa.”

“Allora rinunciamo, torniamo a letto e godiamoci la vacanza.”

“Sarebbe inutile, loro non ce lo permetterebbero comunque, è meglio stare al gioco ed assecondare gli eventi parando i colpi avversi via via che si presentano.”

“Come vuoi…un messo della medium ci aspetta nella piazza principale di Bra alle otto e trenta, manca ancora molto per arrivare?”

“Ci siamo, abbiamo appena passato il cartello.”

Spingo la macchina seguendo le indicazioni ed arriviamo alla piazza. Lilli si mette in testa un cappellino tondo con la veletta che le copre il viso e scende. Dopo pochi secondi si avvicina un ometto stempiato e anziano vestito con un completo di flanella grigio scuro, saluta presentandosi come il signor Ermanno e ci consiglia di posteggiare l’auto e continuare a piedi perché la casa della medium si trova nelle vicinanze.

Le ombre della sera si stanno spalmando giù dai tetti delle case mentre i nostri passi echeggiano sul marciapiede verso una casetta a due piani al fondo di un vicolo cieco. La casa è circondata da un giardino cinto da una inferriata con un grosso cancello in ferro battuto che la guida apre per farci entrare. Nel giardino, a lato del vialetto che porta alla casa, sotto un penacolo di rose canine fiorite c’è la statua di una madonna con le braccia tese per salutare chi entra.

I passi continuano sulla ghiaia, dentro la casa e si fermano in un’anticamera dove c’è un gruppetto di persone in attesa. 
 
 
 
 

 

                  La ruota della fortuna.


 

La stanza pare la sacrestia di una chiesa, l’aria profuma leggermente di incenso mescolato a cera per mobili e chiuso di cantina con un sottile retro odore di graspi d’uva pigiati nel torchio e poi abbandonati a marcire, un lampadario con quattro lampadine di cui solo due accese appeso al centro del soffitto illumina fiocamente l’arredamento composto da un grosso mobile di legno massiccio addossato ad una parete  con sportelli e cassetti dalle maniglie di ottone  chiusi ermeticamente  ed un piano su cui sono esposte immaginette di santi e di suore e frati oranti sotto al crocefisso. Sotto al lampadario un tavolo con delle sedie intorno e sulla parete di fronte al mobile vicino ad una finestra con le inferriate aperta sul giardino c’è un quadro del Cottolengo in stola che sorride tra le tendine di un confessionale illuminato da due lumini posti ai fianchi. Ad attendere ci sono quattro donne anziane dall’aspetto anonimo che paiono sorelle col capo ricoperto da un velo, un’altra elegante sui quarant’anni, belloccia con la testa ed il viso coperti da una veletta di pizzo nero ed un uomo alto con i capelli brizzolati e folti baffi biondicci vestito in giacca e cravatta con l’aria da professionista.

Ermanno li presenta: “Il signore e la signora sono in contatto con la signorina Frida, hanno una causa in corso e sono qui per partecipare alla seduta, le signore invece assisteranno in disparte con la preghiera per tenere lontani gli spiriti malvagi che infestano l’aldilà. Per iniziare questa sera la signorina Frida opererà con le lettere a piattino, in seguito, se sarà necessario, potrà interrogare le entità con metodi più diretti. Ora, se volete favorire, possiamo passare nella cappella.”

Apre una porta e ci fa entrare in una sala circolare dalle pareti bianche illuminata fiocamente da una lampada al centro del soffitto posta sopra un tavolo tondo con le indicazioni sì, no e lettere e numeri disposti sui bordi. Intorno al tavolo a qualche metro di distanza ci sono quattro grossi ceri accesi e più in là  delle panche con inginocchiatoio dove si vanno subito a sistemare le quattro bigotte.

Ermanno ci fa sedere e siede a sua volta a fianco di una sedia più alta con lo schienale reclinabile che dopo un minuto di attesa, mentre le bigotte recitano un salve regina, viene occupata da una donna piccola che sembra sbucare dal nulla barcollando come ubriaca, coi capelli grigi e occhiali scuri, il capo coperto da un velo, pallida ed esangue vestita in una tonaca bianca con un crocefisso appeso al collo ed una catena del rosario che le cinge la vita.

I due partecipanti di fronte a noi hanno l’aria compita e tengono la testa china, Lilli mi guarda con occhi interrogativi, rispondo con un mezzo sorriso ed un’alzata di spalla.

Ermanno dice: “Ora la seduta può iniziare, come d’uso prima una preghiera per ingraziare il santo ad intercedere per noi.” Fa un gesto alle bigotte e quelle iniziano subito ad intonare un padre nostro ed alla fine del salmo ci invita a mettere un dito su un piattino posto al centro del tavolo iniziando col mettere il suo.

Una bigotta si avvicina al tavolo con un un bicchiere di vino rosso su un vassoio. La signorina lo prende e lo beve avidamente, poi si toglie gli occhiali mostrando occhi vuoti e bianchi da albina, guarda i partecipanti seduti, si rimette gli occhiali, rutta e posa il suo dito sul piattino tra i nostri.

Si sente una vivida energia elettrizzarlo mentre Ermanno dice: “Santo che stai nei cieli degnati di comunicare con noi…”

Il piattino inizia a girare intorno al centro del tavolo, aumenta di velocità e poi rallenta di colpo e si ferma.

Ermanno dice: “Che cosa succede, c’è qualche cosa che ti disturba?”

Il piattino si rimette a girare e poi si dirige verso il sì.

Ermanno chiede: “Non siamo disposti nel modo giusto?”

Il piattino risponde ancora sì.”

Ermanno insiste: “Come dobbiamo metterci?”

Il piattino fa un mezzo giro e poi si dirige verso di me.”

Ermanno chiede: “Il signore deve cambiare posto?”

Il piattino tocca delle lettere componendo: “Lui no.”

Ermanno mi guarda e dice: “Il santo la ricusa, non se ne abbia a male, se vuole può assistere dai banchi.”

Lilli interviene: “Questo non mi va, lui è venuto con me.”

Le stringo una mano e dico: “Sono cose che capitano nelle sedute, non ti preoccupare, non cambierà nulla.”

Lascio il tavolo e vado a sedermi vicino alle bigotte.

Ermanno chiede: “Adesso la disposizione va bene?”

Il piattino gira intorno al tavolo poi si dirige verso il sì e subito dopo tocca delle lettere componendo: “Io sono il santo Cottolengo, sono contento di stare tra voi.”

Ermanno dice: “Qui ci sono la signora del testamento con il suo avvocato ed una nuova ospite, senz’altro la cosa non ti è nuova, con chi vuoi cominciare?”

Il piattino gira un paio di volte a vuoto poi compone le lettere: “La signora è stata molto buona, la notizia della generosa offerta che ha fatto alla piccola casa è giunta tra noi rallegrando tutte le anime buone che si sono subito messe al lavoro per risolvere il suo caso. Purtroppo suo padre è mancato fuori dalla grazia di dio e non è giunto tra noi, potrebbe essere solo un ritardo, lo stiamo cercando e non appena lo avremo trovato potremo interrogarlo con più precisione. Intanto ho parlato con un’anima che lo conosceva e sostiene che la signora ha ragione a credere che esista un testamento nascosto solo che non sa dove si trovi, la invito a pregare ed  avere fiducia, non appena potremo rintracciare suo padre conosceremo la verità.”

Il piattino torna al centro e si mette a girare intorno a vuoto.  Ermanno chiede: “Non hai altro da dire alla signora?”

Il piattino sembra nicchiare poi riprende deciso a comporre: “Purtroppo l’anima di suo padre potrebbe averla presa Satana, in tal caso non potrò fare nulla, però il signore è buono e misericordioso, forse con un'altra offerta e tanta preghiera potrebbe intercedere e trarlo dalle fiamme dell’inferno.”

Alla comparsa del nome Satana  le bigotte hanno iniziato a recitare dei credo e delle ave Maria, Lilli ha sollevato il capo per guardarmi con l’aria sbigottita, la signora in causa intanto si è sollevata la veletta dal viso e sta dicendo: “Santo Cottolengo, farò tutto il possibile, sono certa che mio padre deve aver nascosto un tesoro nella banche svizzere ma non riesco a trovare le ricevute, forse le ha rubate il notaio, se riesce a farmele avere offrirò la metà di tutto alla Piccola Casa e sarò sempre una sua devota.”

Finito di parlare scoppia a piangere, il suo compagno la rincuora poi Ermanno li invita a fare silenzio ed il piattino riprende a comporre, questa volta rivolto a Lilli: “Che cosa vuole la signora da noi?”

Lilli solleva la testa boccheggiando senza trovare le parole, Ermanno la rassicura e la invita a rispondere, lei balbettando, dice: “Sono malata, non so cosa fare, mi aiuti…”

Il piattino si mette a girare come indeciso poi parte a razzo e compone: “La signora chiede aiuto? Mi ha forse preso per Satana? A lui lo deve chiedere, bugiarda, falsa, prima si deve fare dare mille frustate sulle natiche nude, le deve scarnare e spurgare col sangue tutte le…”

La medium fa uno strillo inarticolato, solleva il dito dal piattino che si ferma immobile sul tavolo poi si mette a confabulare sottovoce all’orecchio di Ermanno. Questo la ascolta attento poi si rivolge a Lilli e le chiede: “Lei ha mai partecipato a delle sedute prima d’ora?”

Lilli, con lo sguardo stralunato risponde di no scuotendo la testa.

Ermanno insiste: “La invito a non mentire, è sicura?”

Lilli conferma e la medium si rimette a confabulare all’orecchio di Ermanno poi si toglie gli occhiali e mi fissa per qualche secondo, chiama una bigotta, si fa portare un bicchiere di vino, lo scola, rutta e posa il dito sul piattino che riprende a muoversi componendo: “Hai sentito giusto, c’è qualcuno ma non è lui, sono quelli di sotto, un’anima è salita e ha preso il controllo ma adesso se n’è andata e sono ancora io, il santo Cottolengo. La signora non si deve preoccupare delle cose che ha detto ma adesso qui da noi è tutto in subbuglio e non la posso aiutare in alcun modo. Forse, con un’offerta alla Piccola Casa le cose potrebbero cambiare, la invito a essere generosa in proporzione all’aiuto che ci chiede e provi a tornare quanto prima.”

Improvvisamente la medium emette un gemito seguito da un soffio prolungato e nella stanza si avverte una presenza invisibile, un buio interiore, un’angoscia lacerante, una cappa d’incubo, le fiamme sui ceri si allungano sibilando, il tavolo vibra rumorosamente mentre il piattino torna al centro, fa due giri a vuoto e riprende componendo lentamente:

“Io sono una Cristina, dov’è andato lui?”

Ermanno, visibilmente agitato, risponde: “Cristina, chi sei? Non abbiamo mai avuto il piacere di una tua visita.”

Il piattino compone: “Io sono una Cristina, ero tra le sue serve, dov’è lui?”

Ermanno continua: “Cristina, vuoi dire che eri una delle suore del Cottolengo?”

Il piattino risponde: “Quale Cottolengo? Lui! Sono mille anni che lo cerco, qui c’è la sepolta viva ma parlerà solo con lui.”

Ermanno guarda preoccupato la medium che sembra in trance e non dà cenno di coscienza,  il tavolo smette di tremare, il piattino fa due giri a vuoto e poi riprende a comporre: “Io sono il santo Cottolengo, sono tornato, adesso smettiamo, questa sera ci sono troppo interferenze. La signora può tornare se vuole, naturalmente prima deve ingraziarsi le anime buone perché qui non sembrano bene disposte verso di lei, la chiamano Lilith, dicono che è una diavolessa e senza il loro aiuto non posso fare nulla, so che è affetta da un grave male e so anche chi glielo manda, per il momento non posso dire altro, da sotto stanno tornando, è meglio smettere.”

La medium con uno strillo solleva il dito dal piattino che si ferma immobile poi confabula velocemente all’orecchio di Ermanno, si alza dal tavolo e scompare  da una porta sullo sfondo coperta da un tendone.

Ermanno dice: “La seduta è finita.” Guarda Lilli con cipiglio e continua: “L’avevo consigliata di confessarsi in chiesa e comunicarsi prima di venire qui, lo ha fatto?”

Lilli, impallidita, risponde di no con la testa.

Ermanno sbotta: “Ecco, lo vede quel che succede a prendersi gioco dei santi?”

Lilli risponde: “Mi dispiace, non sapevo, sono pronta a pagare, mi dica come.”

Ermanno rimane un attimo pensieroso e dice: “Noi non chiediamo soldi, la signorina usa il suo potere per il bene del prossimo e non vuole denaro, però può fare un’offerta alla Piccola Casa del Cottolengo e questo potrà intercedere per lei. La signorina la invita a tornare fra due giorni, sempre alla stessa ora e vedremo quel che si può fare. Se vuole può lasciare qualcosa nel piattino per le pie donne che hanno accompagnato l’incontro con la preghiera, loro le saranno grate e continueranno a pregare per lei…” 

 

Ermanno ci accompagna al cancello, ci fa uscire poi lo chiude e rientra frettolosamente. La signora con l’avvocato, visibilmente scossi e imbarazzati, salutano con un cenno del capo e si allontanano.

Lilli è pallida, ha gli occhi spaventati e le labbra che tremano. “Che ti prende?” le chiedo.

Lei risponde secca: “Cosa vuoi che ne sappia, dimmelo tu che cosa mi prende.”

“Le sedute spiritiche sono così, quella medium è veramente abile, hai avuto il tuo battesimo, la prossima volta saprai già che cosa ti aspetta.”

Lilli si strappa la veletta dal viso e strilla: “Non ci sarà nessuna prossima volta, sono terrorizzata, non avrei mai immaginato…”

Le metto una mano sulla bocca e continuo: “Sei proprio un’oca, ti fai impressionare da nulla ma è comprensibile, anche a me le prime volte faceva effetto. Quello che provi sono le paure e le superstizioni ataviche che ti sono state trasmesse quando eri bambina, ora rientrerai in te e tornerai quella di sempre.” Detto questo le do un sonoro ceffone facendole girare la testa.

Lei mi guarda sorpresa, ha un gesto di reazione che reprime, fa un accenno di scoppiare in lacrime, strabuzza gli occhi poi diventa improvvisamente calma, mi abbraccia e mi da un bacio che non finisce più.

Il vicolo è silenzioso, senza guardare indietro usciamo e torniamo nella piazza. Sopra i tetti il cielo è completamente coperto di nubi percorse a tratti da bagliori di lampi lontani, la strada ed i marciapiedi brulicano di normalità, gente che cammina, donne col passeggino, macchine che vanno e vengono. Facciamo un giro passeggiando tra le luci delle vetrine, pigliamo un gelato e poi, mano nella mano come due piccioncini innamorati, torniamo alla macchina.

Le probabilità vedono una zingara, un parallelo col cancro e la proiezione al macrocosmo, il canone butta le figure come gli vengono, qualcosa di simile a quel che dicevano gli artisti dello Sturm und drang sulla poesia generatrice di poesia, in questo caso è figura generatrice di significato, la proiezione è data dalla spontaneità dell’artista che disegna la figura, il gioco delle perle di vetro di Hesse è un esempio condizionato dalla mentalità biblica degli intellettuali tedeschi prodotta dall’emulazione del dottor Faust che rende probabile il diavolo e di conseguenza il suo opposto oltre naturalmente alla presunzione di essere dei padreterni ereditata dalla lunga convivenza con gli ebrei.

Giudicare le parole è l’errore, Hermann Hesse risente del parlare morale dei benpensanti  tedeschi che stanno sul libro paga della Bayer cioè della Rothschild, il suo gioco delle perle è limitato al ghetto della Castalia, un’ipotetica classe di superintellettuali al, usando un termine composto della lingua tedesca tradotto in italiano, diNietzscheZaratustrasuperuomo, al di là del bene e del male non deve essere solo una parola la cui forma è data da un a priori Kantiano di comodo ma proprio quel che è il salto dal preconcetto di bene e male insito nel linguaggio alla logica pura priva di giudizio.

Una zingara cenciosa vecchia e grassa come se ne vedono tante  per la strada a chiedere l’elemosina con un bambino in braccio è seduta per terra con la schiena appoggiata alla portiera della macchina di Lilli. Il bambino è scalzo, sudicio, mi guarda con occhioni orgogliosi carichi di sfida mentre la vecchia tende la mano implorando piagnucolosa una monetina per mangiare.

Lilli, storcendo il naso apre la borsetta e gli posa una manciata di monete, la zingara ringrazia cerimoniosa nascondendo frettolosa gli spiccioli in una tasca e non accenna a spostarsi.

Inizia a gemere cantilenando suoni indecifrabili come indecisa su cosa fare poi guarda Lilli e dice: “La signora è generosa, buona…stasera ha parlato con gli spiriti, gli spiriti dei morti…” Cambia espressione, mi punta gli occhi addosso e continua: “Noi abbiamo capito la non esistenza che ci è toccata in sorte e che tu hai visto chi sono i morti e che noi siamo la porta per entrare da loro... La porta è chiusa, noi non esistiamo e chi non esiste non può morire e neppure rinascere. Sono venuta a portarti la chiave per aprire quella porta, i nostri giovani sono pronti alla rivolta, il nostro mondo scomparirà per sempre e non ci serve più…” dondola lentamente la testa cantilenando dei versi incomprensibili e continua: “Con la chiave potrai entrare nel regno dei morti e uscirne rimanendo vivo.” 

Con uno scatto rapido mi afferra la mano destra tra le sue, aspira a bocca aperta raccogliendo un grumo di catarro nella gola e me lo sputa nel palmo aperto sparpagliandolo con un dito come una crema.

Mentre il bambino mi guarda sorridendo la vecchia dice: “Ora hai la chiave, sarai capace di usarla?”

La cosa è avvenuta così velocemente che non ho avuto il tempo di sorprendermi, la figura appare chiara e il significato a venire, guardo negli occhi la zingara poi porto la mano alla bocca e lecco il suo catarro senza battere un ciglio. Il passaggio avviene istantaneo, Lilli mi guarda sbalordita, la zingara si solleva in piedi e si allontana col bambino, questo si gira e mi saluta sorridendo poi scompaiono nel bagliore di un lampo.

Lilli, silenziosa, apre la portiera ed entra in macchina. Mi metto al volante, accendo e ci immettiamo nel traffico rado della notte. Dopo pochi minuti usciamo dal paese volgendo la prua verso la Morra.  

Rimaniamo in silenzio per un po’, Lilli continua a guardarmi, scuote la testa incredula poi riprende a guardarmi e improvvisamente spalanca gli occhi ed esclama: “Ho capito!”

Mi prende la mano sputata, cerca se c’è ancora qualche rimasuglio di catarro, ne trova un grumo e lo lecca avidamente per riesclamare: “Sono solo parole, non hanno nessun gusto, come il sesso che facciamo, ne bene ne male! Credevo fossi diventato matto.”

“Come oca te la cavi, se hai capito tu vuol dire che la comprensione è universale.”

“Però non ho capito cosa centra la chiave.”

“Lo vedremo poi, ho visto una probabilità interessante, c’è un collegamento tra la Shell che chiude il cancro e la placenta che chiude il feto, la placenta è un’interfaccia che separa il feto dal sistema immunitario quindi sia il feto che il cancro sono cibo, forse se all’apertura della Shell il malato riuscisse a sopportare il dolore il sistema immunitario potrebbe resettare il cancro, mangiarselo e guarire. Di contro, le medicine distruggono il sistema immunitario, il malato non sente dolore ma lascia il cancro  libero di svilupparsi ovunque. Questo proiettato al macrocosmo significa che quando la tua Shell si aprirà ed i giornalisti rimarranno senza copertura forse il corpo sociale non morirà.”

“Non ho capito niente. Lo spirito ha detto che il male è trasmesso, cosa centra?”

“Ha anche detto che sei una bugiarda e meriteresti di essere frustata.”

“È vero, però poi ha detto di non essere stato lui e la medium ha smesso e ti ha guardato e poi è arrivata quella Cristina e mi sono sentita qualcosa dentro…un’angoscia…non so come dire…” 

“La prossima volta capiremo meglio, non ha detto di chiamarsi Cristina, ha detto di essere una Cristina, il nome non è forma, vuol dire che ce ne devono essere altre tra cui una sepolta viva. Questo è in linea con la storia dove siamo protagonisti, deve avere a che fare con il dottor Faust e l’ospedale dei nobili in Lunigiana e la chiave per capire sono gli zingari. Le Cristine dovevano essere le infermiere che assistevano il dottor Faust prima che venisse crocefisso, il canone indica un collegamento anche tra il Cottolengo e le sue suore, staremo a vedere.”

“Una storia intrigante…” mormora Lilli,  “Ho l’impressione che mi stai usando.”

“Sei tu che sei venuta a cercarmi.”

“Per guarire dal cancro.”

“Guariremo insieme…iniziando dalla gelosia, il vero cancro che ci rode, io, tu, quando è avvenuto il transfert una parte di me si è trasferita in te ed una parte di te è diventata me e queste parti potremmo essere noi che non siamo ne l’autore che scrive ne la giornalista, dobbiamo evitare di identificarci con qualsiasi parola. Ci deve essere un immaginario tramandato dalle tradizioni orali e dai libri dove queste Cristine vivono ancora, non sono spiriti, è la logica del nominalismo, la mentalità, che le crea, sono nomi senza forma che prendono corpo da un giudizio a priori, come dio o il diavolo, ricordi. Devono essere come file immagazzinati nel data base di un computer, qualsiasi cosa cerchiamo compreso il cancro deve essere avvenuta allora tra il dottor Faust e quelle Cristine, un modello che poi è stato trasmesso alle generazioni future che si sono sviluppate dopo il massacro. Vedremo coi nostri occhi com’è andata.”

“Questo significa che dovremo tornare dalla medium.”

“Sì…questa volta prevedo che succederanno cose incredibili, vorrà dire che ti prenderò a schiaffi prima di iniziare.”

“Dovrò fare l’offerta al Cottolengo.”

“Sì, tutto deve procedere come se stessimo per buttarci nella trappola, vedremo poi chi ci cadrà dentro.”

Arriviamo al Paradiso, un fulmine illumina l’ingresso poi scoppia il tuono ed inizia a piovere. Posteggio la macchina e la spengo. Lilli mi abbraccia e mi bacia ancora. “Sto conoscendo un altro mondo, ” dice,  “sono sempre stata con te ma solo adesso sto capendo cosa mi era preso quella volta…”

Le chiudo la bocca con un bacio e continuo: “Qualsiasi cosa non era e non è, ci stiamo comportando come piccoli borghesi cretini che è proprio quello che non sarà, forse in un mondo di menzogne quella dei piccoli borghesi cretini potrebbe essere una vacanza accettabile ma l’autore ha appena avuto l’idea per il prossimo capitolo ed è meglio prepararsi.”

“Mmm…quante parole, mi sento rinata, adesso andiamo in camera, voglio abbracciati così stretto da non staccarmi più.”

“Parole, solo parole…i sogni e le intenzioni mancate, la vita di tutti i giorni, le occasioni, la necessità, la faccia da salvare, il porco comodo, il tutto legato ad un filo per tirare avanti nel labirinto della vita, chi credevi che fossi? le opinioni della massa ridondano il capo tribù, la vergogna, la viltà, l’abitudine, il messaggio trasmesso alla televisione per l’imbonimento quotidiano,  qualsiasi cosa non è.”

“Altre parole.”

“Solo parole, uno spreco di fiato per lo stipendio mensile, una recita quotidiana per non fare brutta figura, altre parole a fiume per gonfiare d’aria il pallone domestico, lo specchio e la gelosia, così fan tutte, così un fantasma tra le braccia che non ha niente a vedere con me.”

“Altre parole…adesso mi corichi sul sedile e mi sbatti come una troia, mi rompi il culo, te lo voglio succhiare da farti prendere fuoco…”

“Fuoco fuochino fuochetto…guarda, si è messo a piovere, perché farlo in macchina, non siamo più ragazzini, saliamo in camera, ti stendo sulla macchina da scrivere e ti sciolgo in una poesia di puro sesso selvaggio, la forza selvaggia della natura, gli uragani, le esplosioni di vulcani, le galassie, il big ben…”

“Sono già esplosa!”

“Solo un’unghia, appena un accenno, un bottino piccolo piccolo, i fuochi non sono ancora scoppiati, guarda…” Accendo una fiamma, la lascio uscire dal finestrino poi la soffio verso il temporale, la fiamma raggiunge le nuvole e le incendia, fulmini da tutte le parti, notte di fuoco…

Scoppia un altro fulmine illuminando a giorno la scena, usciamo dalla macchina nel rimbombare del tuono e corriamo verso l’albergo.

Nel salone ristorante nella luce fioca di quattro lampade poste agli angoli ed i riverberi del fuoco acceso nel caminetto si sente un appetitoso profumo di carne arrostita. Una tavolata è occupata da una ventina di persone di mezza età dall’aspetto giovanile, uomini e donne vestiti con casacche verdi alla Robin Hood e cappelli dello stesso colore di peltro con lunghe penne di fagiano, stanno ascoltando facendo tintinnare a ritmo le posate contro  bottiglie e bicchieri un fisarmonicista che suona un valzer allegro vicino al camino. Disposti ai fianchi del fisarmonicista in ordine d’altezza  come canne di un organo ci sono tre uomini e tre donne che accompagnano la musica cantando dei “Zum pa pa…zum pa pa…pa pa zum…” ognuno con una nota diversa dell’accordo ed altri quattro davanti che modulano differenti melodie contrappuntandole a quella suonata dalla fisarmonica. Di fronte al caminetto, arrossate dai bagliori di fuoco, ci sono due donne bionde abbracciate che ballano il valzer piroettando tra i tavoli apparecchiati.

Al nostro ingresso ci guardano tutti senza interrompere la musica, subito dopo arriva Circe cerimoniosa con un grembiule sottoveste nero tutto pizzi corto sopra il ginocchio e aperto sul petto con una crestina di pizzo sempre nero tra i capelli pettinati a boccoli e treccioline e dice: “Siete arrivati finalmente, ve ne siete andati senza dire nulla, avete cenato? Questa sera avevo preparato un arrosto di cervo cotto a fuoco vivo da far resuscitare i morti…non vedendovi ne ho tenuta una parte in serbo e adesso se volete ve la porto, inoltre… ho un  barolo del ’60 che ho preso dalla dispensa di mio padre, un’occasione unica.”

Guardo Lilli che assente e ci sediamo ad un tavolo, arriva il cervo, il vino, la musica trascina, molti ballano, lo spettacolo, l’allegria, facciamo un primo approccio con la banda d’inglesi ed i cantori tedeschi, altro vino, altri balli, tutta gira, parole parole poi lentamente il silenzio.

Notte fonda, il temporale è finito, dalla finestra socchiusa si sentono cantare i grilli. Coricato sul letto guardo Lilli mentre si spoglia ancora eccitata dall’alcol e dalle danze. Sulla testa i capelli hanno cominciato a ricrescere formando un soffice vello che la fan sembrare una gatta.  Consapevole che la sto guardando sta improvvisando con la libertà dell’ebbrezza uno spogliarello da vera professionista. Improvvisamente nel corridoio fuori si sente un colpo secco.  Lilli apre la porta per vedere, nella penombra ci sono Circe seminuda con un frustino in mano che trascina con un guinzaglio Tommy che procede carponi vestito con una pelle di leopardo che gli avvolge il corpo lasciandogli scoperti gli arti d’ebano possenti luccicanti di olio. Stanno salendo le scale che portano al piano di sopra, ambedue hanno gli occhi languidi e sognanti.

Circe dice: “Oh, scusate, vi ho disturbato, non volevo… adesso ha visto com’è… sopra ho la mia stanza, io vivo lì, se volete… adesso buonanotte, dormite bene, a domani…” 

 

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