Cap 3. Porno climax.



                           Porno climax. 


 Sullo schermo appare una pagina bianca da riempire, le prime parole e poi…salto sul cancro e porgo una mano a Lilli aiutandola a salire. Ci sediamo sotto il pungiglione alzato che ci fa da tettuccio, lei davanti accucciata tra le mie gambe. Mi abbraccia, si struscia con le tette gonfie sul petto sprizzando scintille e dice: “Parole, sono così eccitata che esploderei, adesso, mi sento un'altra, m’è venuta voglia di mordere, facciamoci una scopata prima così mi calmo.”

“La facciamo strada facendo…”

La faccio piegare alla pecorina, le inumidisco l’ano poi glielo infilo in culo, stantuffo e ribatto: “Cominciamo così.”

Lilli risponde gemendo: “Si, ma fai piano, è un po’ duretto.”

La faccia di Dante si volta a guardare, storce il naso impotente poi si rigira, fischia sbuffa romba dalle orecchie e si alza in volo in verticale come una mongolfiera gonfia d’aria. Siamo sulla baia, sotto il mare ribollente di puzza di figa, ci alziamo all’altezza dei tetti dei grattacieli di Manhattan, il cancro si mette a scoreggiare sibilando come un motorino scoppiettante e sulla spinta iniziamo ad avanzare in orizzontale verso la città.

Lo tolgo dal culo di Lilli e mentre lei scorreggia un paio di volte glielo infilo nella figa riprendendo a stantuffare.”

Lilli gemendo dice: “Non voglio capire… cosa sono queste allusioni?”

“Chiedilo all’autore, è lui che scrive anche se in questo momento gli piacerebbe essere al mio posto e ficcartelo lui.”

“Una tortura!” strilla, inarcando la schiena in uno spasmo di orgasmo.

Un’avventura, la figura di Dante, il marito, il messaggio trasmesso dalla suora invasata e che tu e le altre ridondate, deve essere in rapporto col dottor Faust, il cristo ha mille nomi ed a quanto pare due facce, oltre ad essere un falso medico doveva essere un falso scrittore. L’accostamento della tua figura con la sua si identifica e inverte, tu gli trasmetti la tua popolarità e lui ti trasmette la menzogna, non a te ma al me dei tuoi sogni che diventa falso scrittore scrivendo mentre lui diventa scrittore non scrivendo. Ci deve essere un’organizzazione che produce libri che poi vengono pubblicati da prestanome. Tu ne sai qualcosa?”

Lilli si irrigidisce e risponde: “Lo so che hai già capito tutto, perché me lo chiedi?” 

Le do qualche colpo con foga battendo il ventre contro il suo culo ancora aperto e continuo: “La cosa si collega alla società preumana, la classe dominante era rappresentata dagli uccelli tigre, i pennati che dopo l’acquisizione della parola diventano gli uomini di penna, gli scrittori. In questo modo la figura si legge che uno scavatore castrato diventa uccello tigre e  l’uccello viene castrato. Faccenda rognosa perché l’autore non è un uccello tigre qualsiasi ma l’arlecchino.”

“Allora?” chiede lei ironica. “Così è, un burattino, frustami se vuoi, tu l’hai detto, anche tu burattinavi.”

Le do un bacio smaccoso sul collo, una stantuffata violenta a ripetizione facendola arricciare di strilli e dico: “Ai livelli superiori non esiste bene o male, ogni cosa va letta con perfezione assoluta, se non facevi così saresti morta.”

“Lilli singhiozza reprimendo uno strillo di goduria e roteando le anche intorno al cazzo ribatte: “Ho capito, sono appena nata, va bene?”

“Si può fare meglio ma per il momento ci accontentiamo.”

Siamo arrivati in vista del molo, dal porto si alza un nugolo di elicotteri e piccoli aerei  che ci vengono incontro girandoci intorno ronzando come calabroni con un fracasso infernale.

Il cancro prosegue a velocità costante, Lilli è piegata alla pecorina mentre la sto stantuffando a tutto andare, i piloti dentro i velivoli la vedono e si mettono subito a suonare le trombe ed a sventolare bandiere colorate per salutarla, certi aerei si esibiscono in acrobazie volanti disegnando nell’aria  fantastiche figure di cazzi spruzzanti con le scie multicolori poi rientrano velocemente alla base.”

“Sei molto conosciuta.” le dico.

“Chi li ha mai visti, che ne so?”

“Pubblicità…”

Il cancro prosegue guidato dall’immaginazione, arrivati sopra Central Park scende verso la Fifth. Dai grattacieli tutto intorno saltano fuori sonde volanti che si accalcano ronzandoci intorno per annusarci, vedono Lilli e si mettono a giubilare sprizzando scintille da tutte le parti poi rientrano lasciandoci la strada libera.”

Esco da lei, mi chino per leccarle un po’ il culo, glielo ammorbidisco bene e gli ficco il cazzo dentro.”

Lilli si inarca con un gemito e chiede: “Questa figura come la interpreti?”

“Quello che si vede, la tua Shell è formidabile, potresti menare chi vuoi e ci cascherebbero tutti.”

 Si volte per guardarmi spingendoselo in culo fino in fondo e continua: “Ho capito…adesso sto portando te, vuoi dire…?”

“Siamo nel cuore del cancro. Il cancro in sé non è cancro, in filosofia è rappresentato dal sillogismo naturale di Hegel nel nominalismo di Kant, la menzogna in sé è verità, il me trasferito da te e dalle altre suore mute si deve trovare qui da qualche parte.”

“Mi stai usando!”

“Ti dispiace?”

“Anzi…” ondula il ventre modellando le onde sul cazzo e continua: “Non capisco più niente, che mi importa?”

Glielo tolgo dal culo e rimetto nella vagina, ci stantuffo dentro come un chiodo conficcato a martellate e arrivato al fondo dico: “Il capro espiatorio da sacrificare per ripristinare la menzogna si trova qui, la figura si trasferisce in te e di conseguenza in me. Sembra un gioco, un video game.”

Il cielo sopra Manhattan è ricoperto da un grande telone cinematografico diviso in settori ognuna rispecchiante una parte della città, dove siamo adesso si vede un’enorme schermata su un campo di sterminio di ebrei pieno di larve d’uomo striscianti a terra intorno a baracche putrescenti con in mezzo un forno  dove gli aguzzini, spingendoli a passamano, buttano dentro a bruciare corpi ancora vivi uno dopo l’altro. A fianco una schermata uguale dove si vede una piantagione in Virginia piena di schiavi negri chini sotto le frustate a raccogliere cotone con in mezzo un grosso calderone d’acqua bollente che fuma sopra un fuoco acceso dove, sempre a passamano, gli aguzzini buttano dentro corpi ancora vivi a lessare. Le immagini si muovono staticamente, cioè fanno sempre le stesse cose.

“Cominciamo bene.” Commenta Lilli.

Dal cancro appare la Fifth con i marciapiedi gremiti di folla e il traffico serrato sulla strada, a mezzaria volando ad un centinaio di metri sopra il traffico si vede arrivare un letto sontuoso pieno di cuscini vaporosi tra coperte e lenzuola di seta dai colori fiammeggianti circondato da una scorta di gorilla pelosi che cavalcano piccoli cancri come il nostro con facce simili a Dante. Sul letto c’è il fantasma di Marilyn Monroe vestita con un sudario bianco semitrasparente su un corpo nudo ancora appetitoso, è coricata e tiene gli occhi chiusi.

Mentre la scorta ci circonda si avvicina, solleva la testa per guardarci, fissa Lilli poi me che le stantuffo dentro goduto, si siede sul letto assumendo una posa drammatica alla Clitennestra che sta per venire uccisa da Oreste, si mette una mano sulla fronte e scandendo le parole dice:        “Ah… sono morta!” quindi crolla esanime tra i cuscini. Il letto si allontana velocemente seguito dalla scorta e scompaiono dentro un cartellone pubblicitario lampeggiante sopra il portone dell’Empire. Subito dopo, sempre a mezz’aria, si vede arrivare il fantasma di John Wayne su un cavallo al galoppo, le braccia alzate, in una sventola il cappello da caw boy nell’altra spara al cielo con la colt, dietro lo seguono i fantasmi di una torma di indiani urlanti che cavalcano sollevando un polverone che non finisce più, tutti brandendo tomahawk e coltellacci sdentati. Seguito ed inseguitori passano e poi scompaiono inghiottiti nel cartellone pubblicitario. Questo comincia a lampeggiare ed a far ululare sirene, subito dopo appare il volto di John Wayne sofferente sul letto di morte, gli occhi gonfi di lacrime che con enfasi da attore provetto dice: “Dovevi esserci…perché non c’eri…”

Subito dopo appare la strada.     
 

        Lo slang di New York 


La scena si apre su un paniere pieno di uova rotte poi si vedono due mani svuotarlo in una padella sul fuoco per cucinare una frittata dal profumo di pepe e peperino. Mentre una muove la padella tenendola nel manico per non fare attaccare la frittata l’altra la tasta con la forchetta, la punge la preme la mescola ed arrivati al punto di cottura, con un abile colpo di mano, la fa saltare girandola per aria e ricadere nella padella con precisione assoluta.

Il cancro si è fermato a mezz’aria ad una decina di metri sulla strada, sotto tengono tutti la testa bassa e nessuno ci vede.

Mentre batto a colpacci focosi nella figa di Lilli sento il cazzo gonfiare a dismisura, lei strilla e geme goduta ad ogni colpo e non sembra curarsi del resto. Rallento la foga, lascio giocare per qualche secondo la cappella sull’entrata sbrodolante poi affondo lentamente e dico: “Quello che stiamo per vedere sono parole, lo slang di New York, per capire bisogna prima fare una breve disquisizione sulla sua origine e evoluzione e prima ancora dobbiamo cambiare figura, ti avverto, è una figura difficile, impegnativa.”

Lilli inarca la schiena palpando e stringendo il cazzo con le pareti della figa e ribatte: “Mi sta bruciando, facciamo una pausa, fammela rilassare…” si sfila, mi spinge con il sedere facendomi coricare poi risalendo di schiena con le labbra della figa strascicanti come una lumaca sul petto me la schiaccia sulla bocca e strilla: “Adesso lecca!”

Infilo la lingua nel buco di carne, dalle pareti sgorga una cascata di liquido vaginale che mi inonda la faccia, continuo a spingere roteando la lingua mentre lei mi balla sopra in estasi, poi si china e inghiotte il cazzo succhiando e mordendo.

Le afferro la testa con una mano spingendoglielo in gola e ritiro un attimo la lingua per dire: “Perfetto, adesso succhia, succhia più forte che puoi.” Poi rificco la lingua e la agito succhiando più forte che posso.

Lilli succhia, il cazzo si allunga, dalla gola le scende nel profondo del corpo, nelle ovaie e continua fin quando lo tocco con la punta della lingua. Lo risucchio nella bocca ed inizio a spompinarlo, il ciuccio finalmente! la cappella gonfia ed esplode, la figura si capovolge, mi ritrovo seduto sopra Lilli coricata dove ero prima con il cazzo stretto tra le sue tette mentre le sto venendo in bocca in un orgasmo spettacolare. Lei inghiotte, lo lecca bene e poi, ansando per lo sforzo, dice: “Buono, sa di frappè di mela appena frullato…cosa è successo?”

La faccio alzare, la bacio poi mi risiedo appoggiando la schiena al pungiglione, la poso sul cazzo infilandoglielo nella figa, la bacio ancora e muovendola su e giù lentamente come se mi facessi una sega rispondo: “Un nodo da sciogliere, la figura si guarda, l’obiettivo è la realtà, l’intenzione non è me e non è te, nel nominalismo il me è te e se è te non è me, chissà quante volte nella tua fantasia…”

Lilli mi tacita chiudendomi la bocca con un bacio e dice: “Ho capito, non c’è bisogno che continui.”

“Allora torniamo alla filosofia ed alla lingua tedesca. Arminio, è straordinario il fatto che il popolo considerato più leale al mondo abbia eletto come emblema nazionale la figura di un traditore. La figura è ambigua, dimostra l’assoluta incapacità dei tedeschi di saper valutare la storia, la causa ha la forma di un effetto la cui causa si riferisce al nominalismo di Kant, il criticismo è fede, l’imperativo categorico della sua etica.                                                                

 
La causa, nel sillogismo naturale il nome libro, cioè la parola libro è uno, un concetto, la forma sono tutti i libri che sono stati scritti nella realtà ed il loro contenuto. Nel nominalismo l’uno è tutto cioè tutti i libri sono uno. I libri di storia, la psicologia dei tedeschi conformata all’ebraismo cioè a credere che  le parole della bibbia siano verità non criticabili da accettare per fede trasferiti alla loro storia, quindi a chi ha scritto i libri di storia in Germania conoscendo la citrullaggine  dei tedeschi.  La causa ha la forma di un effetto la cui causa è precedente nel tempo, si vede un libro aperto su delle parole stampate sulla carta come tombe in un cimitero sopra le quali i morti escono per ripetere la storia.”

Nel cartellone pubblicitario sul portone dell’Empire appare la selva di Teutoburgo immersa nella nebbia da cui si odono grida strozzate e stridore di spade.

Lilli, sollevandosi e abbassandosi sul cazzo come un’onda di piacere chiede: “Guardiamo lo spettacolo continuando a scopare? A parole…quando lo faremo nei fatti?...”

“L’intenzione c’è, non avere fretta…la figura del traditore è tramandata da Ermes e dal mito greco in Aristodemo, il sopravvissuto alla battaglia delle Termopili che poi si suicidò. In Germania la figura si evolve, il fatto di Teutoburgo si ripete e la cosa può essere avvenuta gradualmente, il canone ha sviluppato la figura che le legioni di Varo non furono massacrate ma vennero catturate vive e trasferite in luoghi segreti.  Qualcosa del genere di quel che si dice negli States sui soldati catturati in Vietnam e mai restituiti. Queste legioni provenivano per tradizione dall’esercito che seguì Cesare alla conquista del mondo, erano Galli cisalpini e parlavano il dialetto delle Langhe di allora, in schiavitù si fusero con la banda di Erminio che li aveva catturati, avvenne un’identità di linguaggio tra Arminio e Varo, cioè tra il sillogismo naturale di Hegel e quello nominale di Kant. Quelle legioni dovevano sapere di essere stati attirati in una trappola e Varo, per i suoi trascorsi in Asia, come era uso dei comandanti romani, era soprannominato il Giudeo. La vicenda venne elaborata a tavolino quindi sia Arminio che Varo erano attori che muovevano pedine al risultato.

La repressione attuata in seguito dai romani sterminò tutti i germani eccetto quelli della banda di Erminio che si erano nascosti con i legionari, la lingua degli uni si fuse con l’altra unendo le tradizioni che tramandavano e ripopolarono il territorio, in una Arminio era traditore, giuda,  nell’altra eroe e l’eroe divenne traditore. Qualcosa del genere deve essere avvenuta  tra gli Unni di Attila che si fusero con i prigionieri catturati in Europa e che poi si sparpagliarono a fare gli zingari o i nobili ed anche tra i pellerossa americani che dopo Little Big Horn elessero Toro Seduto a loro emblema.

Questo doppio linguaggio si evolvette nell’attuale tedesco, si impostò sul modello del castrum adottando le tattiche di guerra dei romani più evoluti e prese il nome dei Sassoni che poi si trasferirono in Inghilterra e dopo la rimasticazione in Inghilterra a New York tramandandosi  nell’attuale slang dove il traditore vive ancora.

 La figura si sviluppa dalla versione di Tacito confrontata con la guerra nel Vietnam e la storia dei pellerossa americani, le cose possono essere andate diversamente ed avvenute in epoche successive ma comunque questo fu il risultato.  Il sistema venne clonato e ripetuto su tutto il pianeta, ce ne deve essere uno in Russia che probabilmente era militare durante l’occupazione dell’Afghanistan, uno in Giappone che l’autore ha già toccato e altri ma se non sono scemi il problema è risolto.”

Lilli preme spingendo il cazzo a solleticarle le pareti dell’utero, rotea il ventre schiacciandomi le tette sul petto soffocando uno strillo d’orgasmo, si rilassa riprendendo fiato e chiede: “Ti voglio fare una domanda da giornalista, anche ammesso che sia andata così, quale fu il movente?”

La bacio e rispondo: “Il sistema di potere a cui fornisci la Shell può governare solo sui morti, nel nominalismo il morto è vivo e se è vivo non è morto, il sistema si innesta nell’intenzione ed il comportamento è conseguenza. Quel che segue…”

Lilli mi spinge un capezzolo in bocca, sprizza un getto di latte al gusto di sangue infiammato e dice: “Adesso dentro la Shell ci sei tu…”

“…E stiamo viaggiando nel cancro, l’autore è entusiasta di te… 

Dolce è la lingua di quel che lecca
Dovere al piacer che non si secca.” 

“Adesso fa il poeta? Lui ha fatto capire in più di un’occasione che non è schiavo delle parole che dice.”

“Dovresti farlo anche tu…il tuo comportamento è relativo, può sembrare un tradimento ma lo si può vedere in un altro modo, un’abile puttana che ha saputo venderla di conseguenza ed in questo caso non è un burattino ma spontaneità e sei sempre stata padrona di te stessa senza saperlo, esattamente come l’autore.”

“Di bene in meglio…”

“Il problema è la gelosia, è nei tuoi sogni, tu credi che l’autore sia geloso di te e poi ti immagini di essere quel geloso trasmettendolo a me, l’intenzione non è uno e non è l’altra, la gelosia è solo nel pensiero, non esiste nei fatti.”

“Nei fatti, una parola, sono qui con te ed andrei avanti a scopare senza fine, non so più cosa sia la gelosia ma se solo provi a guardare un’altra ti cavo gli occhi!”

“Lo so che non è facile, il meccanismo è radicato e la causa non è effetto. La storia deve continuare, da Teutoburgo il cammino del linguaggio scorre parallelo all’evolversi del sistema sociale dei romani assimilato dai tedeschi insieme alle lettere di cambio dei banchieri ebrei, sbarca in America e diventa dollaro iniziando ad espandersi in tutto il mondo insieme al traditore. Nello schema della commedia di Dante l’empireo si trova sulla verticale dell’antro di Lucifero, l’intenzione che sbrana Giuda ed i traditori di Cesare, nell’identità del nominalismo il paradiso è inferno e lo slang di New York diventa la macina di Giuda, la scena che segue.”

 
                   

 
Me la sto sbattendo alla grande spingendola su e giù con violenza ed accompagnando ogni discesa con un contraccolpo del cazzo che affonda profondo dilatandole la vagina sbrodolante, Lilli s’arresta di colpo vibrando d’orgasmo e mi morde una spalla a sangue per attutire un urlo che le sale dai visceri in tempesta, rimane qualche secondo immobile ansimando e dice: “Queste figure del canone sono massacranti, facciamo una pausa, sono affamata ed ho la gola in fiamme, non ci siamo portati nulla, dovevamo pensarci.”

Le lecco una goccia di sangue sulle labbra, gliele palpeggio con le mie slinguandole e esclamo: “Una femmina coi fiocchi compressa in una mummia di apparenza, dalle parole ai fatti l’apparenza si sfascia e sotto la morta potrebbe essere ancora viva! Tu sottovaluti l’autore, lui ha mille risorse e può scrivere quello che gli pare, guarda…”

Sul fianco del pungiglione del cancro c’è uno sportello, lo apro, dentro c’è un frigo bar con delle bottiglie di Moumm, due plateau di ostriche ed uno bello grande di bignè ricoperti di panna e profiterole.

Sul cartellone dell’Empire la figura si è evoluta in una boscaglia nel Vietnam avvolta dalle tenebre da cui si sentono grida soffocate di americani e colpi di fucile. Faccio saltare il tappo allo champagne che cade sulla strada dove in quel momento da una finestra aperta si sente un televisore acceso a tutto volume sparare a mitraglia un lungo tom tom tom con i proiettili che sibilano, i passanti si buttano tutti a terra con le mani sulla testa mentre sulla strada passa un autombulanza con le sirene spiegate facendosi largo nel traffico, da un'altra finestra si sente un elicottero militare alzarsi in volo in un frastuono di ferraglia  e sulla palina della fermata di un autobus dove stanno trasmettendo la réclame di un vecchio film si sente la voce di De Niro dire: “Voglio tornare laggiù…” I passanti rimangono a terra  immobili poi qualcuno inizia a rialzarsi e subito dopo si alzano tutti, si guardano intorno e riprendono a camminare avanti ed indietro sui marciapiedi.

Mentre riempio i calici dico: “Mettiamola sul ridere, l’umorismo è un toccasana per tutti i mali, nel nominalismo il male è bene, dipende dal punto di vista con cui lo si guarda ed ogni cosa è esperienza da cui si può trarre un utile.”

Dopo un cin cin tintinnante beviamo lo champagne guardandoci negli occhi poi prendo la lama ed apro due ostriche, le stacco dal gambo porgendone una a Lilli e ci spruzziamo qualche goccia di limone. Le ostriche si arricciano e finiscono ingoiate.

Mentre ne apro altre due Lilli dice: “Ostriche e champagne, l’autore ci tratta bene.”

“In tema con la Shell, la direzione è la psicologia di quell’organizzazione che produce i libri che poi vengono pubblicati da prestanome castrati o sfigate, dev’essere collegata agli antichi monasteri ed ai copisti medievali, la figura sembra un grappolo d’uva, ci sono collegati molti acini, i libri buoni sono pochi, intorno gravita una produzione dozzinale e scadente fatta di frasi che si ripetono che prende valore da quei pochi svilendoli, la figura si trasmette e ripete in ogni attività, tu li devi conoscere bene visto che lavori per loro.”

Lilli ingoia la seconda ostrica, beve un sorso di champagne col mignolo alzato e mentre apro la terza coppia risponde: “Parli del burattino o della puttana senza scrupoli?”

“Il potere, i libri sono paccottiglia ma comunque sono tutti indirizzati ad un fine preciso, c’è un’intelligenza determinata che stona con l’apparenza di prestanome e imbroglioni vari con cui si circonda. Gli uccelli tigre della società preumana, l’autore è incuriosito perché anche loro come lui scrivono in incognito trasmettendo ad altri il merito del loro talento. Questa intelligenza astraiamola dal contesto.”

Sulla strada,  da una finestra aperta, si sente un televisore acceso a tutto volume gridare con la voce imperiosa di un sergente dell’esercito americano: “Ehi voialtri dove vi credete di essere? Sull’attenti!” Tutti quelli sulla Fifth e dalle strade laterali scattano sull’attenti, anche molti dalle macchine escono e si impalano rigidi poi, da un pannello pubblicitario piantato sul giardino di un grattacielo si sente una voce gridare: “Mani in alto, siete circondati!” Tutti alzano le mani guardandosi intorno preoccupati,  poi dal televisore di prima il sergente grida: “Avanti, di corsa!” e tutti si mettono a correre ed il traffico a rombare, poi da un'altra finestra si sente un’esplosione seguita da altre sempre più violente ed una voce gridare: “A terra, bombardano!” e tutti si buttano a terra riparandosi uno sull’altro quindi, dal tabellone dell’Empire si vede un imbroglione benpensante dire: “Io c’ero, non mi sono tirato indietro e neppure imboscato come hanno fatto altri!” Dopo un minuto di raccoglimento i passanti si rialzano e riprende il traffico.

La figura della strada si sta aprendo ai particolari, sullo scalino di ogni negozio si vedono mendicanti e donne coi bambini a chiedere l’elemosina, messicani, negri, pellerossa, molti su carrozzelle con parti del corpo mancanti sostituite da protesi vestiti con uniformi lacere dell’esercito. Un coro querulo di: “Fate la carità, un soldino, abbiate pietà…”

“Una situazione imbarazzante.” Commenta Lilli dopo aver mandato giù la terza ostrica.”

Mi chino per darle una lappata di lingua sulla figa ancora rovente facendola arricciare poi riempio i calici, le porgo il suo e li facciamo tintinnare prima di berli. Altre ostriche da aprire.

“Sono morti, la causa non è effetto e l’effetto si svolge in modo naturale. L’autore non sa da quanto tempo ti sta covando in seno ma calcolando la tua importanza probabilizza che la cosa abbia lunga data, il transfert è avvenuto a sua insaputa, forse a Bolzano, nel periodo di radio club, tu a quei tempi stavi lì.”

“Ricordo, rifiutò il posto da corrispondente che gli aveva offerto il giornale, questa non l’ho mai capita, nell’ambiente basta entrare e poi…”

“Aveva visto le probabilità e fatto la scelta migliore.”

“Comunque era fantastico, geniale, aveva attratto tutto l’Alto Adige, a quei tempi non si parlava che di lui.”

“Questo non ha importanza, il tuo destino era stato predisposto fin dalla nascita quindi la cosa può essere avvenuta prima.”

“A me sembra di esserci sempre stata, è importante?” chiede allarmata.

“Per l’analisi sì, c’è il fatto delle tue labbra di gomma, dal segno probabilizza che quando avvenne il transfert dovevi essere preda di pensieri turbinosi che non riuscivi a controllare, lui li ha provati e sa cosa vuol dire, inoltre che dovevi avere qualcuno che ti consigliava menandoti dove voleva e poi che hai cercato di identificarti con una sua fidanzata che le aveva così.”

Lilli svuota il calice d’un soffio, prende la quarta ostrica, la manda giù poi si china a mordermi il cazzo, lo succhia un po’, si rialza, mi guarda negli occhi e chiede: “Una sola?...lo so, in questo momento vorresti dire che sono di una stupidità straordinaria, non ci siamo scambiati neppure una parola, è così, non ci posso fare niente, i pensieri mi devastavano, ti amavo pazzamente e tu…”

“Una storia fatta di sogni con un destino che ci teneva al guinzaglio impedendoci ogni movimento che non fosse quello che dovevamo fare.”

Lilli osserva le parole e ribatte: “È vero, è proprio così.”

“Acqua passata, quel che avvenne dopo non ha più importanza.

“Questo lo dici tu…anzi, ho capito, sto cercando di rientrare nell’intenzione e poi, lo voglio! Ti ho odiato con tutta me stessa, non so se puoi capire e adesso…”

Dal cartellone sul Empire si vede uscire John Wayne al galoppo seguito dalla torma di indiani, cavalcano sopra il traffico a rotta di collo, John Wayne con una mano suona la carica con la tromba e con l’altra spara alle spalle senza guardare ed ogni volta ammazza una ventina di indiani che crollano a terra coi cavalli svaporandosi tra i passanti ed i mendicanti, si impennano facendo una giravolta per aria a testa in giù e rientrano nel cartellone che si mette a lampeggiare e ululare, subito dopo si vede Silvester Stallone vestito da Rambo con un grosso mitra in mano e la fascia insanguinata in testa dire: “Io tornerò e vi libererò!” subito dopo dagli altoparlanti di un negozio si sente una voce di un sergente gridare: “Arrivano, avanti, uscite fuori, non fate i vigliacchi!” i passanti si mettono a saltare ed a marciare guardando da tutte le parti, da una finestra si sente il tuono di cannonate e poi il sibilo dei proiettili ed altre esplosioni e tutti si buttano a terra, più avanti, sulle strisce pedonali, in mezzo al traffico fermo al semaforo, si vede uno vestito da Rambo impazzire e sparare sulla folla gridando, urla, clacson che suonano, interviene la polizia e lo abbattono in una pozza di sangue, molti sono a terra agonizzanti, si sentono sirene ululare e grida: “Mani in alto, siete circondati!” “Buttate le armi o sparo!” poi sul cartellone appare la faccia di un benpensante dire: “I bambini vanno tutelati, prima di tutto la famiglia!” poi il frastuono di un bombardamento, un esplosione nucleare e mentre l’eco si attenua, dalla palina di un autobus si sente la voce sofferente di John Wayne dire: “Voi non c’eravate, non potete capire…”

Lentamente torna la calma, i passanti superstiti si rialzano e dopo un po’ ritorna il solito via vai.  

 

Sulla strada i marciapiedi sono gremiti, si vede gente di tutte le nazionalità, bianchi, gialli, neri, rossi con varie sfumature intermedie, tutti camminano velocemente, gli scalpiccii dei loro passi battono il selciato tamburellando e strascicando sul coro lamentoso di : “Un soldino, fate la carità, ho fame…” dei mendicanti e sul tintinnare dei cent che cadono sui loro piatti.

Lilli ingoia la quinta ostrica, si lecca le labbra, beve un sorso di champagne, fa un ruttino coprendosi la bocca con una mano, ride poi si avvicina ed allunga un piede per toccarmi il cazzo facendomelo venire subito duro. Guardando la strada dice: “Che casino, sembrano acciughe pressate in un barile.”

Prendo la sesta coppia di ostriche per aprirle e continuo: “La capitale del mondo, tutto il mondo è la forma di un paese, un universale minore dove sono rappresentate le parti del maggiore, New York deve essere proprio così. I problemi di affollamento e la miseria sono effetto del sistema, l’evoluzione del fenomeno da zero a tot, le parti di universale crescono ed a un certo punto entrano in contatto e non trovano più spazio per svilupparsi ed allora bum! cambiare le cose non si può e diversamente sarebbe peggio, ci sono milioni di anziani intossicati dalle medicine ed interessi esorbitanti da pagare per il debito pubblico, sarebbe un massacro, lasciamo andare le cose al loro destino come è per noi.”

La dodicesima ostrica cede alla leva e si apre diffondendo nell’aria un pesante tanfo di decomposizione. Dentro il mollusco è morto fuso in un miscuglio putrescente  in mezzo al quale c’è un grumo sferico nerastro.”

Lilli si tappa il naso con le dita e chiede: “Cosa succede, l’autore non ci ama più?”

Stacco il grumo, l’annuso, è  un segno, la puzza è rivoltante ma non si sente, lo lecco per analizzarlo, il gusto è…difficile trovare la parola per descriverlo, bisognerebbe capire prima la politica e la necessità della ragion di stato. Dico: “Questa è la vergogna, era chiusa nella Shell, dentro il tuo utero.”

Lilli arrossisce, mi guarda di sbieco e con la libertà dell’ebbrezza per lo champagne bevuto ribatte: “Sei abile, questa psicanalisi punge, trafigge…mi sembra come quando ero bambina ed andavo a confessarmi, il prete voleva sapere anche quello che pensavo, era imbarazzante ma con te è ancora peggio, avevo un diavolo dentro che mi obbligava a mentire, lui sapeva tutto di me, sei tu quel diavolo.”

“Il compagno di Lilith, la diavolessa.”

Lilli mi guarda fisso, apre la bocca per ribattere, la richiude, rimane assorta per qualche secondo e dice: “Forse ho capito.”

“Hai capito un tubo! I due erano già fuori dall’intenzione innestati dal transfert generazionale, il serpente e Eva. L’autore calcola le probabilità, il diavolo non c’entra, solo gli scrittori, quelli veri, sono in grado di calcolare le probabilità cioè di vedere quel che sarebbe se e questo dà loro il potere di impostare la causa prevedendone gli effetti a lungo termine. Naturalmente per il livello degli uccelli tigre saper scrivere non basta, bisogna essere anche filosofi cioè saper padroneggiare il sillogismo e per osservare il canone bravi enigmisti. L’organizzazione, i cabalisti esoterici che governano il mondo è qualcosa di tutto ciò ma a differenza dell’autore non sanno improvvisare e non possono uscire dal cliché storico impostato. Questo grumo ti è stato innestato quando eri bambina, probabilmente hai subito un’operazione così come all’autore avevano storto i denti.”

“Un inferno! Avere una voglia da impazzire e non potere, la mia vita!”

“Capisco benissimo, ti puzzava la figa, la cosa va vista con filosofia, prima di tutto bisogna calcolare che diversamente sarebbe stato peggio quindi far buon viso a cattivo gioco.”

Lilli arrossisce e dice: “Che vergogna, adesso lo sanno tutti, come farò a…”

“La diavolessa si preoccupa di quel che pensano i cani?”

Lilli ride e risponde: “No…ho capito, anche l’autore, mi son chiesta tante volte come fa…ma i diavoli stanno all’inferno, in questo momento se ti avessi tra le mani nei fatti…chissà cosa ti farei…anzi, lo so, te la spiattellerei sulla faccia e ti direi: “Lecca!” tutti questi sbrodolamenti a parole mi hanno fatta…”

“Vuoi dire che prima ti trattenevi?”

“Ho capito signor mago, è vero, stavo sempre sulle mie ed adesso non mi importa più di nulla, mi sono sbrodolata, una fontana. Però non è facile far buon viso a questo gioco.”

“Al nostro livello ogni cosa è utile, la figura del catarro della zingara che ci ha permesso di camminare nel mondo dei morti. Anche il me di New York dovrebbe averlo capito, l’autore lo ha già toccato, quella volta nel Vietnam sia i suoi compagni che i vietnamiti erano attori in accordo fra loro che recitavano per fargli credere una cosa non vera ed impostare il programma, lui si comportò così perché così si doveva comportare anche se non lo sapeva. Un attore tra attori, un imbroglione che ingannava altri imbroglioni che lo stavano ingannando così il conto torna. L’autore non ha pietà di se stesso quindi il resto è conseguenza, l’esempio si segue. Torniamo a noi, gli intellettuali maggiori hanno un’importanza relativa e devono sapersela sbrigare da soli ognuno sul suo campo mentre quelle suore che stavano sulla torta…ognuna è stata clonata sul tuo modello quindi ognuna ha la figa che puzza che condiziona il comportamento, questo facilita le cose perché studiandone una si studiano tutte.
 
 

Sul cartellone elettronico dell’Empire appare una camera sontuosamente arredata con una grande finestra aperta. Le tende bianche finemente ricamate si muovono al vento lasciando intravvedere il panorama di New York. In mezzo alla stanza c’è un letto faraonico ricoperto di drappi e cuscini vaporosi, sopra adagiato su un fianco c’è un nero dal corpo flessuoso e ferino, il viso bello con le labbra carnose e gli occhi luccicanti vestito solo di uno slip di pelle di leopardo che guarda sorridendo verso il pubblico. Sull’aria di uno jingle l’immagine zooma ingrandendosi sugli slip gonfi e modellati sul cazzo sottostante poi appare lo slogan di una ditta di mobili e dopo un flash accecante la scena si sposta nel bagno di una  casa popolare dove si vede un cesso vecchio e incrostato, mentre l’immagine zooma verso la pozza scura in fondo al water una voce maschile dal timbro morbido e caldo dice: “Liberati dai cattivi odori…” la scena cambia di colpo, si vede una picchiata ripresa a velocità supersonica dall’abitacolo di un aereo verso una catena di montagne dalle cime innevate e la voce continua con enfasi: “Tuffati nel vento ad alta quota, nell’aria pura!” segue il logo di una ditta di prodotti per l’igiene intima femminile poi la pubblicità cambia e si vede uno spogliatoio dove una squadra di football si sta cambiando ridendo ad alta voce.

Sulla strada molte donne si stanno pinzando il ventre con le mani sollevandosi le mutande, molte altre scantonano in strade secondarie o entrano frettolosamente dentro portoni o negozi, da un grattacielo sullo sfondo se ne vede una buttarsi dal sessantesimo piano…

Dal tabellone dell’Empire esce il letto con il fantasma di Marylin seguito dalla scorta di gorilla sui cancri, ci vengono incontro velocemente e mentre i gorilla si arrestano a distanza il letto ci gira intorno. Sopra il fantasma, sempre avvolta nel sudario semitrasparente, è immobile come morta con le mani incrociate sul pube, alza leggermente la testa ed apre un occhio per guardarmi poi come si accorge che l’ho vista lo richiude e letto e scorta tornano velocemente dentro il tabellone.

Lilli osserva, deglutisce rumorosamente, si scrolla la testa poi mi guarda e chiede: “Questa che cosa vuole?”

“Dev’essere la tua collega di New York, devo averla pizzicata.”

“Quella è la Monroe, una morta.”

“In tema con lo slang di New York, si deve essere identificata. Dobbiamo tornare alla filosofia ma prima succhiamelo un po’.”

Lei non si fa pregare ed inizia subito a spompinarlo, mentre mi sta venendo duro come una mazza da baseball riempio i calici e prendo i pasticcini poi prendo lei, la faccio sedere sul cazzo ed inizio a penetrarla.

Lilli geme e dice: “Fai piano, sono ancora asciutta.”

Lo spingo dentro a forza, le pareti della figa si dilatano strette ed iniziano a sbrodolare, lo ficco sempre più profondo fin quando riprende a scorrere sciolto e le cosce mi si allagano del suo liquido vaginale. La sistemo comoda con la schiena appoggiata alle ginocchia e prendo un bignè, le appiccico un ricciolo di panna su un capezzolo e lo succhio avido mordendolo insieme ad un getto di fuoco.

Lei mi stringe i capelli tirandoli con una mano e dice: “Sto iniziando a capire la tattica dell’autore,  un livello superiore che si può vedere solo se non si dà peso alle parole, qualsiasi esse siano. Queste figure sono…è vero, pubblicità che stimola delle reazioni inconsce, lui dev’essere veramente un genio, un superuomo.”

“Superman!” ribatto ridendo,  “Quello che hai detto è falso, ogni uomo ha un suo mestiere naturale che ai vari livelli è pari a quello dell’autore ed è vero perché nella mentalità tu lo credi. Vero è falso, nominalismo. La parola esatta è un uomo.”

Sgranocchiamo qualche pasticcino, svuotiamo i calici, accomodo bene spingendo e roteando l’uccello nel suo nido e continuo: “Il concetto di Superman è radicato nello slang di New York ed ha origine dalla lingua tedesca. In filosofia è espresso da Nietzsche sul nominalismo di Kant, l’uomo è superuomo. Il superuomo di Nietzsche si traduce in Zaratustra, un morto da millenni quindi è naturale che la tua collega si immedesimi in una morta. L’origine ci riporta a Teutoburgo, i fantasmi delle legioni romane e della banda di Arminio. Arminio era un romano e le cose potrebbero essere andate diversamente, forse furono le legioni ad ammutinarsi a Varo il giudeo ed a unirsi a lui andando poi a fondare una colonia dove le lingue si fusero ripetendo la storia di Roma come fecero gli ammutinati del Bounty e forse possono essere avvenute entrambe le cose in tempi successivi, in ogni caso è da quelle legioni che hanno origine gli attuali tedeschi.  Comunque sia ad inserire l’idea del superuomo nel linguaggio furono i legionari romani che avevano idolatrato Giulio Cesare che ai quei tempi era già morto da un pezzo. Giulio Cesare suona con Gesù Cristo e Giuda Iscariota, le lettere sono comprese in entrambi i nomi e l’intenzione addormentata le recepisce, la figura di un eroe e di un traditore che poi la storia di Tacito scarica su Arminio, quindi su Ermes, quindi su Pan e Ermafrodito.”

Lilli prende un bignè, mi sporca il naso di panna, lo morde leccandolo poi ingoia il pasticcino, lo mastica ondulando su è giù il ventre sul cazzo e dice: “Questa filosofia, chi ci capisce?”

“Ti faccio l’esempio, il super uomo segue la logica di Kant, trascende dall’uomo cioè lo supera, va da un'altra parte. Adesso guarda, se uscissimo da noi dove andremmo?”

Lilli guarda e risponde: “Fuori, sulla strada…”

Allora guarda quel cane vicino a quel barbone laggiù che chiede l’elemosina, è fuori dall’uomo quindi il superuomo è un cane!”

Lilli dice: “È vero ma potrebbe anche essere quello là che corre con la valigia o quella macchina sgangherata o quella casa…”

“Potrebbe essere qualsiasi cosa, se non è nome è forma, l’universale. Siccome nel nominalismo il nome è forma il cane è qualsiasi altra cosa ed ogni cosa è cane. In filosofia la nominazione si esprime con il sillogismo naturale interpretato da Aristotele per classificare la natura, il formale tutti gli uomini ragionano, il nominale l’autore ragiona, la finale la forma dell’autore è l’uomo, cioè la legge universale che determina cos’è l’uomo, ne consegue se ragiona è umano se non ragiona è bestia quindi tutto ciò che non ragiona è bestia, come quel cane.”

Lilli si assesta il cazzo nella figa con flessuose movenze dei fianchi e continua: “Non ci ho capito un tubo…ho forse sì, sarebbe come dire che la super donna che credo di essere è in realtà una super oca e se uscissi dall’oca potrei tornare una donna e allora…” inarca il sedere muovendo voluttuosamente la figa su e giù per la lunghezza del cazzo e conclude: “Ci siamo capiti…?”

“Perfettamente. Il problema è questo…”

Prendo il grumo pestifero sull’ostrica marcia e lo ingoio come un segno all’elaborazione.

“La puzza di figa.” Mormora Lilli sbuffando.

“Proprio così, l’autore c’è l’ha in gola, un alito da maschera antigas e sei tu e le altre super zoccole sulla torta che glielo trasmettono. Torniamo all’analisi, la puzza di figa è la vergogna, la causa della gelosia e dello sdoppiamento dall’intenzione. In filosofia si esprime col nominalismo, la forma è nome e se è nome non è forma. L’enunciato che trascende dal primo falso è vero e nega la forma, la puzza di figa ti fa negare il corpo trasferendoti nella nominalità del pensiero dove ti dividi in una super oca ed in una traditrice, Lilith ed Eva. Rientrare nell’intenzione non è facile ma neanche difficile, probabilmente le cose sono già tutte al loro posto, è solo la gelosia che le tiene nel caos. La prossima figura è impegnativa, prima di disegnarla l’autore vuole dare un’idea di come dovrebbe essere confrontando il canone con la torta nuziale che poi diventa una fontana inaridita che inizia a colare di liquido vaginale. La fontana è la forma universale e non è nome, cioè l’uomo che ragiona quindi è donna. Il canone è formato da due scale musicali, una ascendente ed una discendente unite in contrappunto. Una scala musicale è formata da dodici semitoni, ogni piano della torta è un semitono, una parte dell’universale dove c’è una zoccola rappresentante della parte che cola alimentando la fontana. Ogni semitono produce una nuova scala, quella di do diesis, re, re diesis ecc. dove ogni nota e rappresentante di una parte del piano della torta e le parti del piano continuano a dividersi in semitoni fino a completare l’umanità. Con la puzza di figa del nominalismo le note sembrano tutte uguali, non suonano e la fontana è spenta, a stare sulla fontana non sono i corpi ma immagini di abiti di suore vuoti che negano la forma trasferendosi nell’immaginario collettivo, nel sillogismo naturale invece ogni nota suona in modo diverso, do, re,  mi, fa…e sbrodola a tutto andare. Bisogna capire il concetto di nota, la legge universale che stabilisce che cos’è una nota come la ragione per l’uomo. Una nota è un suono, il movimento di un’onda che si muove nell’aria da zero a tot  producendo un rumore, in questo ogni getto della fontana è un’onda che produce un suono quindi è una nota, la legge universale è comune a tutte quindi chi suona è nota chi non suona non è nota.”

Lilli preme affondandosi il cazzo fino in fondo e dice: “Vuol dire chi sbrodola è nota e chi non sbrodola non lo è.”

“Esatto, è la vergogna che modifica il comportamento identificando tutte le note nella morta invasata che sta sotto la fontana rendendole uguali, il meccanismo viene montato sui corpi e la psicologia si adegua in modo automatico. Probabilmente ogni nota è già al suo posto ma crede di essere morta e non sbrodola. Si può vedere in un altro modo. Ogni nota è una parte di universale composta da uno spazio limitato da due punti di tempo che la separano dalla nota prima e da quella dopo. Nel nominalismo lo spazio è tempo, cioè limite. Lo spazio tempo di Einstein la cui logica è fondata sulla fisica di Kant, il giudizio a priori, cioè il noumeno concettuale è corpo. Il noumeno è l’idea platonica, una forma astratta, un’immagine di perfezione che ha un corpo stabilito per convenzione, nominalmente, con un giudizio a priori e si può vedere solo con il pensiero, come dio. Lo spazio tempo stringe lo spazio in un limite tempo, una data al passato e dilata il punto nello spazio, questo significa che l’intenzione si concentra sul grumo nell’utero che causa la puzza associato ad un fatto passato causa di vergogna che si è impresso nella tua memoria aprendosi poi in un immaginario che non è la realtà ma una mentalità che viene tramandata dal transfert generazionale, un mondo di morti. La figura che si vede è quella di una siringa, lo spazio viene iniettato in un punto data e si trasforma in sogno. Si vede una pera di eroina che sviluppa il sogno di un morto che risorge collegata ai cristeri d’oppio del dottor Faust e l’autore ha intuito un collegamento con Windows e la Microsoft.”

Lilli assaggia un pasticcino, lo mastica guardandomi negli occhi e dice: “Tutta questa filosofia mi sta facendo scoppiare la testa, fammi tradurre, vuol dire un ricordo che…non ti si può nascondere nulla, è vero! Non mi sono mai vergognata così tanto, l’autore ha visto bene e se devo essere sincera quello che mi fa  più rabbia è che non sia geloso ma adesso non m’importa più niente, significa che nei fatti sono concentrata nella puzza di figa chiusa in quel ricordo ed esteriormente un robot che imita quello che vede fare agli altri, è questo che intendevi quando hai detto che sono stata manipolata…però adesso sono qui con te ed anche nei fatti, m’hai riportato bambina e non faccio che sbrodolare, mi sento dentro come un oceano trattenuto che sta per esplodere, gli argini stanno cedendo, prevedo un’inondazione spettacolare…”

“Ogni cosa a suo tempo, il tuo essere vero è nella puzza di figa, nel grumo dentro l’ostrica marcia e viene fuori se sollecitato da determinati stimoli, cioè chiunque sopporti la tua puzza diventa…”

Lilli mi chiude la bocca con un bacio e dice: “Ho capito, mi fa fare quello che vuole…come sta facendo l’autore…mi sta rimodellando, mi sento tutta pacioccata, m’è venuta una voglia…”

“Adesso il collegamento con Windows, il ricordo è l’hardware di un file il cui software contenuto è la puzza di figa, come tutti i fenomeni ha una durata da zero a tot e deve essere continuamente aggiornato dalla pubblicità altrimenti la puzza di figa scoppia come una bolla di sapone.”

Lilli preme la figa sul cazzo facendo sprizzare un getto effervescente di liquido vaginale e risponde: “Perfettamente, ma tu, volevo dire l’autore, che cosa farà se non gli puzza più il fiato con tutte quelle troie che gli girano intorno?”

Dal tabellone dell’Empire con gran fracasso di trombe e tamburi esce il letto  seguito dalla scorta, si avvicina velocemente e si ferma a pochi centimetri  dal cancro dove siamo. Questa volta Marylin è seduta sul letto e guarda apertamente. Due grossi gorilla escono dalla scorta e le si accostano apostrofandola con grida da scimmie, uno è nero con una casacca di giocatore di football, l’altro grigio, calvo col camice da medico ed il naso grifagno. Marylin estrae una grossa colt da sotto il cuscino e spara due colpi in faccia a ciascuno spappolandogliele. I due cadono morti insieme ai cancri svaporandosi tra i passanti e le macchine sulla strada. Torna a guardarmi roteando la colt  con aria minacciosa poi ride, soffia il fumo che esce dal tubo della pistola pronunciando ad arte due belle labbra da pompinara e rimette la colt sotto il cuscino, quindi si toglie la parrucca mostrando una testa rasata dalla chemioterapia e le fattezze del suo volto si modificano in un'altra per il momento ancora anonima, salta sul nostro cancro, si piega per annusare la figa a Lilli rimasta immobile a sbrodolare con mezzo cazzo dentro, arriccia il naso poi mi annusa il culo, le ascelle, la bocca, i capelli, mi bacia gli occhi strusciandomi le tette sul braccio mentre mi pizzica il sedere e dopo aver bevuto un sorso di champagne risalta sul suo letto allontanandosi. La scorta la segue, Marylin riprende la colt e gli spara addosso a casaccio abbattendone un paio e mentre i superstiti rientrano gridando spaventati nel tabellone dell’Empire lei svanisce allontanandosi tra i tetti dei grattacieli.

Lilli dice: “Non sono gelosa ma se non l’ho sbranata è stato un miracolo.”          

 
                   La dinamo

Nel vuoto creativo della pagina si forma una nuova figura disegnata dalla probabilità, l’immagine cresce come un fungo un pezzo alla volta, si vede un mulino girare le pale al flusso della pubblicità, il mulino si trasforma nella tonaca di un frate col cappuccio alzato inginocchiato a terra, solo l’abito gonfio come se dentro ci fosse qualcuno che non si vede, le pale diventano gli abiti di dodici suore avvinghiate al frate a testa in giù con la gonna sollevata, le gambe strette al suo collo e la faccia premuta al cazzo nella figura di un sessantanove multiplo.

Le suore girano a turno, undici sono vuote e ardono di gelosia, solo quella che nel giro si trova di fronte al frate ha una consistenza. La faccia della suora sta nel cappuccio del frate ed ha la forma della figa che  si sta leccando mentre la faccia del frate è quella della suora e si ingoia il cazzo sotto che cresce gonfiandosi dentro la sua tonaca fino ad uscire dalla figa sopra, la faccia figa del frate suora lo morde per ripicca tranciandone un pezzo che si va a bloccare nella gola, cioè nell’utero dove arde pestilenziale consumandosi lentamente.  L’immagine dura da zero fino alla consumazione totale del moncone poi con uno scatto avviene uno spostamento e la scena si ripete  con una nuova suora e continua a girare fin quando il cazzo è completamente divorato. A questo punto le suore non sono più gelose, la dinamo si ferma e muoiono tutti.

L’immagine non è canonica, segue la logica del nominalismo  di Giordano Bruno, l’uno è tutto, tutte le suore sono una mentre il frate è tutte le suore.

La dinamo si trasforma nel forno crematorio calderone di Wall Street dove col passamano gli aguzzini buttano dentro a bruciare sacchi di denaro provenienti da ogni parte del mondo per la conversione in dollari, Manhattan diventa un cimitero monumentale, i grattacieli più alti le tombe di famiglia col capostipite circondate da tombe più piccole con i parenti discendenti disposte come roulotte e baracche in un accampamento di zingari e alla periferia un campo sterminato di croci e tombe interrate. Sopra si muovono i morti che escono dalle tombe e tutti lavorano per alimentare la pubblicità che fa girare le suore intorno al frate.

“Una figura complessa.” Commenta Lilli grattandosi la gola con un gesto involontario.

“Molto complessa, è un noumeno, la figura del pensiero, per essere precisi una foto di un istante del pensiero che si sta formando.”

“Non c’ho capito un tubo.”

“È comprensibile, solo un filosofo in grado di fare i collegamenti del sillogismo può farlo. La logica di Bruno è uno è tutto che equivale a il nome è forma. Uno è tutto si può dire anche tutto è uno, tutto è tutto e uno è uno, ce ne sono due vere e due false, questo è un dato poi ogni parte può essere qualsiasi altra parte, la figura è nominale e non è canonica quindi in realtà non c’è niente.”

“Continuo a non capirci un tubo!”

“Eppure è proprio un tubo, un’intubazione, una siringata…la nominazione delle parti è data a priori, ti faccio un esempio pratico, nel cappuccio del monaco prova ad immaginarci un culo.”

“Va bene.”

“Adesso immaginaci una mano o un piede o un sacco di immondizia o un asciugacapelli…”

“Fatto.”

Ci si può immaginare qualsiasi cosa e lo stesso vale per tutte le altri parti della figura, prima si dice il nome e poi nello schermo del pensiero appare la forma, non ha corpo, è solo immaginata. È proprio come il computer, lo schermo del pensiero è diviso in pixel ed ogni pixel in sé è una pagina che contiene all’interno tutte le immagini immagazzinate nella memoria e possono essere chiamate a piacere, lo schema è quello di un processore di macchina fotografica digitale, la pubblicità fornisce la sequenza di informazioni di ogni pixel della foto ed il processore cioè l’intenzione la digita automaticamente facendo apparire l’immagine completa nel pensiero.”

Lilli si gratta la testa e dice: “Da impazzire, sono solo un’oca, fai un esempio più chiaro.”

“Come nel tuo lavoro, prima impari a memoria le domande da fare e le cose da dire coi partecipanti, le registri e poi il programma viene mandato in onda. L’interpretazione del canone è solo per i livelli superiori, non è una cosa da capire ma da guardare, limitati a questo. Tante parole e continuiamo a girare intorno al palo della gelosia.”

“È così, non ci posso fare niente.”

“Una nominazione preconcetta, dobbiamo trovare un accomodamento diplomatico, l’autore ormai è vecchio, a lui non importa più nulla di nulla e desidera solo rinascere.”

“Questo lo dici tu.”

“È lui che lo scrive, da quando ha scoperto la tua importanza ha dovuto rivedere tutti i suoi piani ed adesso non vuole più trarre conclusioni fino al risultato. Se quella volta a Bolzano ti avesse vista è probabile che sarebbe rimasto fulminato e poi, con tutte le catene che lo legavano al dovere avrebbe potuto sola battere la testa contro un muro,  come quella tigre chiusa nella gabbia dello zoo di Torino.”

Lilli mi morde la gola piantandomi le unghie nella schiena e ribatte: “Allora capisci quello che mi è successo.”

“Era una situazione straordinaria, i morti ti avevano già modellata a loro immagine preparandoti all’incontro, nella tua immaginazione dovevi aver programmato tutta la nostra vita, quanti figli, i nipoti ed anche il piccolo cimitero sulle dolomiti dove ci avrebbero sepolti insieme dopo morti. Eri pazza!”

“Qualcosa del genere…” dice trattenendo un sorriso,  “Come fai a saperlo?”

“Probabilità. La probabilità per essere tale si deve confrontare con un fatto analogo accertato dall’esperienza, adesso le possiamo usare per vedere quel che sarebbe stato tra noi in una situazione normale dopo essere stati fulminati uno dall’altra, ti va?”

“È l’autore che scrive, cosa vuoi che ti risponda?”

“Allora guarda.”

L’abbraccio stringendola al petto e la bacio, iniziamo a slinguarci e intanto premo il cazzo nella sua figa e lei ci si schiaccia sopra roteando il ventre, le acque si sciolgono e diventano fuoco di passione, una fame divorante, un’estasi, un’esplosione dei sensi, stelle che esplodono in un cielo che si allarga all’infinito in una tempesta d’amore…

Lilli si stacca dal bacio e ansimando dice: “Sì, qualcosa del genere, l’autore è fantastico.”

“Non ti fare incantare, in linguistica è un climax, una figura retorica, per lui è solo mestiere. Questo sarebbe stato all’inizio, col talento che ha lui sarebbe potuto diventare uno scrittore affermato in tutto il mondo già dai tempi del liceo e la Lilli nei fatti avrebbe potuto continuare a fare la giornalista, adesso vediamo le probabilità che seguono.”

“Lo so già, ci saremmo amati tutta la vita.”

“Questo lo dici tu ma nell’esperienza non si trova nessun caso analogo a parte in qualche favola per educande cretine. Analizziamo la tua probabilità dopo, a esagerare, vent’anni”

Si vedono Lilli e l’autore nei fatti abbracciati nudi come sulla pagina dentro una discoteca, intorno a loro ci sono centinaia di ragazzi e ragazze, tutti belli ed arrappanti, che ballano scatenati. Dal mento di uno e dell’altra cresce una lunga barba bianca che gli si attorciglia intorno avvolgendoli come un’unica mummia.

Lilli guarda e commenta: “È un caso estremo, conosco un sacco di coppie che sono state insieme amandosi tutta la vita.”

“Questo nei fatti potresti dirlo perché la puzza di figa ti ha identificata in uno standard piccolo borghese che la tua vera natura non accetterebbe mai. Comunque analizziamo la probabilità.”

Si vede Lilli grassa e sciatta ai fornelli che cucina con uno stuolo di bambini intorno che strillano cagando e pisciando sul pavimento gridare contro la serva che non ha lucidato a dovere l’argenteria mentre l’autore è in giro per il mondo facendoselo succhiare da tutte quelle che gli pare, poi torna a casa, la bacia distrattamente e prima della sfuriata di gelosia corre a chiudersi nel suo studio.

Lilli strilla: “Questo è impossibile, avrei chiesto il divorzio prima di ingrassare!”

“Sono d’accordo, allora analizziamo questa.”

Si vede l’autore con due grandi corna sulla fronte crocifisso in camera da letto e Lilli in giro per il mondo che lo succhia a tutti quelli che le pare, poi torna a casa, si mette un abito da suora e si inginocchia davanti al crocifisso raccontandogli un sacco di balle mentre gli sbocconcella il cazzo distrattamente.”

Lilli guarda e dice con stizza: “Questo è quello che faceva quella puttana che ti scopavi allora. Come fai a saperlo?”

“Probabilità. Comunque è quello che avresti fatto anche tu come fanno milioni di altre. Quella puttana non è da sottovalutare, se per un certo tempo l’autore l’ha messa in cima alla torta aveva i suoi motivi.”

“Pubblicità…” dice Lilli rivedendo la sua vita,  “ho capito cosa intendevi quando hai detto che anche lui burattinava.”

L’abbraccio, la muovo un po’ su e giù sul cazzo stringendole i lombi con le mani accarezzandole l’ano con un dito e facendo strusciare la figa sul ventre, aspetto che lo sbrodolio riprenda a scorrere copioso e dico: “La natura delle donne. Il problema è la gelosia, è stata innestata col transfert generazionale ed il comportamento è conseguenza. Comunque queste sono le probabilità, non ce ne sono altre, in un caso o nell’altro sarebbe stata la nostra vita, una grande ipocrisia, uno squallore.”

Lilli mi abbraccia premendomi le tette sul petto, dai capezzoli gonfi esce una lunga colata di amarezza e poi si mettono a sprizzare scintille. Sbaciucchiandomi qua e là con labbra palpose dice: “Sono solo parole, una lunga scopata sbrodolante, sono giorni ormai, una cosa così non mi era mai successa, non so più cosa dire, cosa fare…quello che hai detto è vero, è così dappertutto e non poteva essere per noi, intanto la gelosia c’è, cosa intende l’autore per accomodamento diplomatico?”

Sotto il cancro la vita dei morti di New York continua tra le invocazioni dei mendicanti, i ricordi del Vietnam e le cavalcate di John Wayne inseguito dagli indiani, un’immagine statica che fa sempre le stesse cose ridondata su tutto il pianeta.

Dopo aver risposto ai baci con un lungo slinguamento rispondo: “I morti non possono morire e neanche rinascere, il fantasma del dottor Faust che si è impadronito dell’umanità, invidia e gelosia, si possono solo ripristinare su altri corpi dopo ogni rivoluzione storica, per poterlo fare devono prima negare la causa che li produce sacrificando un capro espiatorio rappresentante della ragione umana che inverta la loro menzogna in verità. Ci vuole una grande serietà, l’autore non chiede accomodamenti, lo devi capire da sola. Abbiamo visto che esiste un modo, se educati da bambini, che la mentalità sia altra e non esiste gelosia e tutte le volte che ci incontriamo sono fuoco e fiamme, atteniamoci a questo. Ormai il me di New York è avvertito e la tua collega anche quindi sono solo affari loro. Ce ne deve essere anche una nera che le puzza la figa e condiziona l’opinione pubblica molto importante, l’esempio si ripete quindi dai segni si dovrebbe riconoscere, l’autore preferisce lasciarle nell’incognito e poi ce ne deve essere uno nero, un intellettuale maggiore della scala. Questo l’autore sono anni che lo studia, la sua situazione deve essere tragica e la sua importanza fondamentale, si tratta del negro dello zar, ormai il riferimento si collega a Giulio Cesare ed alla mentalità inserita nella lingua tedesca, nella storia e nei libri non ci sono riferimenti per rintracciarlo a parte il racconto di Puskin,  l’Otello ed il nominalismo applicato all’imperatore Nerone, il nome è forma, Nerone è un grosso nero e quindi la sua vicenda. Questo l’autore lo ha messo all’albergo, è Tommy e intende studiarlo nelle prossime pagine osservando le figure del canone. Ormai qui quello che dovevamo fare l’abbiamo fatto, possiamo andarcene.”

Do uno schiaffo al groppone del cancro, questo starnuta un paio di volte poi riprende a scoreggiare e si alza in volo sopra i grattacieli di Manhattan.

 

Su New York è notte, le luci della città si riflettono sulla baia di puzza di figa facendola risplendere come un lago magico, con l’immaginazione e qualche pacca sul fianco faccio girare il cancro avviandolo verso l’uscita del sogno.

Dopo un cin cin svuotiamo i calici poi glielo sfilo e mentre lei me lo succhia da sotto mi sporgo sopra la sua schiena, le apro bene il sedere e schizzo sull’ano la crema di un profiterole, aggiungo un po’ di panna e inizio a leccarlo facendolo diventare morbido come burro quindi la giro alla pecorina e glielo infilo in culo affondando lentamente.

Lilli si inarca gemendo e ringhia: “L’autore! Se l’avessi tra le mani lo piglierei a schiaffi, gli mangerei il cuore, questa è una tortura psicologica, sto sbrodolando da tutte le parti!”

“Che ti importa di lui? Quando lavora gli piace divertirsi, sono solo parole, nei fatti sarebbe meglio ed è questo l’obiettivo.”

Dalla città esce un grappolo d’uva che avanza velocemente verso di noi lasciando dietro di sé una lunga scia di gocce luminose e scintillanti, arriva e si mette a girarci intorno, ci sono dodici streghe nude tutte giovani di ogni tipo e sfumatura e una più bella dell’altra da non saper dove cominciare, cavalcano scope con la spazzola fiammeggiante e lunghi manici a forma di cazzo dove ci strusciano la figa sopra sbrodolando cascate di fuochi artificiali, ci salutano schiamazzando di gridolini goduti e poi ci guardano fin quando usciamo dal sogno.

Arriviamo sulla collina giusto in tempo, il cancro esaurisce la carica del fulmine e scoppia come una bolla di sapone scaricandoci a terra. La torta nuziale rimane qualche secondo a ondeggiare per aria, sulla cima semicoperta dalle nubi appare per un istante una guglia gotica poi tutta la figura svanisce in un soffio.

Lo sfilo dal culo di Lilli e ci rialziamo. È sera, la luna piena sta sorgendo da dietro una collina, tutto intorno le foglie delle viti riflettono la luce imbiancandosi di latte.

Lilli me lo sbatte con una mano facendolo dondolare come un metronomo poi mi abbraccia stretto, mi bacia facendo sprizzare dai capezzoli sfrigolii di desiderio  e dice: “Questo non è mestiere, è arte, la più bella dichiarazione d’amore che mi abbiano mai fatta.”

“Parole, non ti fare incantare, l’autore può cambiare idea quando gli pare, nella politica non c’è spazio per i sentimenti e neppure per i capricci di un’oca, adesso rivestiamoci, se continuiamo a trastullarci non la finiamo più.”

“E come? Gli abiti sono tutti strappati.”

“Improvvisiamo.”

Ci sistemiamo brandelli di stoffa legandoli e intrecciandoli con tralci di vite per coprire le parti intime e torniamo alla macchina, partiamo e dopo un’oretta arriviamo all’albergo. Non dico cosa mi fa durante il tragitto perché altrimenti si farebbe troppo lunga.

“Se cambi idea ti uccido come un cane!” ruggisce uscendo dalla macchina.

Nel salone, sulla musica vivace che esce dalle casse di uno stereo si sta svolgendo una festa in maschera, i tavoli sono ricoperti da bottiglie di champagne e plateau colmi di pasticcini, gli uomini si sono travestiti da clown e le donne da conigliette con tute di pelo aderenti, le orecchie lunghe ed il pom pom bianco sul sedere. Molti ballano altri bevono chiacchierando e dandosi sonore pacche sulle spalle tra risate sguaiate.

Sono  tutto ricoperto di liquido vaginale appiccicaticcio cosparso di pagliuzze e granelli vari, la prendo per mano e procediamo per il corridoio verso la camera. Come se ci aspettasse in agguato salta fuori Circe vestita con un grembiule sottoveste corto traforato sopra il corpo nudo, i seni coi capezzoli gonfi sporgono prepotenti da sotto il tessuto, i capelli sparsi di brillantini intrecciati verso l’alto a torta nuziale, ai piedi scarpe nere e lucide con il tacco alto.

Con voce sensuale frizzante di verve dice: “Siete arrivati finalmente, c’è una festa…come vi siete vestiti?...avete cenato? Vi ho tenuto in caldo la cena, s’è volete c’è…”

Si interrompe di colpo, si avvicina, mi annusa la pelle poi diventa rossa paonazza, stringe le cosce e continua balbettando: “Scusatemi…sono molto…a me basta nulla…ci sono cose che…”

Lilli, aspra, dice: “Abbiamo avuto una giornata faticosa, adesso saliamo per…”

Le pizzico il sedere zittendola e continuo: “Farci una doccia, cambiarci e poi veniamo per la cena, siamo affamati come tigri.”

“Va bene.” ribatte Circe balbettando civettuola con un dito in bocca e lo sguardo altalenante sul mio pacco,  “vi preparerò quello che volete, qualsiasi cosa…”

Stringo la mano a Lilli e la trascino verso la camera: “Abbiamo detto un accomodamento, siamo parole, l’autore deve continuare la storia, personaggi come sul palco di un teatro che recitano la parte, poi, quando avremo finito e si spegneranno le luci della ribalta, allora…”

Lilli sbuffa: “Parole, chi è gelosa? dopo, quando scendiamo, lo succhio a tutti quelli nella sala e vediamo cosa dici.”

Entriamo in camera, ci facciamo la doccia insieme lappandoci da tutte le parti, poi le faccio indossare calze nere con le giarrettiere con una vaporosa minigonna di tulle bianco che copre appena l’orlo delle calze, un body color antracite opaco trasparente senza reggiseno, scarpe bianco avorio coi tacchi a spillo, smaglio le calze in qualche punto per renderla più appetitosa, le sparpaglio il vello sulla testa con le dita e dico: “Il rossetto e gli orecchini sceglieteli tu.”

“L’autore…lo mangerei vivo” strilla lei.

             Il pupazzo vudu.


Indosso una camicia con le braghette e scendiamo, arriva la cena, ci uniamo alla festa, tutto scorre fin verso mezzanotte quando dal luogo della frana si sente una forte esplosione che echeggia a lungo facendo tremare tutti i muri. Con uno scricchiolio le luci si spengono, si sentono i cani del circondario latrare e ululare, da una finestra aperta entra un soffio di vento ansante che ridonda lamentoso rimbalzando sulle pareti fino a spegnersi, dopo qualche secondo si accendono le candele, torna la corrente e la musica riprende a suonare. Sono tutti zitti e immobili, il movimento riprende, molti escono a vedere, la festa continua ancora un po’ in sordina poi la sala diventa deserta.

Verso l’una, mentre Lilli davanti allo specchio si sta sfilando un orecchino guardandomi nel riflesso con occhi famelici si sente un colpo felpato alla porta ed un frusciare nel pavimento fuori.

Lei curiosa va ad aprire. Sui primi gradini della scala che porta al piano superiore della guglia c’è Circe vestita di strisce di cuoio e borchie metalliche col frustino in mano e le redini a cavallo di Tommy che procede carponi col morso alla bocca, il corpo possente lucido di olio con un perizoma maculato che gli copre i genitali lasciandogli scoperto il sedere.

Ambedue hanno occhi sognanti e vaporosi. Circe, con la voce attutita da una lontananza irreale da dove si sentono soffiare appena percettibili cori di gemiti lamentosi dice: “Spero di non avervi disturbati, volevo darvi la buonanotte, ha visto?... se volete noi… adesso andiamo a dormire, buonanotte.”

Lilli li guarda salire qualche gradino e poi chiude la porta, si toglie le scarpe ed il body e si butta sul letto abbracciandomi. Dice: “Che cosa sta succedendo, sono tutta un brivido, sembrava un’altra.”

La bacio qua e là, scendo a leccarle la figa poi risalgo e la abbraccio penetrandola dolcemente. Ci baciamo slinguandoci in un lungo discorso che non si può descrivere a parole e andiamo avanti così per un po’. Distesi guardando le ombre che il vento smuovendo la tenda dalla finestra aperta crea sul soffitto dico: “Circe ci ha invitati, andiamo a vedere.”

Lei mi morde una spalla e ribatte: “Non sei ancora stanco?...Ti piace così tanto?”

“C’è anche Tommy, è un gran bel pezzo di figliolo.”

Lilli allarmata chiede: “Cos’è, il tuo modo di dare il benservito?”

“Non credo che ci sia quel problema, andiamo.”

“No, vai tu, ti aspetto qui.”

Esco dal letto e lei subito si alza: “Aspetta,  non capisco…ho i brividi, vengo con te, fammi mettere qualcosa.”

“Non c’è bisogno, vieni così.”

“Se lo dici tu…”

Usciamo e saliamo le scale. Sul pianerottolo della guglia la porta è socchiusa, dallo spiraglio esce una flebile luce tremolante. La porta si apre in una sala nuda, tonda, con le pareti di pietra squadrate ed un fuoco che arde in un turibolo appeso al soffitto. Ci sono quattro finestre cuspidali una di fronte all’altra senza vetri da cui entra un vento sottile e freddo che fa tremolare la fiamma disegnando le pareti di ghirigori rossastri. Su un grosso letto di ferro al fianco del turibolo con solo il materasso coperto da un lenzuolo c’è Circe, la gola ed il ventre fino al pube  squarciati e sanguinanti, i seni tagliati,  morta in una posa agghiacciante. Un raggio di luna entra da una finestra illuminando il corpo di Tommy accucciato a terra contro la parete.

Lilli si è impietrita sulla porta reprimendo un grido, le faccio segno di non preoccuparsi e mi avvicino a Tommy che la luna sta illuminando come se fosse sotto il fascio di un proiettore.

Ha tutto il corpo cosparso di lividi e gonfiori da bastonature, gli occhi pesti e gonfi, il naso, le labbra ed i denti  spaccati, il pene maciullato, molte ferite sono fresche e sanguinano, negli occhi e sul cuore sono conficcati lunghi spilloni arrugginiti. Piange e geme, con voce sofferente dice: “Non sono stato io…credetemi…”

Continua a ripetere la frase singhiozzando, provo a scuoterlo, la mano tocca il vuoto, un fantasma, un sogno. Ha un sussulto, come parlando  ad un pubblico inesistente che lo circonda continua: “Tutte le notti è così…di giorno sembra e poi arriva la notte, entriamo in camera e lei…non sono stato io…è lei che lo fa, che si riduce così….perchè è gelosa di un altro di cui è pazza, per ripicca contro di lui…per ingelosirlo…  credetemi, non sono stato io…guardate cosa mi fa ,si immagina che sia lui…sono imprigionato nel suo sogno, non posso fare niente…”

Mi allontano, esco, chiudo la porta e dopo aver preso Lilli per mano rientriamo in camera.

Abbracciati nel letto Lilli chiede: “Non dici nulla?”

La stringo e rispondo: “L’Arte si guarda e non si tocca.”


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